Giorgetti, su spesa difesa regole stupide e senza senso

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha sollevato forti perplessità sulle attuali regole del Patto di stabilità europeo, giudicate inadeguate rispetto al contesto di crisi attuale. Al centro della critica c’è la clausola nazionale di salvaguardia sulla spesa per la difesa, che consente una maggiore flessibilità fino all’1,5% del PIL all’anno per quattro anni. L’Italia, a differenza di sedici altri Paesi Ue, non ha ancora attivato questa opzione, che secondo Giorgetti rischia però di avere effetti asimmetrici e penalizzanti per gli Stati già sottoposti a procedura per deficit eccessivo. In sostanza, per chi è già in infrazione, la clausola non offrirebbe alcun beneficio in termini di alleggerimento delle sanzioni o di uscita anticipata dalla procedura, creando un sistema con “figli e figliastri”. Il commissario europeo all’Economia Valdis Dombrovskis ha riconosciuto che le attuali regole prevedono questa asimmetria, chiarendo però che nella fase di apertura della procedura si può tenere conto di fattori eccezionali, come l’attivazione della clausola, mentre in fase di chiusura l’unico criterio valido resta il rientro del deficit sotto il 3% del PIL. Ha comunque ammesso che l’attivazione della clausola potrebbe comportare tempi più lunghi di uscita dalla procedura, anche per i Paesi con deficit eccessivo.

Parallelamente, a Lussemburgo, il Consiglio dei Governatori del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) ha approvato una revisione complessiva degli strumenti di intervento del fondo. L’obiettivo è rafforzare il supporto agli Stati membri attraverso una modernizzazione del toolkit precauzionale, in modo da renderlo più efficace nell’affrontare situazioni di crisi. Il presidente Paschal Donohoe ha ribadito il ruolo centrale del Mes nella stabilizzazione dell’eurozona, sottolineando l’importanza della fiducia e della cooperazione tra gli Stati. Il direttore generale Pierre Gramegna ha a sua volta rimarcato la solidità del fondo e il risultato record ottenuto nel 2024, con utili pari a 1,8 miliardi. Sulla mancata ratifica da parte dell’Italia del nuovo Trattato sul Mes, i vertici del fondo hanno espresso comprensione per le difficoltà politiche italiane, pur auspicando una piena attuazione a livello europeo.

Guindos e Nagel, Bce ha fatto suo il dovere, ora tocca ai governi

La Banca centrale europea ha centrato l’obiettivo di ricondurre l’inflazione dell’eurozona attorno al 2%, creando le condizioni per una rinnovata stabilità dei prezzi. Dopo anni di politica monetaria restrittiva, i tassi sono ora considerati in territorio neutro, segnale che l’intervento dell’istituto centrale ha raggiunto un punto di equilibrio. A questo punto, secondo i vertici delle autorità monetarie, è compito dei governi raccogliere il testimone per affrontare le sfide strutturali che frenano il potenziale dell’Europa. Nel corso dell’incontro conclusivo di Young Factor il messaggio condiviso dagli esponenti della Bce, della Bundesbank e da alcuni leader del mondo bancario è stato netto: serve un rilancio dell’integrazione europea, anche per rafforzare la posizione geopolitica dell’UE in un contesto mondiale sempre più instabile. Le priorità indicate includono la realizzazione dell’unione bancaria e dei capitali, l’abbattimento delle barriere agli investimenti, una gestione attiva dei flussi migratori per contrastare l’invecchiamento demografico e il rafforzamento del mercato unico del lavoro.

Secondo le autorità monetarie, la sola stabilità dei prezzi non basta per garantire una crescita solida. L’Europa ha bisogno di aumentare la produttivitàmigliorare la competitività e assicurare un equilibrio tra politica fiscale e dinamiche di mercato. È in questo quadro che si inserisce anche il piano da mille miliardi annunciato dalla Germania, ritenuto un esempio di spesa pubblica mirata al rilancio. Ulteriore fronte di attenzione è rappresentato dal rischio di conflitti commerciali, in particolare con gli Stati Uniti. L’ipotesi di un’escalation nei dazi viene vista con forte preoccupazione: da più parti si è sottolineato come simili misure finiscano per danneggiare tutti gli attori in campo, generando perdite diffuse e tensioni nei mercati finanziari, come dimostrato dal caso delle vendite di titoli del Tesoro statunitense. 

Da Ue disco verde a Unicredit-Bpm, ma via 209 filiali

La Commissione europea ha approvato l’acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit, subordinandola alla cessione di 209 filiali per garantire il mantenimento della concorrenza, soprattutto nei mercati locali dei depositi e prestiti destinati a consumatori e PMI. L’operazione, inizialmente oggetto di rilievi da parte dell’antitrust italiano, rimane sotto la giurisdizione dell’UE, che ha rifiutato il trasferimento del dossier alle autorità nazionali. Palazzo Chigi ha smentito ogni coinvolgimento in tale richiesta. Secondo Bruxelles, la fusione avrebbe potuto ridurre la concorrenza in 181 aree geografiche, ma gli impegni presi da Unicredit vengono ritenuti sufficienti a neutralizzare il rischio. A livello regionale e nel segmento corporate, invece, non emergono criticità, grazie alla presenza di altri operatori solidi. Inoltre, non si segnalano rischi di coordinamento tra banche, anche per la natura frammentata e poco trasparente del mercato italiano.

Intanto, si riapre il confronto sul golden power, con Unicredit che attende l’udienza al TAR prevista per il 9 luglio, mentre resta in sospeso il giudizio della Direzione Concorrenza UE. Il governo ha posto una condizione stringente sull’uscita dalla Russia, ma la banca ribadisce, per il tramite il suo AD Andrea Orcel, di operare nel rispetto del quadro sanzionatorio, con un forte ridimensionamento delle attività nel Paese e minacciando di ritirarsi dall’operazione se il problema non sarà risolto. Il dibattito si inserisce nel contesto più ampio del risiko bancario europeo, dove istituzioni come l’FMI e Ivass richiamano la necessità di ridurre le barriere alle fusioni, comprese quelle transfrontaliere, per favorire la competitività e i finanziamenti.

Lagarde, ordine mondiale sta cambiando, occasione per euro 

La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha tracciato un quadro allarmante del nuovo ordine globale, segnato dalla crisi del multilateralismo, dall’avanzata del protezionismo e dal progressivo indebolimento del ruolo dominante del dollaro statunitense. Questo scenario, secondo Lagarde, rischia di mettere a dura prova l’economia europea, fortemente dipendente dal commercio internazionale e con circa 30 milioni di posti di lavoro potenzialmente a rischio.

Allo stesso tempo, la BCE intravede in questo mutamento un’opportunità strategica per l’Unione europea: quella di rafforzare il peso globale dell’euro e acquisire maggiore autonomia economica e politica. L’euro, attualmente la seconda valuta più utilizzata al mondo con una quota del 20% delle riserve valutarie globali, potrebbe ambire a un ruolo più centrale nei mercati internazionali. Un simile sviluppo, tuttavia, non avverrà automaticamente: richiederà un impegno concreto e strutturale. Lagarde individua tre condizioni imprescindibili per il salto di qualità della moneta unica: credibilità geopoliticaresilienza economica e integrità giuridica e istituzionale. Solo consolidando questi pilastri, l’Europa potrà trasformare le incertezze del nuovo contesto globale in uno strumento di rilancio e affermazione strategica.

Panetta, “su politica Bce di nuovo contesto di incertezza” 

Intervenendo alla conferenza per i 50 anni di Prometeia, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha evidenziato i limiti strutturali della previsione economica, sottolineando come, a differenza delle scienze esatte, l'economia sia influenzata da comportamenti strategici e aspettative degli attori. Secondo Panetta, i modelli econometrici si sono rivelati inadeguati durante fasi eccezionali come la pandemia e l’ondata inflazionistica del 2022-2023, con errori previsivi significativi che hanno alimentato il dibattito sulla loro affidabilità. Il governatore ha attribuito tali imprecisioni all’impatto di shock esogeni imprevedibili, di natura prevalentemente geopolitica e ambientale, che hanno messo in crisi la capacità predittiva degli strumenti tradizionali. Ha ribadito che l’errore è intrinseco al processo previsivo e che proprio per questo i modelli economici devono essere oggetto di continua revisione e aggiornamento, pur restando strumenti imperfetti. Panetta ha inoltre richiamato l’attenzione sull’attuale scenario di incertezza che caratterizza l’area euro, con proiezioni BCE che indicano un’inflazione stabilmente sotto il target del 2% e una crescita debole. Tra gli elementi che contribuiscono a tale incertezza, ha indicato le tensioni geopolitiche in Medio Oriente e i segnali contraddittori delle politiche commerciali statunitensi, fattori che rendono ancora più complessa l’azione delle banche centrali.

  1. Giorgetti, su spesa difesa regole stupide e senza senso
  2. Guindos e Nagel, Bce ha fatto suo il dovere, ora tocca ai governi
  3. Da Ue disco verde a Unicredit-Bpm, ma via 209 filiali
  4. Lagarde, ordine mondiale sta cambiando, occasione per euro 
  5. Panetta, “su politica Bce di nuovo contesto di incertezza”