Chiuso il G7 Meloni fa un bilancio: vertice importante e complesso

Quello che si è concluso a Kananaskis è stato un G7 “particolarmente importante” e “particolarmente complesso”. La premier Giorgia Meloni traccia un bilancio del vertice in Canada e fa i complimenti al premier Mark Carney, presidente di turno, “per una leadership molto ben esercitata in un momento sicuramente complesso”. Il tema dominante è stato il conflitto tra Israele e Iran, che ha costretto Donald Trump a un rientro anticipato a Washington: “Tutti quanti andiamo nella direzione di una de-escalation”, dice Meloni, sottolineando, nello scenario in continua evoluzione, che l'obiettivo condiviso da tutti “è la rinuncia da parte dell'Iran a essere una potenza nucleare” che, “non sarebbe una minaccia solamente per Israele, ma sarebbe una minaccia anche per tutti noi”. Che atteggiamento prenderebbe l'Italia di fronte a un'entrata degli Usa nel conflitto al fianco di Israele e alla richiesta di utilizzare le basi aeree sul nostro territorio

“Questa non è una risposta che posso dare adesso”, replica la premier, “Quando accadrà ovviamente convocheremo le persone che dobbiamo convocare e prenderemo le nostre decisioni, non è una decisione che si prende così”. Quanto all'ipotesi ventilata dal presidente Usa di un possibile ruolo di mediatore per Vladimir Putin nel conflitto mediorientale, Meloni riferisce delle reazioni degli altri leader: “Non mi pare ci fosse grande disponibilità da parte di nessuno”: “Francamente, affidare a una nazione in guerra la mediazione su un'altra guerra non mi sembrerebbe proprio l'opzione migliore da prendere in considerazione”. Di Putin si è invece parlato riguardo al conflitto in Ucraina; Meloni smentisce le notizie secondo le quali ci sarebbe stato un veto Usa a una dichiarazione finale del G7 sulla guerra: “Non era prevista una dichiarazione sull'Ucraina”. 

Poi precisa “Siamo tutti quanti d'accordo nel sostenere gli sforzi del presidente degli Stati Uniti verso una pace giusta e duratura” in Ucraina. Sul cessate il fuoco, sottolinea, “noi abbiamo avuto un'ampia disponibilità fin qui da parte dell'Ucraina e zero disponibilità da parte della Russia”. Uno dei temi sui quali l'Italia ha preso l'iniziativa nel corso del vertice è stata la tregua a Gaza. “Questo è il momento giusto”, dice la Meloni, è un obiettivo “sul quale ho lavorato molto in questi giorni ed è un obiettivo sul quale ho trovato convergenza”. C'è “particolare soddisfazione” per un altro tema italiano, quello delle migrazioni, che è stato oggetto di discussione nel corso del vertice. È stata l'Italia a portare per prima il tema nel G7” ed “è stato chiesto a noi di guidare la sessione, a dimostrazione del fatto che lo scorso anno abbiamo fatto una scelta giusta alla quale gli altri leader vogliono dare continuità”. Si tratta di una “dimostrazione anche del fatto che tutti quanti riconoscono la leadership italiana” sul tema. 

Il Governo raggiunge i 100 decreti-legge. Le opposizioni attaccano

Il Governo Meloni tocca quota 100, tanti sono i decreti-legge approvati dall'inizio della legislatura, nell'ottobre del 2022, all'ultima riunione del Cdm che, giovedì scorso, ha dato il via libera a due provvedimenti su fisco e comparto industria, con norme specifiche sull'ex Ilva. In principio fu il cosiddetto decreto rave party: era il 31 ottobre del 2022, il Governo appena insediato dava una prima risposta in tema sicurezza. Da allora, con una media di oltre tre decreti al mese, si è raggiunta la considerevole cifra che, anche grazie alla durata stabile dell'esecutivo, rappresenta un record. L'esecutivo in carica, da questo punto di vista, supera, e non di poco, quelli che lo hanno preceduto: dal governo Draghi (63), ai Conte I (32) e Conte II (54). Il record precedente è quello del Berlusconi IV che comunque non superò gli 80. Le opposizioni sono sul piede di guerra e attaccano quello che bollano, senza mezzi termini, come “abuso”: “C'è un'insofferenza verso il Parlamento che in questi due anni e mezzo ha trovato molti modi di manifestarsi: il ricorso ai decreti è sicuramente quello più evidente”, denuncia la capogruppo del Pd Chiara Braga

“Mentre le riforme istituzionali sono ferme al palo, e forse questo è un bene” rincara la dose Benedetto della Vedova di Più Europa, “Meloni attua una riforma costituzionale di fatto, scavalcando sistematicamente il Parlamento”. “La maggioranza si fa scudo delle procedure accelerate per l'approvazione dei decreti legge e della questione di fiducia anche per nascondere le sempre più profonde divisioni al suo interno”, sottolinea dal Movimento cinque stelle Alfonso Colucci, mentre da Avs Filiberto Zaratti chiosa: “L'unico primato che può vantare Giorgia Meloni è di aver emanato 100 decreti leggi dall'inizio del suo incarico, cioè 3,1 al mese, quasi 1 a settimana, ed è davvero un brutto record”. In Parlamento ci sono al momento 6 decreti da convertire entro la pausa estiva ai quali, secondo quanto filtra, se ne potrebbero aggiungere altri tre nel Cdm che dovrebbe tenersi venerdì. Il rischio ingorgo c'è sia alla Camera che al Senato, dove sono già calendarizzate in aula riforme costituzionali come il premierato e la separazione delle carriere, oltre alla legge sul fine vita. 

Nuovo record per il debito pubblico. Pesa il contesto internazionale

Non si arresta la corsa del debito pubblico italiano che supera ormai da mesi la soglia psicologica dei 3mila miliardi. Ad aprile lievita di altri 30,1 miliardi e l'asticella sale a 3.063,5 miliardi, una dinamica monitorata con attenzione, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi internazionali. Sul sistema finanziario nazionale, nel complesso “stabile”, incombono infatti elevati rischi geopolitici e proprio la dimensione del nostro debito potrebbe amplificarne gli effetti. La lettura guarda al contesto internazionale, anche se va ricordato che segnali positivi arrivano dalla forte domanda del mercato per i titoli italiani, dopo le ultime valutazioni delle agenzie di rating. Con il nuovo record certificato dalla Banca d'Italia, il debito si colloca 152 miliardi sopra il livello di aprile 2024; l'incremento registrato ad aprile, spiega via Nazionale, “riflette il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (21,5 miliardi), la crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (7,2 miliardi, a 69,4), nonché l'effetto degli scarti e dei premi all'emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e della variazione dei tassi di cambio (1,4 miliardi)”. 

Intanto continua a diminuire la quota del debito detenuta dalla Banca d'Italia (al 20,2% dal 20,5 di marzo) re aumenta quella in mano agli stranieri: i non residenti detengono il 32,4% (il dato disponibile è relativo a marzo), dal 31,9% del mese precedente; ala invece la quota in possesso di famiglie e imprese non finanziarie (14,3%). Prosegue anche il trend di crescita delle entrate: ad aprile, secondo la Bankitalia, si attestano a 41,9 miliardi (+3,2%), portando il dato cumulato dei primi quattro mesi del 2025 a 170 miliardi, il 3,9% in più rispetto al 2024. In questo scenario le condizioni del sistema finanziario italiano si mostrano “nel complesso stabili, anche se in un contesto globale caratterizzato da rischi rilevanti”, rileva il Comitato per le politiche macroprudenziali, composto dai vertici e i rappresentanti di Banca d'Italia, Consob, Covip, Ivass e Mef. Proprio il “vincolo” debito, come l'ha definito in più occasioni in ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, si rivelerà determinante nella scelta delle misure che andranno a comporre la prossima legge di bilancio. La premier ha indicato la priorità del taglio dell'Irpef al ceto medio, mentre la Lega spinge anche per la pace fiscale: “Le due cose possono andare insieme”, insiste Matteo Salvini

La riforma per la separazione delle carriere arriva in Aula al Senato. Polemiche

 La riforma per la separazione delle carriere dei magistrati e per l'istituzione dell'Alta Corte disciplinare approda nell'Aula di Palazzo Madama tra mille polemiche, senza che si sia concluso l'iter in Commissione Affari Costituzionali e con l'opposizione che parla di “inaccettabile forzatura” e mentre la maggioranza difende il provvedimento parlando di “norma epocale”. In una seduta d'Aula durata ininterrottamente 8 ore si presentano e poi si respingono le 3 pregiudiziali di costituzionalità di Pd, Avs e M5S e si dà il via alla discussione generale la cui durata complessiva si calcola in oltre 10 ore. L'idea è quella di chiuderla per martedì o mercoledì della settimana prossima. Poi, si devono fare i conti con i 1.363 emendamenti ripresentati per l'Aula, anche se il centrodestra minimizza dando per scontato il ricorso al canguro

PdM5S e Avs criticano prima di tutto “la forzatura” sui tempi: l'iter in Commissione infatti “non si è concluso e il testo è arrivato in Aula nella data fissata dalla Capigruppo”. Ma il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni (FdI) respinge l'accusa ricordando come lo spazio per il confronto ci sia stato visto che dal 29 gennaio, data di incardinamento del ddl, si sono tenute “32 sedute di Commissione, 6 di Ufficio di Presidenza, 29 audizioni e la discussione generale è andata avanti per 6 sedute con 27 interventi”. 
Il Guardasigilli Carlo Nordio parla con alcuni senatori di FdI che lo avvicinano e la senatrice di IV Dafne Musolino protesta. Da lì si accende uno scontro che poi rientra con l'intervento della presidente di turno Anna Rossomando. Dopo il voto sulle pregiudiziali, la maggioranza lascia alla spicciolata l'emiciclo finché gli scranni si svuotano. E stessa cosa avviene ai banchi del Governo dove alla fine resta solo il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto

L'Eurocamera chiede una proroga di 18 mesi sui progetti Pnrr

Prolungare oltre il 2026, di 18 mesi, la deadline per i progetti del Pnrr in modo da garantire il completamento degli investimenti chiave: è quanto chiede una risoluzione non legislativa adottata a larga maggioranza dalla plenaria di Strasburgo, con 421 voti favorevoli, 180 contrari e 55 astensioni. Si tratta di un testo dal valore politico che, salvo clamorosi colpi di scena, non produrrà svolte concrete. La posizione della Commissione Ue è chiara: la scadenza ultima per i progetti del Pnrr è il 31 agosto del 2026; martedì, parlando alla Plenaria, il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto lo ha rimarcato: la deadline non può essere cambiata se non con un emendamento al regolamento sul Recovery, che può essere approvato solo all'unanimità, etra i 27 sul punto non c'è alcun consenso. Il Parlamento Ue ha comunque ribadito con questo voto l'effetto stabilizzatore del dispositivo Recovery and Resilience Facility in un contesto di forte incertezza economica. 
Il testo chiede infatti di destinare gli investimenti a energia, difesa e infrastrutture transfrontaliere, come le ferrovie ad alta velocità, e di accelerare quelli riguardanti la protezione sociale. Nel testo il Parlamento esprime preoccupazione per i tempi ristretti per l'attuazione dei fondi rimanenti, fatto che mette a rischio il completamento delle riforme, dei grandi progetti e dell'innovazione. 

Veti incrociati nella maggioranza, il terzo mandato sembra tramontare

Veti incrociati, tensioni e sospetti: dopo due settimane sembra tramontare quel terzo mandato per i governatori di cui la Lega aveva fatto una bandiera e che era rispuntato, dopo una serie di no, grazie a un'apertura del partito di Giorgia Meloni. Se è vero che la parola fine “definitiva” la metteranno soltanto i leader, che potrebbero parlarne a margine del Consiglio dei ministri, ancora uno spiraglio ci potrebbe essere. Certo è che il crescendo di distinguo sembrerebbe avere segnato un ennesimo punto di non ritorno soprattutto per il destino di Luca Zaia, che senza interventi sul limite ai mandati non si potrà più ricandidare alla guida del Veneto. Il partito di Matteo Salvini rivendica il quindicennale buongoverno e chiede continuità in Veneto. I meloniani ricordano che il peso elettorale si è di fatto capovolto e lo vorrebbero riconosciuto anche con la presidenza di una grande Regione del Nord

Una questione, quella dei governatori, che agita la maggioranza da più di un anno e che ancora non trova una soluzione. La mossa di FdI, di aprire al terzo mandato nel contesto di un “intervento di sistema” come lo ha definito da ultimo il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, poteva sbloccare la situazione. La via era stretta, soprattutto per i tempi, ma siglando un patto politico di ferro era (e forse è ancora) possibile. La trattativa peraltro, stando ai racconti di tutti partiti di maggioranza, sottotraccia ci sarebbe stata, almeno fino a due giorni fa. Poi qualcosa si è inceppato. E per il Veneto si riparte dal via, come nel gioco dell'oca. Ma se si dice addio al terzo mandato allora “si ridiscute su tutto”, dice più di un meloniano. FI che ufficialmente ha continuato a dire sempre di no, prima ha chiesto di allargare la discussione all'Irpef, poi nelle ultime 48 ore ha posto l'accento sulla necessità allora di guardare a proposte “che non sono nel programma”, leggi Ius Italiae
E proprio l'insistenza degli azzurri a mettere mano alle regole per la cittadinanza ha fatto, formalmente, saltare il banco. 

Crosetto parla chiaro: l'Italia non entrerà in guerra contro l'Iran

Se gli Stati Uniti decideranno di entrare in guerra contro l'Iran l'Italia non lo farà. Ad assicurarlo è stato il Ministro della Difesa Guido Crosetto. “Sicuramente l'Italia non pensa di entrare in guerra con l'Iran. Non penso che ci saranno mai soldati o aerei italiani che potranno bombardare l'Iran, questo mi pare evidente e chiaro. Non solo perché è costituzionalmente impossibile ma non c'è neanche la volontà”, ha chiarito parlando a “Dritto e Rovescio”. Quanto alle basi aeree americane in Italia il Ministro ha spiegato che sono disciplinate da un accordo dei primi anni 50: l'intesa prevede che gli Usa “possono utilizzarle soltanto spiegando per cosa le vogliono utilizzare e soltanto dopo l'autorizzazione del Governo italiano”. Comunque, ha sottolineato il ministro, “non è stata ancora chiesta, non è stata mai chiesta questa autorizzazione”. 

Sullo stesso tema è intervenuto il ministro degli Esteri Antonio Tajani: “In questa fase non abbiamo notizie di basi militari Usa in Italia coinvolte, non sappiamo cosa vorranno fare gli Stati Uniti”, ha detto rispondendo ai cronisti a Taormina. Molto difficile è la situazione degli italiani presenti attualmente in Iran: “Io consiglierei a tutti gli italiani di lasciare, di abbandonare Teheran che è la zona più pericolosa anche perché gli israeliani si muovono con molta facilità su tutto il territorio e non hanno intenzione di finire fin quando non hanno la certezza di aver tolto all'Iran la possibilità di utilizzare la bomba atomica”, ha affermato ancora Crosetto. “Già da tempo il ministro Tajani e la Farnesina avevano invitato al rientro”, ha ricordato. 
“È un percorso molto difficile, di oltre 1.500 chilometri, fatto soltanto attraverso terra, quello che consente agli italiani, ad esempio, di abbandonare Teheran e di arrivare a Baku in Azerbaigian da cui possono ritornare in Italia. Per cui è complesso ma chiaramente non si può rimanere in un Paese dove la guerra può continuare anche per molto tempo e dove l'impiego delle armi diventa sempre più sofisticato, sempre più pericoloso, per cui certamente dovranno lasciare. Ciò detto bisogna lavorare costantemente perché riprenda quel tavolo che gli Stati Uniti avevano aperto. Ogni giorno che passa è un giorno che peggiora la situazione e rende più difficile tornare indietro. Per cui questa guerra va fermata al più presto anche perché qui c'è la possibilità di un'escalation per il tipo di armi che vengono usate, questa è la cosa che mi preoccupa di più”. 

Giudici sulla Open Arms: spettava alla Spagna dare il porto. Salvini attacca

L'Italia, e quindi l'allora Ministro dell'Interno Matteo Salvini, non erano obbligati ad assegnare il porto sicuro (Pos) alla Open Arms, la nave spagnola che aveva soccorso un centinaio di migranti in mare ad agosto del 2019, perché toccava alla Spagna farlo. In poche righe i giudici del tribunale di Palermo che, a dicembre, assolsero il leader della Lega dai reati di rifiuto di atti d'ufficio e sequestro di persona per aver illegittimamente, secondo l'accusa, impedito lo sbarco ai profughi, chiudono un caso lungo 5 anni (di cui 3 di processo) e carico di polemiche politiche. Una premessa, quella scritta nelle motivazioni del verdetto, che rende inutile secondo il collegio approfondire ogni ulteriore argomentazioni di difesa e accusa (la Procura aveva chiesto la condanna del segretario del Carroccio a 6 anni). 

A stretto giro, dopo la notizia del deposito, arriva il commento di Matteo Salvini: “I giudici hanno confermato che difendere l'Italia non è reato, rilevando l'ostinazione e l'arroganza di Open Arms che ha fatto di tutto per venire in Italia, scartando tutte le altre alternative che erano più logiche e naturali. La soddisfazione per la decisione dei giudici di Palermo non cancella l'amarezza per un processo lungo e che è costato migliaia di euro ai contribuenti italiani: è il risultato dell'odio politico della sinistra contro di me”. In realtà il collegio non parla di difesa dei confini e mette al centro del ragionamento che porta all'assoluzione dell'ex ministro solo l'assenza dell'obbligo di assegnazione del Pos. Ma la considerazione che fa cadere le accuse è destinata a far discutere, specie alla luce della decisione delle Sezioni Unite della Cassazione che sul caso analogo della nave Diciotti aveva riconosciuto il diritto al risarcimento dei migranti trattenuti illegalmente. La Procura fa sapere che deciderà sull'eventuale appello dopo aver letto le motivazioni, ma è inevitabile che il ricorso ci sarà. 

Conte chiama in piazza i progressisti Ue contro il riarmo

Appello di Giuseppe Conte ai progressisti europei per dire no al riarmo. L'appuntamento è il 24 giugno alle 14.00 alla sede del Parlamento olandese a L'Aia, proprio alla vigilia del vertice Nato. La lettera del leader pentastellato viene pubblicata online da diverse testate. L'invito è a un primo confronto pubblico per “scegliere da che parte stare” e l'obiettivo è quello, si spiega dalle parti di Campo Marzio, di tastare il terreno per un coordinamento tra forze politiche europee che si oppongono alle politiche di riarmo in questo momento storico. “Mi rivolgo dunque a tutti i rappresentanti politici europei contrari a questa folle corsa al riarmo, che sono convinti che il momento di agire è ora”. All'appello hanno già aderito diversi esponenti europei, oltre una dozzina; tra gli altri, Zoe Konstantoupolou, leader primo partito opposizione Grecia ed ex portavoce di Tsipras, la sinistra spagnola di Sumar, gli olandesi di Sp e Fabio De Masi del Bsw, molti esponenti di Left, compresa la co-presidente Manon Aubry, che dovrebbe mandare un video di supporto. 

L'iniziativa non raccoglie al momento altrettanto sostegno dalle parti degli alleati italiani. Tra i pentastellati si puntualizza, a scanso di equivoci, che non si tratta di una iniziativa anti-Nato o per un'uscita dalla Nato. C'è una critica, semmai, si spiega, al destinare ingenti quantità di denaro sulla difesa in un momento in cui si imporrebbero invece investimenti su sanitàwelfare e spesa sociale. Ma tra i Dem ci s’interroga sull'opportunità di una iniziativa di forte contrasto alla linea dell'Alleanza atlantica sul riarmo alla vigilia di un vertice cruciale in un crocevia così delicato per lo scenario internazionale, e questo anche dopo lo scontro in Ue dei giorni scorsi sui fondi del Pnrr che ha provocato l'irritazione dei Dem per le prese di posizione dei pentastellati. Pur definendo “legittima e utile” l'iniziativa del presidente pentastellato, i leader di Avs fanno sapere che proseguiranno con le loro iniziative su questo fronte in Italia. 

“Ogni iniziativa” che va contro il riarmo, evidenzia Nicola Fratoianni, “è benvenuta. Ed è per questo che sabato 21 giugno saremo in piazza a Roma con centinaia di associazioni e movimenti del nostro Paese e con migliaia di persone per riconfermare la nostra scelta, dalla parte della pace, del dialogo”. Sulla stessa linea Angelo Bonelli: “La proposta di Conte è una legittima e utile iniziativa del M5S. Noi come AVS abbiamo organizzato in queste ultime settimane altre iniziative contro il riarmo e continueremo anche la prossima settimana. Intanto saremo fortemente presenti sabato a Roma per dire no al riarmo che ora non è più convenzionale ma con la guerra in corso porta ad un'accelerazione alla corsa e alla proliferazione delle armi nucleari”. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 16 giugno, tra i partiti del centrodestra arresta la propria crescita Fratelli d’Italia che perde 0,3 punti e scende al 30,4%. In seconda battuta, anche il Partito Democratico lascia 0,1 punti e scende al 23,3%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che scende di 0,2 punti e si attesta al 12,3%. Riprendono a crescere le altre forze del centrodestra, Forza Italia (8,3%) e la Lega (8,1%). Nella galassia delle opposizioni, AVS cresce di 0,2 punti e si attesta al 6.7%. I centristi vengono rilevati singolarmente con Azione (3,4%)IV (2,3%) e +Europa (1,5%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni di Noi Moderati all’1,0%

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) segna +0,2% rispetto alla scorsa settimana, salendo al 47,8%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 30,0% delle preferenze crescendo di 0,1 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S sale al 12,3%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno negativo, attestandosi al 7,2%.

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