In Basilicata siamo al rush finale per la guida della regione

Rush finale per le regionali in Basilicata di domenica 21 e lunedì 22 aprile. Per il centrosinistra, che in Basilicata punta sul campo largo (ma senza Azione e Italia Viva), dopo la due giorni lucana di Giuseppe Conte conclusasi mercoledì, ieri è stata la volta di Elly Schlein a sostegno del candidato governatore, il dem Piero Marrese. Oggi, invece, in piazza, a Potenza, per l'uscente Vito Bardi il centrodestra schiera sullo stesso palco i tre leader: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. In realtà, dopo le tensioni che a fine marzo hanno accompagnato la scelta del candidato governatore del centrosinistra, per diverse settimane, la campagna elettorale lucana di Pd e M5S è andata avanti sottotraccia, schiacciata dalla prospettiva dell'importanza del voto europeo, con il proporzionale che, inevitabilmente, allontana i due partiti, e dal clamore per la rottura barese. In questi ultimi giorni, in Basilicata, Pd e M5S, senza mai avvicinarsi più di tanto, hanno invece spinto moltissimo sulla questione sanità. Gli aventi diritto al voto sono circa 570 mila e la percentuale dell'affluenza potrebbe essere determinante. (Leggi lo speciale di Nomos: Elezioni regionali in Basilicata)

Gli Usa propongono nuove sanzioni all’Iran. Tajani rilancia sulla collegialità

Le nuove sanzioni contro l'Iran, dopo l'attacco a Israele, potrebbero essere solo una questione di tempo. La pioggia di missili e droni ha convinto i leader occidentali della necessità di mandare un nuovo e inequivocabile segnale. E la palla passa inevitabilmente all'Onu. Sono stati gli Stati Uniti a evocare lo spettro delle sanzioni nella riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza attraverso le parole dell'ambasciatore americano Robert Wood: “Nei prossimi giorni discuteremo con i nostri partner nuove misure punitive per rendere l'Iran responsabile in accordo con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”, ha detto il diplomatico alludendo alla possibilità di presentare una bozza di risoluzione con nuove misure restrittive contro Teheran ma ribadendo che gli Usa “non vogliono un'escalation”. Ha evocato la collegialità delle decisioni il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sull'eventualità di nuove sanzioni da parte del G7: “Dobbiamo prendere decisioni tutti insieme”. Resta da capire verso quale direzione andranno le nuove misure, se mirate a esponenti del regime, a settori economici strategici, o a entrambi. 

Sull’autonomia la maggioranza va dritta e l’opposizione con 2400 emendamenti

L’obiettivo della maggioranza è avviare la discussione sull’autonomia in Aula alla Camera il 29 aprile così come concordato in sede politica. Un obiettivo fortemente auspicato dalla Lega ma che vede la netta contrarietà di gran parte delle opposizioni. A spingere per un via libera prima delle elezioni europee c'è ovviamente la Lega che punta a riscuotere consenso elettorale in vista del voto di giugno. Interrogata sui tempi di approvazione del ddl, la presidente Meloni si è limitata a ricordare che “non dipendono da me, lungi dal governo mettere pressione al Parlamento”. Dopodiché chiaramente dipende dall'andamento dei lavori parlamentari e dall’eventuale ostruzionismo.  Per quanto riguarda il premierato, la commissione Affari costituzionali del Senato riprenderà l'esame del ddl con un nuovo ciclo di audizioni. La commissione di Palazzo Madama punta a concludere l'esame la prossima settimana. Anche perché, come ammesso più volte dalla stessa premier, “l'autonomia differenziata cammina di pari passo con il premierato, le due cose si tengono insieme”. 

Nonostante le tensioni sul provvedimento, il patto di maggioranza ha retto, ma alla scadenza del termine sono arrivate oltre 2400 proposte di modifica dalle opposizioni, nessuno dalla maggioranza, nessuno da Fi in particolare. L'ala meridionalista del partito di Antonio Tajani, che fa capo al governatore della Calabria Roberto Occhiuto, però, avverte che valuterà in Commissione le proposte presentante senza escluderne la presentazione di proprie una volta in aula. “C'è un patto e i patti si rispettano”, è la replica a stretto giro del capogruppo del Carroccio in commissione Igor Iezzi. Il patto, ridimensionato rispetto alla richiesta di approvazione entro le elezioni europee, è che il testo arrivi in aula il 29 aprile per la discussione generale, poi l'ok definitivo della Camera può anche arrivare dopo il voto dell'8 e 9 giugno, l'importante è che sia quello definitivo; tradotto: testo blindato e nessuna modifica. 

Al via il Consiglio Ue straordinario. Draghi proporrà cambiamenti radicali

La situazione in MO, dopo l'attacco dell'Iran a Israele, è entrata nell'agenda del Consiglio Ue straordinario in programma questa settimana a Bruxelles. I leader si sono confrontati sull'evoluzione della crisi dopo la riunione in videoconferenza del G7 convocata sabato scorso da Giorgia Meloni; già prima dell'attacco, però, l'Italia aveva chiesto di discutere il tema della stabilità del Libano e dell'impatto dei rifugiati siriani. Il cuore dei lavori del summit è stato il rilancio della competitività dell'economia europea con un dibattito che ha preso spunto dal Rapporto di alto livello sul futuro del mercato unico presentato da Enrico Letta. Sulle elezioni europee non sono passate inosservate le parole di Mario Draghi, intervenuto vicino a Bruxelles alla Conferenza di alto livello sul “Pilastro europeo dei diritti sociali”. L'ex presidente della Bce e premier italiano ha parlato del rapporto sulla competitività europea che gli è stato commissionato da von der Leyen e che presenterà al Consiglio di giugno. Draghi ha sottolineato che “la nostra risposta” alle sfide della competitività economica internazionale “è stata limitata perché la nostra organizzazione, il nostro processo decisionale e i nostri finanziamenti sono progettati per il mondo di ieri: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in MO, prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze. Ma abbiamo bisogno di un'Ue adatta al mondo di oggi e di domani. E quindi quello che propongo nella relazione che la presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale” basato su un “rinnovato partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio”. 

Tensione per lo stop alla kermesse delle destre in Ue, ira Meloni

Dopo essere stata costretta a cambiare due sedi in 48 ore, National Conservatism, la kermesse dei conservatori e dei sovranisti europei, è iniziata a Saint-Josse, una delle municipalità di Bruxelles ma poco dopo la polizia si è presentata con un mandato per mettere fine all'incontro. In sala erano attesi nomi di spicco come il premier ungherese Viktor Orban, il leader degli euroscettici britannici Nigel Farage, il francese Eric Zemmour, oltre che il meloniano Nicola Procaccini. Lo stop alla kermesse è diventato così un caso europeo. Downing Street, il governo belga e infine Giorgia Meloni hanno condannato il blitz delle forze dell'ordine. Il blitz è arrivato con la totale copertura dell'amministrazione di Saint-Josse e del sindaco Emir Kir. Nel quartiere, come il sindaco la maggioranza è figlia d’immigrati. In sala le forze dell'ordine belghe hanno trovato oltre 400 spettatori e vista la nutrita platea hanno deciso di non eseguire lo sgombero immediato ma hanno bloccato gli accessi, impedendo ai nuovi relatori di entrare e lasciando che l'evento si esaurisse nel corso della giornata. Impossibilitati ad accedere, Viktor Orban e l'ex premier polacco Morawiecki hanno quindi improvvisato una conferenza stampa all'Eurocamera. Immediata è scattata l'ira dei conservatori; Giorgia Meloni, da presidente di Ecr, si è mossa in prima persona: “Siamo increduli e sgomenti, a tutte le vittime di questo ingiustificabile abuso, in particolare ai membri dell'Ecr presenti, va la mia solidarietà”.

Meloni parla chiaro: anche per Letta e Draghi l’Ue va cambiata

Ha raccolto molti consensi e apprezzamenti il rapporto di Enrico Letta sul futuro del mercato unico. Al termine di una settimana di interviste sulla stampa internazionale, conferenze stampa, dichiarazioni, l'ex premier italiano ha esposto il suo lavoro ai leader europei. Per Letta “non c'è tempo da perdere” perché “il divario tra l'Ue e gli Usa sta diventando sempre più grande, in termini di risultati economici. Sembra che i leader abbiano capito l'urgenza di ampliare il mercato unico e trovare la quantità di risorse necessarie per la transizione, mobilitando i risparmi dei privati tramite l'Unione dei mercati di capitali. Nel Rapporto “ci sono sicuramente spunti molto importanti”, ha commentato la premier Meloni e cita “la necessità di rafforzare l'industria europea, tenendo comunque conto anche della nostra vocazione manifatturiera; il riferimento all'autonomia strategica, con particolare attenzione all'energia e alle reti di connessione con i paesi terzi, che è il lavoro che in qualche modo noi facciamo con il Piano Mattei”.

Letta tra i leader: un italiano europeista, presidente dell'Istituto Delors, che si è mosso con così tanta disinvoltura negli ambienti brussellesi che il pensiero di molti è andato a quando toccherà a Mario Draghi presentare il suo rapporto a fine giugno, questa volta non un socialista ma un tecnico super partes che ha guidare un'istituzione Ue, la Bce. L'ex premier “è una persona molto autorevole e io sono contenta che si parli di un italiano per un ruolo del genere”, commenta Meloni rispondendo sull'ipotesi di Draghi al vertice della Commissione Ue. Quando i 27 si rincontreranno, al prossimo Consiglio europeo del 27 giugno, la premier spera di trovarsi “di fronte a un'Europa diversa. Alle grandi di politica estera, alla difesa dei propri confini, all'autonomia strategica, alle catene di approvvigionamento fondamentali, e a un approccio meno ideologico e più pragmatico per i problemi dei cittadini”. 

Il G7 accelera sulla contraerea per sostenere l’Ucraina

L'andamento della guerra in Ucraina è stabilmente a favore della Russia e per Kiev ottenere nuovi aiuti militari è ormai una questione “di vita o di morte”. Il G7 Esteri, riunito a Capri sotto la presidenza di Antonio Tajani, ha recepito questa urgenza, che si è tradotta nella necessità di accelerare sulla fornitura di sistemi di contraerea. La sfida, ha avvertito il titolare della Farnesina, è impedire la sconfitta di chi difende il proprio Paese, altrimenti Putin da questa posizione di forza “non si siederà mai a un tavolo” per negoziare la pace. I rischi di escalation in Medio Oriente non distolgono l'attenzione della diplomazia occidentale dall'altro grave teatro di conflitto; non a caso Tajani ha invitato a Capri anche il collega ucraino Kuleba ed il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per fare il punto su ciò che serve a Kiev per continuare a resistere all'invasione. La principale novità è arrivata dagli Stati Uniti, perché la Camera ha messo in calendario per sabato il voto sul pacchetto da 61 miliardi che è rimasto bloccato per mesi dai repubblicani. Su questo voto preme soprattutto la Casa Bianca, ha assicurato il segretario di Stato Antony Blinken in un faccia a faccia con Kuleba a margine del G7. Ne è convinto l’AR Joseph Borrell, secondo cui “non possiamo contare solo gli Usa e dobbiamo prenderci la nostra responsabilità”. Da qui l'appello a “tirare fuori dai magazzini Patriot e sistemi anti-missile e inviarli in Ucraina”. Kuleba ha confermato che i sistemi di fabbricazione americana e franco-italiana sono la “priorità” per rafforzare l'arsenale, poiché sono gli unici in grado di intercettare i missili balistici russi. La Germania, che in Europa è il principale donatore potenziale avendo a disposizione 12 batterie di Patriot, nei giorni scorsi si è già attivata annunciando l'invio di un terzo sistema antiaereo. Anche al G7 Berlino ha rivendicato la sua scelta, ma ha premuto sugli alleati per non rimanere sola in questo sforzo. Per aiutare Kiev resta sul tavolo l'ipotesi dell'utilizzo degli extraprofitti sugli asset russi congelati. A premere per questa soluzione sono soprattutto gli Stati Uniti, mentre tra gli europei ci sono posizioni più caute. 

Le opposizioni insorgono sulle associazioni pro-vita nei consultori

Le Regioni, nell'organizzare i servizi dei consultori, “possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Questo l'emendamento di FdI, a firma del deputato Lorenzo Malagola, che viene approvato e inserito nel decreto Pnrr durante l'esame in commissione Bilancio alla Camera. E che di fatto apre la strada alla presenza delle associazioni pro-vità all'interno dei consultori. La polemica è inevitabile. “Ricordate quando Meloni disse che non avrebbe toccato la 194? Ecco, mentiva”, attacca la segretaria del Pd Elly Schlein, secondo la quale “è in corso un attacco pesante alla libertà delle donne di scegliere sul proprio corpo. È molto grave il blitz della destra in Parlamento con questo emendamento, che vuole fare entrare nei consultori associazioni anti abortiste, per incidere psicologicamente e in modo inaccettabile, violento sulle donne che cercano di avere accesso alla interruzione volontaria di gravidanza”. “La maggioranza non si smentisce mai e anche nel decreto sul Pnrr riesce a inserire un attacco al diritto all'aborto”, aggiungono i parlamentari del M5S delle commissioni Affari sociali di Camera e Senato, parlando di “una decisione molto grave”. 

Salis si candida alle europee con Avs

Ilaria Salis sarà candidata con Avs alle prossime elezioni europee. Dopo giorni d’indiscrezioni e smentite, tese a tutelare la ragazza, è una nota diffusa in serata a ufficializzare la decisione: “Alleanza Verdi e Sinistra in accordo con Roberto Salis”, spiegano Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, “ha deciso di candidare sua figlia Ilaria, detenuta in Ungheria, in condizioni che violano gravemente i diritti delle persone, nelle proprie liste alle prossime elezioni europee. I gruppi dirigenti sono al lavoro per definire le modalità dell’iniziativa, tesa a tutelare i diritti e la dignità di una cittadina europea, anche dall'inerzia delle autorità italiane per ottenere una rapida scarcerazione in favore degli arresti domiciliari negati con l'ultima decisione dai giudici ungheresi”. L'insegnante italiana, che si trova in carcere da 13 mesi in Ungheria perché accusata di aver partecipato a un’aggressione contro un gruppo di militanti di estrema destra, dovrebbe guidare AVS come capolista nel Nord Ovest. Se eletta, la 39enne di Monza potrà godere dell'immunità che spetta agli europarlamentari e quindi affrontare il processo (rischia una condanna fino a 24 anni di carcere) da persona libera. “In caso di elezione dovrebbe essere immediatamente scarcerata e il processo in Ungheria sarebbe sospeso per tutta la durata del mandato” conferma il legale della Salis Eugenio Losco

Una parte della Lega si astiene e si sfila sui pro-life nei consultori

L'aborto finisce per incrinare anche la compattezza della maggioranza. Alla Camera, poco prima dell'approvazione del decreto Pnrr, viene esaminato un ordine del giorno del Pd che punta a tutelare il diritto all'interruzione di gravidanza nei consultori: la maggioranza lo respinge ma 18 deputati si astengono, tra cui ci sono ben 15 leghisti, compreso il capogruppo Riccardo Molinari, e un eletto azzurro, Paolo Emilio Russo. Così, l'istantanea del voto fa emergere come i dubbi sull'emendamento di FdI al decreto Pnrr, che coinvolge nei consultori le realtà che sostengono la maternità si siano insinuati nella coalizione di Governo. La premier Giorgia Meloni, intanto, parla di “fake news” e accusa: “Chi vuole cambiare la 194 è la sinistra, non noi. Noi vogliamo solo garantire scelte libere. Sui temi etici abbiamo lasciato libertà di coscienza e quindi c'è stato chi ha seguito le indicazioni del Governo e chi si è astenuto”. L'esecutivo aveva prima chiesto l'accantonamento dell'odg del Pd, però alla fine ha ribadito il parere contrario. L'associazione Pro Vita & Famiglia si dice “stupita” dall'astensione della Lega sul “vergognoso” odg del Pd e annuncia una manifestazione nazionale a Roma per il 22 di giugno.  

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 15 aprile, tra i partiti del centrodestra in ascesa solo Fratelli d’Italia, mentre in negativo alleati e Partito Democratico. Il partito di Giorgia Meloni guadagna lo 0.3%, confermandosi primo partito italiano con il 27,2%. In seconda battuta il PD, che tuttavia perde quai mezzo punto percentuale e vede il distacco da FdI salire al 7,8%.Terza forza nazionale sempre il Movimento 5 Stelle (16%). Perdono consensi la Lega (-0,2%), dopo settimane di ascesa, e Forza Italia (-0,4%), da poco federatasi con Noi Moderati di Maurizio Lupi. Nella galassia delle opposizioni, i centristi Stati Uniti d’Europa calano sensibilmente e si attestano al 5,2%; seguono Azione (4,2%) e Alleanza Verdi e Sinistra (4,1%), che tornano entrambe sopra la soglia di sbarramento per le Europee. Chiudono il quadro settimanale Libertà di Michele Santoro (1,9%), Pace Terra Dignità di Cateno De Luca (1,8%), entrambe in positivo, e Democrazia Sovrana e Popolare (1,4%) che invece non vede variazioni negli apprezzamenti.

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) perde 0,3 punti pur mantenendosi saldamente al comando con il 43,4%. Il centrosinstra, che la scorsa settimana ha visto +Europa confluire in Stati Uniti d’Europa, è secondo con il 22,4%; fuori da ogni alleanza, il M5S, guadagna quasi mezzo punto percentuale e registra un 16% pieno. Cresce anche il Centro, nonostante la distanza tra i suoi rappresentanti.

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