Meloni ribadisce a Trump: pronti a facilitare i contatti per la pace

Donald Trump ha avuto una telefonata di oltre 2 ore con Vladimir Putin. A seguire ha sentito diversi leader tra qui Giorgia Meloni e nella nota di Palazzo Chigi sulla call si parla del lavoro “per un immediato avvio dei negoziati” per arrivare “il prima possibile a un cessate il fuoco e costruire le condizioni per una pace giusta e duratura in Ucraina”. Soprattutto si sottolinea che “è stata considerata positivamente la disponibilità del Santo Padre a ospitare i colloqui presso il Vaticano”. “L'Italia è pronta a fare la sua parte per facilitare i contatti e lavorare per la pace”, la conclusione della sintesi dei colloqui, in cui non si fa riferimento alla minaccia europea di nuove sanzioni contro Mosca di cui ha parlato invece Berlino. Da Palazzo Chigi si guarda a Roma come possibile crocevia per la pace. Nella Capitale nell'ultimo mese si sono riuniti i leader di mezzo mondo per il funerale di Papa Francesco e per l'insediamento di Leone XIV, occasione in cui la premier è riuscita a mettere al tavolo il vicepresidente degli Usa JD Vance e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen

Le prossime settimane potrebbero chiarire il peso di questo incontro nell'economia dei negoziati fra Washington e Bruxelles sui dazi. Intanto in queste ore la maggioranza celebra ancora il vertice: le critiche delle opposizioni vengono bollate come strumentali, e nel centrodestra è ormai comune a tutti gli alleati una “idiosincrasia” per Emmanuel Macron, colpevole di “fare teatro per cercare di recuperare consenso”. Dietro le quinte, però, in ambienti di Governo si ammette che qualche valutazione nelle ultime settimane si è rivelata meno calibrata del previsto. Ora l'obiettivo è restare in gioco ai tavoli internazionali più importanti, a partire da quello sulla crisi ucraina anche perché il 10-11 luglio l'Italia ospiterà la “Ukraine Recovery Conference” e, se si verificassero le condizioni di un cessate il fuoco prolungato e stabile, si potrebbe cercare di dare a quell'evento una dimensione ancor più importante. Prima ancora, il 20 giugno, la Capitale sarà sede di un vertice Piano Mattei-Global Gateway, che Meloni presiederà assieme a Ursula von der Leyen

Cgil e centrosinistra si mobilitano e vanno in piazza per il referendum

La Cgil riunisce il mondo sindacale, le associazioni e i partiti di centrosinistra che appoggiano i quesiti referendari per una maratona oratoria, andata avanti fino a sera nei giardini di Piazza Vittoria a Roma. A 20 giorni dal voto sui referendum il segretario Maurizio Landini vede il quorum come un “obiettivo assolutamente raggiungibile” che dirà che il Paese ha voglia di cambiare, a partire dal Governo. Per questo chiama alla “rivolta democratica”: “Basta mettere una croce, ma è la cosa più rivoluzionaria che possiamo fare. Il quorum si raggiunge Comune per Comune, seggio per seggio, questo è il lavoro che dobbiamo fare”, arringa dal palco il leader Cgil. I quesiti tecnici? Parlano di lavoro e diritti, è l’argomento della Cgil, è necessario spiegare e farsi capire. Sul servizio pubblico, “lo dice l’Agcom, non è che lo dico io, siamo ai prefissi telefonici, meno dell'1% del tempo che si poteva dedicare ai referendum”; è “una scelta molto precisa, il tentativo di non parlarne e di oscurare quello che sta succedendo”. 

La giornata inizia con un sit-in davanti alla Rai promosso dal Pd. La segretaria Elly Schlein insiste: “La Rai non deve dire come votare, ma informare i cittadini”. E gli esponenti dem mostrano lo striscione che recita: “No Telemeloni”. La mobilitazione del centrosinistra si sposta poi in piazza Vittorio, con i leader che prima di salire sul palco si confrontano a lungo con il segretario Landini: ci sono Elly SchleinNicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs, Riccardo Magi di +Europa e anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri insieme a una larga fetta della sinistra cittadina. Al suo arrivo, il presidente del M5S viene accolto dalla segretaria dem che gli dice: “È una bella piazza”. Poi posano insieme per la photo opportunity, con Landini al centro. Quindi Schlein suona la carica: “Il raggiungimento del quorum possibile, l’Italia ci può stupire”, afferma la leader che considera molto gravi “appelli della maggioranza a non partecipare a questo voto”, stessa posizione ribadita anche da Conte. 

Sollievo a Bruxelles: dalla Romania è arrivato un segnale europeista

Un lungo sospiro di sollievo ha attraversato Bruxelles: la Romania, tassello importante nell'architettura geopolitica e della sicurezza comunitaria, rischiava di fare un passo di lato rispetto all'Ue ma la vittoria di Nicusor Dan su George Simion ha spazzato via i crescenti timori di un ulteriore Paese membro governato dagli euroscettici. Prima Ursula von der Leyen e subito dopo Antonio Costa hanno lasciato da parte le tradizionali prudenza e neutralità quasi esultando su per il “forte segnale” arrivato da Bucarest che, all'interno del Consiglio Ue, permetterà ai vertici di non trovarsi dinnanzi ad altri veti su dossier cruciali, come la difesa o l'allargamento. A Bruxelles, da qualche mese, è scattata una sorta di chiamata alle armi anti-sovranista; il succedersi degli exploit dell'ultradestra allarma anche chi, come il Ppe, si è mostrato più volte aperto ad intese con i Conservatori o con i Patrioti al Pe. C'era poi un'appendice non secondaria, quella delle ingerenze di Mosca: la Romania, nel dicembre scorso, aveva infatti visto l'annullamento del primo turno delle presidenziali vinto dal filorusso Calin Georgescu a causa, secondo l'Alta Corte, proprio delle interferenze di Mosca. 

Simion aveva provato a raccogliere le preferenze date a Georgescu, sebbene le sue posizioni sulla guerra in Ucraina fossero più vicine a quelle dell'Ue ma a Bruxelles nessuno si fidava. L'affermazione di Dan ha scacciato gli incubi più bui: “Continueremo a essere partner affidabili dell'Ue”, è stato il suo mantra ripetuto nelle conversazioni telefoniche post-voto. Il riverbero delle elezioni romene era arrivato anche in Italia, complice la stretta alleanza politica tra Giorgia Meloni e il leader Aur. Simion negli ultimi giorni di campagna era stato a Roma, accolto prima da Meloni (sono nello stesso gruppo, al Pe) e poi da Matteo Salvini, e l'endorsement della premier al candidato sovranista non era piaciuto a tutti a Bruxelles. Meloni, in ogni caso, non ha tardato a congratularsi con Dan “dicendosi fiduciosa che potremo costruire una collaborazione costruttiva” per “promuovere la pace, la stabilità, la prosperità dei nostri popoli e dell'Europa”. Più corpose le congratulazioni del presidente Sergio Mattarella che, martedì pomeriggio, tra l'altro, inizierà la sua visita presso le istituzioni Ue. 

Meloni sente il Papa: il Vaticano è pronto a ospitare colloqui di pace

La possibilità che i colloqui di pace si possano tenere in Vaticano diventa una eventualità concreta dopo la telefonata di Giorgia Meloni al Papa, che ha confermato alla premier la disponibilità della Santa Sede a ospitare i negoziati. Al colloquio si è poi aggiunto il confronto con Volodymyr Zelensky e alcuni leader, il finlandese Alexander Stubb, il francese Emmanuel Macron, il britannico Keir Starmer, il tedesco Friedrich Merz e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, in cui è stato “concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo round di negoziati finalizzato a un cessate il fuoco e a un accordo di pace”. Nell'ultima call con Trump, dopo il colloquio fra il presidente americano e Vladimir Putin, Meloni, assieme a Merz, aveva sottolineato la necessità che Europa e Stati Uniti svolgessero un ruolo di mediatori fra Mosca e Kiev. 

L'idea di lasciar proseguire i negoziati solo a livello bilaterale fra Russia e Ucraina non convince la premier, che avrebbe sottolineato come “qualcuno debba fare da giudice”. In quell'occasione, spiega Palazzo Chigi, “è stato chiesto” alla presidente del Consiglio “di verificare la disponibilità della Santa Sede a ospitare i negoziati”. E la telefonata con Leone XIV è andata secondo i migliori auspici: Meloni ha trovato “conferma” della disponibilità del pontefice “ad accogliere in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti” e ha “espresso profonda gratitudine per l'apertura di Papa Leone XIV e per il suo incessante impegno a favore della pace”. Questa evoluzione va nella direzione cui punta la premier, che da qualche giorno si è fissata l'obiettivo di restare saldamente ai tavoli della crisi ucraina, dopo le tensioni, soprattutto con la Francia, sulle riunioni dei Volenterosi e sul suo riferimento all'invio di truppe respinto da Emmanuel Macron come “fake news”. I prossimi giorni ci diranno come prenderanno forma i negoziati e soprattutto se Putin è realmente convinto della percorribilità di avvio di un percorso di pace.

Alla Camera Foti chiarisce: la revisione del Pnrr non ferma i cantieri

Nessun cantiere sarà fermato, nessuna tratta ferroviaria verrà sospesa e nessun intervento sarà cancellato. Il Ministro degli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr Tommaso Foti assicura che la nuova revisione del Piano di rilancio non ne riduce l'ambizione ma serve proprio a garantire la puntualità degli obiettivi e delle rate connesse, a partire dalla prossima: nessun progetto verrà lasciato indietro, a cominciare da quelli sulle ferrovie che, sebbene difficili da completare entro la scadenza del 2026, verranno riscadenzati e rifinanziati in altro modo, ha detto Foti presentando la revisione alla Camera. Il Ministro ha precisato che le modifiche apportate non rappresentano un'anomalia, ma sono previste dal regolamento Ue. L'obiettivo è rimodulare le risorse già previste, per tener conto di situazioni impreviste che rendono alcuni interventi irrealizzabili entro la scadenza di giugno 2026, come quello del Terzo Valico dei Giovi, che a causa dei problemi geologici “non imputabili al Governo”, sottolinea Foti, si è dovuto fermare. Ora è ripartito, in sicurezza, ma la scadenza di giugno 2026 non sarà rispettata. 

Il Ministro ha ricordato che già nel piano originario del 2021 era prevista una sinergia tra le risorse del Pnrr e quelle stanziate dal contratto con FS, per un totale di 24,5 miliardi del Pnrr a fronte di opere dal costo complessivo di 51,4. Ed ha chiarito che non vi sarà alcuno spostamento di fondi dalle regioni del Sud verso quelle del Nord: “All'Alta velocità del Nord restano 8,6 miliardi, come previsto. Mentre la linea Napoli-Bari vede un incremento da 1,254 miliardi a 2,188, e la Palermo-Catania passa da 799 milioni a 1,280 miliardi”. Non ci sarà nemmeno un impiego dei fondi verso scopi militari, anche perché le regole non lo consentono. 

Sui fondi dirottati dalle colonnine di ricarica agli incentivi per le auto elettriche Foti ha voluto “fare chiarezza”: l'Italia ha un parco auto elettriche piuttosto piccolo, a fronte di un tasso di colonnine ogni 100 auto superiore a Francia e Germania. Per questo il Governo ha pensato di “riequilibrare” puntando sugli incentivi per 39mila auto elettriche che abbatterebbero anche 58mila tonnellate di co2. A sostegno della linea del Governo, la Camera ha approvato una risoluzione di maggioranza che chiede di mantenere inalterata l'ambizione originaria del Pnrr. Le risorse eventualmente liberate dovranno essere reindirizzate verso misure già previste, ma caratterizzate da un'elevata domanda: transizione 5.0, decarbonizzazione, autonomia energetica, occupazione giovanile, formazione e innovazione. Il testo impegna inoltre l'esecutivo a rispettare gli obiettivi trasversali del piano: parità di genere, crescita dell'occupazione giovanile, riequilibrio territoriale e pieno sostegno al Mezzogiorno, cui deve continuare a essere destinato almeno il 40% delle risorse. Infine, per gli interventi eventualmente esclusi dalla revisione del Piano si chiede al Governo di trovare strumenti alternativi per garantirne il completamento. 

La maggioranza boccia le mozioni delle opposizioni su Gaza

L'attacco dell'Idf contro una delegazione di diplomatici dei Paesi Ue a Jenin potrebbe determinare un cambiamento della posizione del Governo italiano nei confronti di Israele, cui l'esecutivo chiede esplicitamente e ufficialmente di “interrompere le operazioni militari a Gaza” e di aprire “immediatamente” i varchi per far entrare gli aiuti umanitari. Questa settimana, le forze di sicurezza israeliane (che poi si sono scusate) hanno sparato in aria quando la delegazione di diplomatici e la stampa al seguito si sono avvicinati alla sbarra di ferro installata all'ingresso orientale del campo profughi. Nessuno è rimasto ferito. Tra i diplomatici c'era anche il vice console italiano a Gerusalemme Alessandro Tutino che il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha sentito al telefono. Il Governo, è stato spiegato, vuole avere “chiarimenti ufficiali” su quanto accaduto a Jenin ma anche discutere, più in generale, della “drammatica situazione” nella Striscia di Gaza

Già nei giorni scorsi la linea di estrema cautela verso Israele aveva visto, almeno nelle dichiarazioni, un cambiamento: sia Giorgia Meloni alla Camera che Tajani a una iniziativa di FI a Noto avevano detto di “non condividere le ultime scelte” del Governo Netanyahu. Ciò nonostante, proprio martedì l'Italia al Consiglio Esteri-Difesa dell'Ue aveva votato contro alla proposta di “revisione” dell'accordo di associazione Ue-Israele (a favore si è espressa una maggioranza di 17 Paesi membri). Alla Camera la maggioranza ha respinto le mozioni delle opposizioni: quella di PdM5S e Avs chiedeva tra le altre cose al Governo di “riconoscere la Palestina quale Stato democratico” ma anche di “intraprendere con urgenza, nelle opportune sedi internazionali ed europee, ogni iniziativa utile volta all'immediata interruzione, nonché alla ferma condanna del Piano Carri di Gedeone” e di “provvedere all'immediata sospensione dell'importazione degli armamenti dallo Stato di Israele”. 

Poi sono arrivati i fatti di Jenin e la divergenza di vedute rispetto a Gerusalemme appare adesso più ampia: nell'incontrare l'ambasciatore israeliano Jonathan Peled il segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia non solo ha contestato il comportamento “inaccettabile” dell'Idf ma ha chiesto anche di “interrompere le operazioni militari a Gaza” e di “aprire immediatamente i varchi di accesso a Gaza per permettere l'ingresso massiccio di aiuti alimentari e sanitari per la popolazione palestinese” che è “essa stessa vittima dei terroristi di Hamas” e dunque “non può più essere coinvolta negli attacchi” dell'esercito. 

Via libera del Ministero dell’ambiente al Ponte sullo Stretto. Esulta Salvini

Arriva il via libera definitivo del Ministero dell'Ambiente al Ponte sullo Stretto. La Commissione per la Valutazione dell'Impatto Ambientale aveva ancora dei punti sospesi su cui attendeva della documentazione e ora ha dato l'ok finale al progetto esecutivo che potrà così passare all'esame del Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile che riunisce tutti i Ministri economici coinvolti. Dopo il Cipess, che potrebbe tenersi in un paio di settimane, può poi partire la fase operativa. Il via libera viene salutato favorevolmente dal Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini ma fa anche salire nuovamente la polemica, con il deputato Avs e co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli che ha annunciato esposti all'Ue e alla magistratura. 

La Commissione Via, composta da esperti dei vari settori, aveva sospeso il giudizio, decidendo di approfondire l'incidenza ambientale di tre specifici siti del progetto, siti considerati inizialmente a rischio di impatto non mitigabile. La società Stretto di Messina ha quindi fornito ulteriore documentazione e, dopo il nuovo esame, è arrivata l'approvazione finale. “E' una notizia di straordinaria importanza, un altro fondamentale passo in avanti”, ha commentato Matteo Salvini che solo qualche giorno fa aveva assicurato l'avvio dei cantieri entro l'estate e concordato il piano anti-mafia con il collega degli Interni Matteo Piantedosi con l'obiettivo di mettere a punto misure specifiche fin dall'inizio, a partire dagli espropri. 

Faccia a faccia tra Fedriga e Meloni sul nodo del terzo mandato

Quello che è certo è che tra Massimiliano Fedriga e Giorgia Meloni c’è la volontà di ricomporre la frattura. Il governatore friulano, sceso a Roma per vedere la premier, ne è sicuro e torna quindi a casa per superare la crisi nella sua Giunta, congelata da domenica quando gli assessori della sua lista, della Lega e di FI hanno ritirato le deleghe. E con tono assertivo annuncia: “Nelle prossime ore convocherò una riunione in maggioranza per addivenire a una soluzione che possa andare in questa direzione”: tradotto, l'incontro a Roma è servito. Si punta ad arrivare a un documento programmatico che garantisca la tenuta della squadra fino a fine legislatura. Nessun passo avanti, invece, sul terzo mandato dei governatori. “Non ne abbiamo parlato”, dice Fedriga uscendo da Palazzo Chigi. 

Aggiunge solo che, da presidente della Conferenza delle Regioni, ha portato a Meloni il documento sottoscritto da tutti i governatori per chiedere un approfondimento ad hoc. Ma sulla questione al momento la Lega non è intenzionata a cedere. “L'ho detto più volte: io sono sempre favorevole quando scelgono i cittadini”. Quindi ribadisce: “La limitazione dei mandati è data dalla volontà popolare, per quanto mi riguarda”. Del resto, è ancora fresca la ferita, sancita dal ricorso alla Corte costituzionale presentato l'ultimo giorno utile, con il voto contrario della Lega, sul terzo mandato che nei giorni scorsi ha contrapposto il Cdm alla legge dell'altro amministratore leghista, il trentino Maurizio Fugatti, che porta a tre i mandati consecutivi. Su questo, nel centrodestra le posizioni sembrano cristallizzate. Ad esempio, per Matteo Salvini “Se un cittadino ha un bravo sindaco o governatore, è giusto che possa continuare a sceglierlo e votarlo senza limiti”. E, incalzato da Bruno Vespa, aggiunge: “Spero che tutta la maggioranza arrivi a questa conclusione, che è di democrazia”. 

Non va allo scontro nemmeno Fedriga che però tiene il punto: “Penso che le Regioni a statuto speciale abbiano competenza esclusiva”. Attende il responso della Consulta, com'è inevitabile e come probabilmente gli è stato ribadito nel confronto a Palazzo Chigi. Ma continua a distinguere tra Regioni a statuto speciale, come la sua, e quelle a statuto ordinario, riservando solo a queste ultime “l'evidente” necessità di una legge nazionale per dirimere la querelle. Agli antipodi il Governo, convinto che una norma nazionale, valida per tutte le regioni indistintamente, sia “la strada maestra”. Lo ribadisce il ministro Tommaso Foti, fedelissimo della premier e successore di Raffaele Fitto nella gestione del Pnrr. Così come resta la distanza da Forza Italia.

9 paesi, tra cui l’Italia, chiedono di aprire il dibattito su Cedu e migranti

In materia d’immigrazione, “riteniamo che sia necessario esaminare come la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia sviluppato la sua interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. È importante valutare se, in alcuni casi, la Corte abbia esteso eccessivamente l'ambito di applicazione della Convenzione rispetto alle intenzioni originarie della stessa, alterando così l'equilibrio tra gli interessi che dovrebbero essere tutelati”. È uno dei passaggi cruciali di una lettera di cui si sono fatte promotrici Giorgia Meloni e Mette Frederiksen, primo ministro di Danimarca, firmata dai leader di Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, di famiglie politiche e latitudini diversi ma allineati sulla necessità di aprire una riflessione sull'interpretazione dei giudici di Strasburgo per “ristabilire il giusto equilibrio”. L'obiettivo, ha spiegato la Meloni dopo l'incontro con Frederiksen, è “aprire un dibattito politico su alcune convenzioni europee e sulle capacità di quelle convenzioni, a distanza di qualche decennio da quando sono state scritte, di sapere affrontare le grandi questioni del nostro tempo, a partire proprio dal tema del fenomeno migratorio”. 

Bisogna “avviare una discussione su come le convenzioni internazionali si adattino alle sfide che affrontiamo oggi. Ciò che una volta era giusto potrebbe non essere la risposta di domani”, la tesi dei capi di Stato di questi nove Paesi, secondo cui “l'evoluzione nell'interpretazione della Corte” ha, “in alcuni casi, limitato la nostra capacità di prendere decisioni politiche nelle nostre democrazie. E di conseguenza, ha influenzato il modo in cui noi, in quanto leader, possiamo proteggere le nostre società democratiche e le nostre popolazioni dalle sfide che ci troviamo ad affrontare nel mondo di oggi”. Nella lettera si cita l'esempio di “casi riguardanti l'espulsione di cittadini stranieri criminali in cui l'interpretazione della Convenzione ha portato alla protezione delle persone sbagliate e ha posto troppe limitazioni alla capacità degli Stati di decidere chi espellere dai loro territori”. I nove leader chiedono “più libertà a livello nazionale per decidere quando espellere cittadini stranieri criminali”, o nel “decidere come le nostre autorità possano tenere traccia, ad esempio, di stranieri criminali che non possono essere espulsi dai nostri territori”. 

Tensione tra Lega e Quirinale sulle norme antimafia per il Ponte sullo Stretto

Da una parte il Quirinale e i timori giuridici sul rischio di indebolire i controlli antimafia, dall'altra Matteo Salvini che difende la sua ipotesi di norma per il Ponte sullo Stretto infilata e poi tolta dal decreto Infrastrutture, con la Lega pronta a riproporla con un emendamento. Se non è uno scontro aperto, è certo alto il livello di tensione fra il Ministero guidato dal vicepremier e l'asse che si è creato fra il Colle e Palazzo Chigi. Salvini era convinto di aver individuato la soluzione giusta e nella Lega che alla fine entrerà nella legge in fase di conversione: “Chiederemo il massimo del rigore, il massimo della trasparenza, più poteri al ministero dell'Interno e alle Prefetture per verificare che non ci siano infiltrazioni. Dal mio punto di vista era importante, qualcuno l'ha pensata in modo diverso, vorrà dire che sarà il Parlamento a mettere il massimo delle garanzie”. È facile immaginare che quel “qualcuno” sia riferito a chi ha stoppato una parte chiave del decreto, rivendicata lunedì nella conferenza che lo stesso Ministro delle Infrastrutture aveva tenuto con quello dell'Interno Matteo Piantedosi. “Trasferiamo la procedura di realizzazione del Ponte sullo Stretto alla struttura per la prevenzione antimafia presso il Viminale, centralizzando gli esiti dei controlli e della gestione degli appalti alle prefetture, alle istituzioni”, aveva spigato Piantedosi. Poi, però, quella parte è saltata.

La decisione è arrivata dopo le consuete interlocuzioni fra Palazzo Chigi e il Quirinale. Questa volta il Colle ha emesso una nota per chiarire perché per il Ponte sullo Stretto non sia possibile “una procedura speciale” come quelle usate in casi di emergenza (terremoti) o eventi speciali (Olimpiadi), “che non risulta affatto più severa delle norme ordinarie”. Anche perché si prevedeva di “derogare ad alcune norme previste dal Codice antimafia, deroghe non consentite dalle regole ordinarie per le opere strategiche d’interesse nazionale”. Inoltre l'Ufficio stampa del Colle ha precisato che “la norma sui controlli antimafia non era contenuta nel testo preventivamente inviato al Quirinale, ma è apparsa poche ore prima della riunione del Cdm”. Nessuna reazione, per il momento, da Palazzo Chigi; tra i meloniani ci si limita a osservare che da tempo quello del Ponte è un dossier in cui il loro partito tende a non entrare e che sulle questioni che riguardano la mafia Giorgia Meloni “è una che non fa compromessi”. 

I leader dei partiti spingono la volata per le amministrative

La volata è scattata in Liguria, con una sfida a distanza fra la premier Giorgia Meloni e la segretaria Pd Elly Schlein. A Genova si gioca una delle partite più significative delle amministrative di domenica e lunedì, quando andranno al voto 117 Comuni e due milioni di elettori. Insieme a RavennaTaranto e Matera, quello ligure è uno dei capoluoghi in ballo: l'alleanza progressista cerca il colpo in un territorio che, sia in Comune sia in Regione, negli ultimi anni è stato guidato dal centrodestra (l'attuale governatore ligure, Marco Bucci, è sindaco uscente di Genova). È anche per questo che nelle battute finali della campagna elettorale molti big si sono fatti vedere in città. Nello stesso giorno, sono arrivati Schlein a sostegno della candidata di centrosinistra Silvia Salis e tutti i leader della maggioranza di governo per spingere il candidato di centrodestra Pietro Piciocchi. La Meloni e il vicepremier Antonio Tajani si sono collegati in video, mentre hanno fatto tappa in piazza l'altro vicepremier Matteo Salvini e il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi

L'esito del confronto elettorale non sembra già scritto. “Ma la sinistra perderà anche questa volta” è stata la previsione di Tajani”. Salvini, addirittura, a Genova si aspetta di vincere al primo turno: “C'è l'orgoglio di aver accompagnato Genova in questi anni a un nuovo Rinascimento”. Ma Schlein confida nel ribaltone. Il presidente del M5S, Giuseppe Conte, è stato in Calabria e Basilicata, con chiusura di giornata a Matera, dove l'area progressista si presenta in ordine sparso: il M5S punta su Domenico Bennardi, sindaco uscente, decaduto nell'ottobre del 2024 per le dimissioni di 17 consiglieri comunali su 32. Prima, Conte ha tenuto un comizio a Lamezia Terme, dove il campo largo è unito e sostiene Doris Lo Moro. A Ravenna è arrivato il segretario di Sinistra italiana e deputato di Avs Nicola Fratoianni, a sostegno del candidato di centrosinistra Alessandro Barattoni. (Leggi lo speciale amministrative di Nomos)

Tensione sul Dl sicurezza dopo l’ok in Commissione

Via libera ad alta tensione al decreto sicurezza. Le Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera hanno approvato, a maggioranza, il mandato ai relatori tra le urla delle opposizioni: “Vergognatevi!”. Lunedì il testo approderà in aula ed è scontata la fiducia. Il provvedimento, che contiene oltre venti tra nuovi reati e aggravanti, dopo l'ok dell'assemblea passerà al Senato per il via libera definitivo. Le opposizioni sono andate all'attacco per la decisione di Governo e maggioranza di chiudere il provvedimento con una doppia tagliola: non sono stati esaminati neanche la metà degli emendamenti di minoranza (la maggioranza aveva ritirato nei giorni scorsi i propri, rendendo di fatto il testo blindato) e interrotte in corsa le dichiarazioni di voto.

I capigruppo dei gruppi di minoranza, Chiara Braga del Pd, Riccardo Ricciardi del M5S, Luana Zanella di Avs, Matteo Richetti di Azione, Maria Elena Boschi di Iv e Riccardo Magi di +Europa, hanno scritto una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana per esprimere la “profonda preoccupazione che si consolidi una prassi in cui la maggioranza ricorre a strumenti procedurali volti a impedire il confronto parlamentare, alterando l'equilibrio dei poteri e comprimendo il ruolo delle istituzioni, in contrasto con i principi fondamentali della democrazia parlamentare sanciti dalla Costituzione e tutelati dal regolamento della Camera” e dove si chiede a Fontana di “assumere ogni iniziativa utile a tutelare il corretto svolgimento dei lavori parlamentari e a riaffermare il rispetto dei diritti delle minoranze, anche con riferimento ai successivi passaggi dell'iter di conversione del decreto”. Il provvedimento, si legge nella lettera, “per la delicatezza dei temi trattati e per l'impatto diretto su diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, avrebbe meritato un esame pieno, approfondito e rispettoso delle prerogative di tutti i gruppi parlamentari”.

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 19 maggio, tra i partiti del centrodestra frena la proprio crescita Fratelli d’Italia che perde uno 0,1% e si attesta al 30,3%. In seconda battuta il Partito Democratico recupera terreno, ottenendo 0,1punti e salendo al 22,5%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che guadagna lo 0,4% e sale all’12,4%. Arretrano le forze minori del centrodestra, con la Lega che perde 0,2 punti (8,4%) Forza Italia che perde 0,2 punti (8,5%). Nella galassia delle opposizioni, AVS continua a crescere, guadagnando 0,2 punti e si attesta al 6.7%. I centristi vengono rilevati singolarmente con Azione (3,3%)IV (2,7%) e +Europa (1,6%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni di Noi Moderati all’1,0%.

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) segna -0,5% rispetto alla scorsa settimana, scendendo al 48,0%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 29,2% delle preferenze, recuperando terreno; fuori da ogni alleanza, il M5S, guadagna 0,4 punti e si attesta all’12,4%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno negativo, scendendo al 7,6%.

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  1. Meloni ribadisce a Trump: pronti a facilitare i contatti per la pace
  2. Cgil e centrosinistra si mobilitano e vanno in piazza per il referendum
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  4. Meloni sente il Papa: il Vaticano è pronto a ospitare colloqui di pace
  5. Alla Camera Foti chiarisce: la revisione del Pnrr non ferma i cantieri
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  7. Via libera del Ministero dell’ambiente al Ponte sullo Stretto. Esulta Salvini
  8. Faccia a faccia tra Fedriga e Meloni sul nodo del terzo mandato
  9. 9 paesi, tra cui l’Italia, chiedono di aprire il dibattito su Cedu e migranti
  10. Tensione tra Lega e Quirinale sulle norme antimafia per il Ponte sullo Stretto
  11. I leader dei partiti spingono la volata per le amministrative
  12. Tensione sul Dl sicurezza dopo l’ok in Commissione
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