Dopo le sconfitte di Genova e Ravenna, il Governo guarda alle regionali

La linea non cambia, le elezioni comunali non possono considerarsi un test nazionale, ma non senza tensioni interne. Le sconfitte di Genova e Ravenna al primo turno sono andate oltre le peggiori previsioni della maggioranza e fanno venire a galla il timore che la luna di miele del Governo con i cittadini potrebbe non durare in eterno, anche alla luce di molte criticità interne e internazionali alle quali bisognerà far fronte. Da qui le preoccupazioni per le prossime elezioni regionali, in Veneto, Marche, Campania, Toscana, Puglia e Valle d'Aosta. Il confronto interno alla maggioranza sui candidati dovrebbe cominciare entro la fine della settimana, a partire dalla Valle D'Aosta. I dossier più delicati riguardano, però, le altre, il Veneto soprattutto. 

Tutto è fermo al momento: non sembra imminente la soluzione del braccio di ferro fra FdI, che è il primo partito della maggioranza e lo è anche a livello territoriale, e la Lega che insiste sulla linea della continuità, per poter esprimere il candidato alla successione di Luca Zaia nell'unica corsa che il centrodestra considera blindata. Non è più fluida la situazione nelle altre Regioni e i risultati delle Amministrative spingono a considerare anche lo scenario più complicato, quattro sconfitte a fronte di un solo successo, in Veneto, appunto. Da qui la necessità di “attrezzarsi” e quindi rilanciare il prima possibile il dialogo interno alla maggioranza così da sciogliere i numerosi nodi politici che si sono accumulati. A facilitare le cose ovviamente dovrebbe essere anche la parola fine al terzo mandato. (Leggi lo speciale di Nomos: i risultati delle Amministrative).

Meloni prosegue nella mediazione tra Usa-Ue

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni continua a mediare tra Ue Stati Uniti nella partita dei dazi. Dopo la visita a Washington del 17 aprile la premier ha riunito il 18 maggio al tavolo il vicepresidente americano JD Vance e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Altri contatti nel fine settimana con il presidente americano hanno portato alla telefonata tra Presidente USA e la presidente della Commissione. Von der Leyen sul dossier domenica ha sentito i leader europei, tra cui proprio la premier italiana. Gli Stati Uniti, dopo il colloquio tra Trump e von der Leyen, hanno rinviato l'applicazione di una tariffa del 50% sui beni Ue dal 1° giugno al 9 luglio e ora l'obiettivo è accelerare i negoziati commerciali. Meloni, dunque, torna a promuovere il dialogo transatlantico e l’unità europea, ribadendo il ruolo dell'Italia quale ponte tra Washington e Bruxelles, grazie alle eccellenti relazioni con entrambi i leader. 

Questo sviluppo dimostra ancora una volta la crescente influenza dell'Italia sullo scacchiere geopolitico, si sottolinea nel Governo.  “È chiaro che questo annuncio del 50% è una delle consuete mosse di Trump, che la spara grossissima per poi arrivare a un accordo, che noi confidiamo sia positivo”, ha affermato il capogruppo di Fdi al Senato Lucio Malan. “Dobbiamo evitare ad ogni costo qualcosa che possa somigliare a una guerra commerciale perchè non è nell'interesse nostro e a nostro avviso nemmeno nell'interesse degli Stati Uniti”, ha detto anche il Ministro Francesco Lollobrigida. “E' grazie all'Italia se c’è un rapporto diretto tra” Washington e Bruxelles, ha sottolineato anche il vicepremier Antonio Tajani

Da Confindustria Meloni rilancia su un piano industriale straordinario

Giorgia Meloni sceglie il palco dell'Assemblea annuale di Confindustria riunita a Bologna, nelle ore in cui s’intensifica il pressing dei leader europei per un accordo con gli Usa sui dazi, per cercare una via d'uscita invitando ad agire senza esitazioni e rivendicando il ruolo di pontiere tra Ue e Stati Uniti (“i nostri destini sono interconnessi”) con cui il dialogo va portato avanti “con saggezza e con buon senso” e anche “con un approccio più politico che burocratico”. Proprio nel bacchettare i ritardi di Bruxelles (occorre “rilanciare il mercato unico europeo” e “completare quello dei capitali”, “no all'ideologia” sul green deal, “riprendere il cammino del nucleare”) che la presidente del Consiglio rilancia l'asse con Confindustria: “Dobbiamo essere noi ad abbattere le barriere, non ad alzare ostacoli”, gli fa eco Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo presente all'EuropAuditorium. 

La premier offre poi la sponda del Governo alla richiesta del presidente Emanuele Orsini di un “piano industriale straordinario” per rilanciare l'economia italiana ed europea: “Noi ci siamo. Il Governo, come lei sa, sta lavorando già insieme al settore produttivo e alle parti sociali per delineare le linee di una politica industriale di medio e di lungo periodo”, dice la premier. C'era attesa in platea per il dossier sui costi dell'energia dopo le critiche di Confindustria al decreto bollette, “I sovraccosti energetici, sono un vero dramma” è l'allarme del presidente degli industriali. La premier  si associa e spiega che “continuare a cercare di tamponare spendendo soldi pubblici non può essere la soluzione” e promette la massima attenzione contro possibili speculazioni. 

“Stiamo lavorando a un'analisi del funzionamento del mercato italiano per comprendere se eventuali anomalie nella formazione del prezzo unico nazionale possano essere la causa di aumenti ingiustificati, perché sarebbe inaccettabile se ci fossero speculazioni sulla pelle di chi produce e crea occupazione”. “Uno strumento già disponibile per il disaccoppiamento del prezzo dell'energia prodotta da fonti rinnovabili da quello del gas è quello dei contratti pluriennali a prezzo fisso di acquisto di energia prodotta da fonti rinnovabili, dove il corrispettivo viene stabilito tra le parti e riflette i reali costi di produzione per ciascuna tecnologia. Ricordo l'Energy Release e il Gas Release sul quale bisogna lavorare, stiamo dialogando con la Commissione Ue, Roberta mettici una buona parola”. Ad ascoltare gli interventi di Orsini, Metsola e Meloni politici e diversi Ministri. Tra questi il vice premier TajaniCalderone (Lavoro), Pichetto Fratin (Ambiente ed Energia), Piantedosi (Interno), Urso (Imprese e Made in Italy), Santanchè (Turismo) e Bernini (Università). Presenti anche la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi, la segretaria del Pd Elly Schlein e Carlo Calenda

Il 3 giugno Meloni e Macron si chiariranno dopo le tensioni

La notizia arriva quando Giorgia Meloni è da poco ad atterrata a Samarcanda per la sua prima visita ufficiale in Asia centrale: martedì 3 giugno la presidente del Consiglio riceverà a Roma il presidente francese Emmanuel Macron. Al centro del colloquio i principali temi dell'agenda bilaterale, europea e internazionale. È ben chiaro che non si tratta di un semplice appuntamento di agenda ma di un tentativo di tregua da parte di due leader che non si sono mai amati e che, nelle ultime settimane, non hanno fatto niente per nascondere la reciproca antipatia. Prima c'è stata l'iniziativa dei volenterosi, mai apprezzata dalla premier e che peraltro sembrava averla sopravanzata nel rapporto “speciale” con Donald Trump. Quindi l'incontro fra il Presidente americano e Volodymyr Zelensky a margine dei funerali di papa Francesco, con la foto a quattro insieme al francese e al premier britannico Keir Starmer. Episodi che avevano alimentato l'irritazione di Meloni che aveva deciso di non recarsi a Kiev con gli altri leader il 10 maggio, limitandosi a un videocollegamento. 

Successivamente, al summit della Comunità politica europea di Tirana, la presidente del Consiglio era stata esclusa dal vertice con Zelensky, a cui avevano preso parte oltre a Emanuel Macron e Keir Starmer, il polacco Donald Tusk e il tedesco Friedrich Merz (con Trump al telefono). La premier, in una dichiarazione in cui era apparsa molto infastidita, aveva detto che l'Italia non partecipava a riunioni sull'invio di truppe e il francese l'aveva smentita. Quindi la Meloni aveva organizzato l'incontro a Roma tra J.D Vance e Ursula von der Leyen. Un livello di tensione troppo alto tra due Paesi fondatori dell'Ue, in una fase di difficoltà per lo stallo nelle trattative per una soluzione della crisi in Ucraina e mentre non decollano i negoziati Usa-Ue sui dazi. Per questo Meloni e Macron pochi giorni fa si sono sentiti al telefono, concordando un chiarimento. Fissato adesso il 3 giugno. 

Il Consiglio d'Europa accusa la Polizia italiana di razzismo. Ira di Meloni

È scontro tra l'Italia e il Consiglio d'Europa. Dopo la lettera con cui la settimana scorsa Roma e Copenaghen hanno contestato alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di migranti, questa volta a finire nel mirino della commissione contro il razzismo e l'intolleranza (Ecri) sono state le forze dell'ordine italiane. A innescare la polemica è stata la richiesta del presidente dell'Ecri, Bertil Cottier, al governo italiano di “condurre al più presto uno studio indipendente sul fenomeno della profilazione razziale nell'operato delle sue forze di polizia”. Parole che hanno subito suscitato una reazione decisa da parte delle istituzioni italiane. La premier Giorgia Meloni ha definito le accuse “vergognose”, attribuendole a “un approccio ideologico” e a “pregiudizi evidenti”. Ha quindi richiamato l'attenzione sui “numerosi episodi in cui agenti delle Forze dell'ordine vengono aggrediti, spesso da immigrati irregolari”. 

In serata anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto, attraverso una nota del Quirinale, invitando il capo della Polizia, Vittorio Pisani, con l'intento di “riconfermare la stima e la fiducia della Repubblica nelle Forze dell'ordine, la cui azione si ispira allo spirito democratico e ai valori della Costituzione”. La maggioranza è subito andata al contrattacco: la Lega, attraverso un post su X, ha definito il Consiglio d'Europa “un ente inutile da sciogliere”. Il vicepremier Antonio Tajani ha bollato le osservazioni come “talmente astruse che, se non fossero offensive, sarebbero ridicole”, respingendole al mittente e sottolineando come la polizia e le forze dell'ordine italiane siano “tra le più rispettose delle minoranze”. Una linea condivisa anche dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, che ha giudicato le accuse “sorprendenti e inaccettabili”. Intanto le opposizioni sono partite all’attacco aumentando il livello di tensione.

Tensione alla Camera sull’informativa di Tajani su Gaza

A inizio seduta c’è stato un minuto di silenzio chiesto dal ministro degli Esteri Antonio Tajani “per le vittime israeliane e palestinesi” e osservato da entrambi gli schieramenti. Comincia così, nell'Aula della Camera, l'informativa su Gaza. Tajani ribadisce una posizione decisa: “La legittima reazione del Governo israeliano a un terribile e insensato atto terroristico sta purtroppo assumendo forme assolutamente drammatiche e inaccettabili”. Torna a chiedere che Israele ponga fine ai bombardamenti e sottolinea: “L'espulsione dei palestinesi da Gaza non è e non sarà mai un'opzione accettabile”. Poi la tensione dialettica tra maggioranza e opposizione sale. Il vicepremier si rivolge alle opposizioni e affonda: “chi dice che il Governo sta ignorando la crisi di Gaza, offende la verità”. Dai banchi di Pd e M5S si leva qualche protesta. Il ministro viene interrotto, poi incalza: “dico anche a chi fomenta l'antisemitismo per piccole, miopi convenienze di bottega 'Fermatevi! Fermatevi ora!'“. 

La parola passa al dem Giuseppe Provenzano. Il responsabile Esteri del Pd accusa con veemenza Tajani di usare “parole timide, imbarazzate e imbarazzanti”. “Erano forse buone 19 mesi fa, 50mila morti fa, ora non bastano più. C'è bisogno di azioni concrete”. Al di là delle singole prese di posizione sulla situazione in Medi Oriente, non si placa in Aula lo scambio di accuse reciproche tra centrodestra e centrosinistra. Monta così il pressing dei leader di PdM5S e Avs in vista della manifestazione del 7 giugno. 

Meloni vola in Asia centrale: a Samarcanda intese su energia, industria, ambiente e acqua

Dopo l'appello degli industriali per i costi insostenibili dell'energia, Giorgia Meloni continua a stringere alleanze per aumentare l'indipendenza strategica dell'Italia. Vola per la prima volta in Asia Centrale, in missione in Uzbekistan e in Kazakhstan. A Samarcanda la Meloni incontra il presidente della Repubblica, Shavkat Mirziyoyev, e adotta una dichiarazione congiunta per rafforzare il partenariato strategico e consolidare la cooperazione tra le due Nazioni, con un focus su settori prioritari: energia, industria, ambiente e risorse idriche, sicurezza e difesa, governo dei flussi migratori, materie prime critiche, agricoltura sostenibile, supporto alle Pmi, connettività e infrastrutture di trasporto, nonché istruzione superiore, cultura, ricerca e innovazione. Nel corso della visita vengono sottoscritti accordi governativi e intese commerciali

Tema dell'edizione 2025 è Connecting Minds, Shaping the Future. Il forum, piattaforma di dialogo su scala regionale e internazionale, sarà strutturato attorno a tre direttrici tematiche: politica estera e sicurezza internazionale; energia e cambiamento climaticoeconomia e finanza. In agenda c'è anche un bilaterale con il Presidente della Repubblica, Kassym-Jomart Tokayev. Nel corso della missione, ci saranno bilaterali anche con il presidente del Kirghizistan, Sadir Japarov, il presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon e il presidente del Turkmenistan, Serdar Berdimuhamedow. Colloqui che offriranno l’opportunità di approfondire le relazioni bilaterali e di esplorare nuove aree di cooperazione in ambito politico, economico e regionale. Il 30 maggio, ad Astana, si terrà il Vertice tra l'Italia e i cinque Paesi dell’Asia Centrale: Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. 

La maggioranza spinge per l’approvazione definitiva del DL sicurezza. Polemiche

Dopo giorni di discussioni, è arrivato il via libera alla Camera al decreto sicurezza. Ora la maggioranza accelera per la sua approvazione definitiva mentre le opposizioni protestano e si preparano a scendere in piazza. “Avete compiuto una forzatura inaccettabile nel metodo e nel merito”, attacca in aula la segretaria del Pd Elly Schlein, che aggiunge: “Governate con la paura, la alimentate per avere consenso facile come un'arma di distrazione di massa, che si traduce in un bieco populismo penale”. Al momento del voto, in aula scoppia la bagarre e i deputati di PdM5S e Avs espongono cartelli con su scritto “Né liberi né sicuri” e “Decreto paura”. Per Avs interviene Nicola Fratoianni: “Create 14 nuovi reati per un decreto della stupidità e dell'ipocrisia che serve a rassicurare solo voi, le vostre coscienze, il malgoverno e nessuna delle esigenze di sicurezza di cui ha bisogno questo paese, sul fronte lavoro, casa, povertà”. Da Iv incalza Maria Elena Boschi: “L'unica vera emergenza è l'incapacità del governo Meloni di garantire protezione ai cittadini, mentre umilia il Parlamento”, e il segretario di +Europa Riccardo Magi evidenzia: “Nessun cittadino con questo decreto potrà sentirsi, né essere più sicuro”. 

Per Giuseppe Conte “Giorgia Meloni pensa di blindare il governo cercando di reprimere il dissenso per decreto mentre non fa nulla per il carovita, il carobollette e contro tutti i tagli che si stanno battendo sulla sanità”. Dal canto suo la maggioranza fa quadrato e martedì prossimo ha già fissato l'esame del testo in Senato, per l'approvazione finale. Il provvedimento sarà incardinato nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Palazzo Madama alle 13.30 del 3 giugno. Alle 16.00 è prevista la conclusione dell'esame del testo che arriverà in Aula alle 17.00, presumibilmente senza mandato al relatore, per avere l'ok definitivo tra martedì e mercoledì. Soddisfatto il vicepremier Matteo Salvini che replica alle polemiche: “Se l'opposizione preferisce che al posto di un pensionato o di una madre di famiglia ci siamo degli occupanti abusivi in casa e su questo fa ostruzionismo, mi spiace per loro perché fanno un danno a loro”. Il decreto sicurezza “non impedisce di manifestare”, aggiunge, “impedisce di rompere le scatole a chi va a lavorare. Perché, se blocchi il Grande raccordo anulare o la tangenziale a Milano non fai una manifestazione, commetti un reato, perché danneggi il lavoro e la vita di migliaia di persone”. 

La maggioranza punta a ripartire su premierato e separazione delle carriere

Questa volta l'accelerazione sembra esserci, almeno a parole. La maggioranza mette agli atti della conferenza dei capigruppo della Camera l'intenzione di portare in Aula a luglio due riforme costituzionali: la separazione delle carriere cara a FI (ora all'esame del Senato) e il premierato, baluardo di FdI e di Giorgia Meloni. Le opposizioni protestano, e parlano apertamente di spartizione tra i partiti del centrodestra. Per la capogruppo Pd Chiara Braga “Noi crediamo sia una forzatura e non siamo disponibili ad accettare un'altra compressione dei tempi. È evidente, dopo il decreto sicurezza, la spartizione tra le forze di maggioranza e la rimessa in moto del premierato, un altro tassello di quell'attacco all'equilibrio e alla separazione dei poteri. Un disegno che mette in discussione l'equilibrio delle istituzioni democratiche”. Ma il rischio è che lo sprint per la ribattezzata “madre di tutte le riforme” sia più nelle intenzioni che nella sostanza. 

“Ora che la commissione si è liberata c'è tempo di concludere le audizioni e si potrebbe teoricamente ipotizzare un approdo in aula in estate”, ha spiegato in capigruppo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. La richiesta di inserire il premierato nel calendario di luglio è arrivata direttamente dalla presidente del Consiglio che vuole dimostrare che il partito non ha intenzione di ammainare quella bandiera. Ma è proprio in quel teoricamente utilizzato dal rappresentante dell'esecutivo che si cela un ragionamento sui tempi dell'approvazione con cui da tempo in FdI stanno facendo i conti. D'altra parte, il premierato è stato approvato in prima lettura dal Senato ormai quasi un anno fa (era il 18 giugno) e non è un mistero che nel passaggio a Montecitorio andranno fatte delle modifiche. “La commissione è stata ingolfata”, è la spiegazione ufficiale. Ma il calcolo che viene fatto dai meloniani è un altro: puntare al referendum confermativo, in caso di approvazione definitiva, solo dopo le prossime Politiche. 

Ed è qui che entra in ballo un'altra trattativa, anche questa per ora fatta più di parole che di sostanza: quella sulla legge elettorale. L'idea di Fdi è quella di creare una legge elettorale, sul modello di quella delle Regioni, che abbia anche l'indicazione del premier sulla scheda, solo preferenze e niente collegi uninominali. Insomma, un sistema con effetto ipermaggioritario anche nel caso in cui la riforma non dovesse mai entrare in vigore. Nella maggioranza, tuttavia, non sono tutti d'accordo. La Lega, com'è noto, è contraria all'abolizione dei collegi uninominali. La discussione è solo agli inizi e difficilmente potrà entrare nel vivo prima delle prossime Regionali d'autunno. 

A Chigi si ragiona sulla possibile deposizione di Nordio sul caso Almasri

Il prosieguo delle indagini del Tribunale dei ministri sulla vicenda Almasri innesca una riflessione nel governo, che si accinge ad una decisione sull'opportunità del ministro Carlo Nordio di andare a deporre, dopo la richiesta dei giudici. Sul caso del generale libico accusato di crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato e rimpatriato dalle autorità italiane lo scorso gennaio, il Tribunale indaga dopo un esposto presentato alla procura di Roma dell'avvocato Luigi Li Gotti, che aveva ipotizzato i reati di favoreggiamento e peculato a carico di Nordio, della premier Giorgia Meloni, del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Ma sul numero uno di via Arenula pende in più anche l'omissione di atti d'ufficio. Un'accusa che fu mossa all'epoca già dall'opposizione, secondo cui Almasri era stato liberato a causa del silenzio del ministro, il quale non ne aveva chiesto la custodia cautelare nonostante la richiesta di consegna avanzata dalla Corte penale internazionale

Nordio ha già pubblicamente affermato che il mandato d'arresto della Cpi conteneva errori ed incongruenze, così come ha sollevato dubbi sulle modalità di trasmissione degli atti da parte della Corte dell'Aja. Il Tribunale dei ministri ha però deciso di ascoltare il ministro, anche dopo l'interrogatorio reso dal numero uno del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (Dag) di allora, Giovanni Birritteri. Della presidenza del Consiglio ci sarebbero aperture sull'opportunità del Guardasigilli di essere interrogato dai magistrati, ma si tratta di ipotesi non ancora confermate. Lo stesso ministro Nordio, fino a prima di partire per il suo viaggio in Moldavia, si sarebbe detto deciso a non presentarsi davanti ai magistrati. Un peso nella decisione finale lo avrà anche il parere della legale dei quattro, la senatrice Giulia Bongiorno

La politica prova a dialogare contro femminicidi e violenza sulle donne

L'eco della tragedia di Afragola per un attimo ha fatto abbassare le polemiche alla Camera sull’approvazione del decreto sicurezza, per lasciare spazio a dichiarazioni bipartisan di disponibilità al dialogo. “Un delitto spietato che colpisce nel profondo ogni genitore, ogni cittadino, ogni essere umano”, ha detto in un video social la presidente del consiglio Giorgia Meloni. “Dobbiamo fare di più, tutti insieme. Per Martina. Per tutte”. Poche ore prima, sempre sui social, la segretaria del Pd Elly Schlein aveva ribadito il suo appello: “Mi rivolgo una volta ancora alla presidente del Consiglio almeno per il contrasto alla violenza di genere mettiamo da parte lo scontro politico. Dobbiamo fare una legge che introduca l'educazione al rispetto e alle differenze, obbligatoria in tutte le scuole d'Italia, in tutti i cicli scolastici. Mettiamoci a un tavolo subito e discutiamo”. 

Nel Pd, quella della Meloni è stata accolta come un'apertura. Anche se la premier non ha mai citato Schlein. Per la premier “Sono molti i provvedimenti che abbiamo approvato finora per tentare di fermare questo male ma dobbiamo essere consapevoli che le norme non saranno mai sufficienti se non daremo vita ad una profonda svolta culturale e sociale. In questi anni dei passi in avanti sono stati fatti, ma evidentemente non basta”. Però non siamo all'anno zero. Sia in termini di norme sia in termini di impegno trasversale. Lo ha ricordato la segretaria di Noi Moderati, Mara Carfagna: “L'appello di Schlein tende ad avvalorare una contrapposizione sul tema della lotta alla violenza sulle donne che non esiste. La destra di governo ha sempre ricercato condivisione su questo tema”. 

Batti e ribatti a parte, sulla scia della commozione per l'ennesimo fatto di cronaca, almeno a parole la strada sembra imboccata. In attesa di un'iniziativa che porti a provvedimenti concreti, su proposta della capogruppo di Italia viva a Palazzo Madama Raffaella Paita, maggioranza e opposizione hanno chiesto al presidente del Senato Ignazio La Russa “la convocazione di una giornata d'Aula dedicata al tema dei femminicidi e dell'educazione affettiva anche tra adolescenti, che veda la partecipazione congiunta del ministero della Giustizia, del ministero dell'Interno e del ministero per la Famiglia e le pari opportunità”. 

Il centrosinistra si spacca su Gaza. Non ci sarà una manifestazione unitaria

Due piattaforme, due manifestazioni del centrosinistra su Gaza. Più una terza via, quella professata da Riccardo Magi di Più Europa, che preannuncia la partecipazione ad entrambe le iniziative e anticipa di qualche ora la scelta di diversi esponenti dem dell'ala riformista: da Simona Malpezzi a Lorenzo Guerini, da Lia Quartapelle a Graziano Delrio, fino a Walter VeriniPina Picierno e Giorgio Gori. Mentre Paolo Gentiloni avverte: il 7 giugno “è molto importante che non ci siano ambiguità nella condanna di Hamas e nella richiesta di liberazione degli ostaggi”. Il corteo nella Capitale partirà alle 14.00 da piazza Vittorio e si concluderà in piazza San Giovanni. A dividere Pd-M5s-Avs, da un lato, e Azione-Iv, dall'altro, sono stati gli obiettivi delle rispettive piazze. Quella del 7 giugno a Roma promossa da democratici, pentastellati e rossoverdi si inscrive nella mozione presentata in Parlamento che chiede, tra le altre cose, il riconoscimento dello Stato di Palestina e la condanna dei crimini di guerra di Israele. 

Calendiani e renziani, che manifesteranno il giorno prima a Milano, affiancano alla netta condanna per il governo Netanyahu la sensibilizzazione sul pericolo dell'antisemitismo e “contro chi professa la distruzione dello stato di Israele”. La spaccatura, che si manifesterà plasticamente la prossima settimana, si era già sostanziata in Parlamento, dove progressisti e centristi avevano promosso e votato documenti differenti sul Medio Oriente. Eppure, per il leader di Più Europa Riccardo Magi dividere anche le piazze è un errore: sbagliato “convocare in quel modo la manifestazione del 7” e sbagliata “la risposta di posizionamento politico dell'evento del 6. Come +Europa, con la nostra storia, non abbiamo problemi a partecipare a entrambe. Avevamo appena finito di dire che uniti si vince, come a Genova o Ravenna, e invece si è ripartiti subito disuniti”. A stretto giro preannunciano la stessa soluzione, “con uno spirito unitario di impegno comune” anche diversi riformisti del Pd.

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 26 maggio, tra i partiti del centrodestra riprende la proprio crescita Fratelli d’Italia che guadagna uno 0,2% e si attesta al 30,5%. In seconda battuta il Partito Democratico prova a non perdere terreno, guadagnando 0,3 punti e salendo al 22,8%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che si mantiene stabile al 12,4%. Tra le altre forze del centrodestra, la Lega rimane stabile (8,4%) Forza Italia perde 0,3 punti (8,0%). Nella galassia delle opposizioni, AVS arresta la propria crescita, perdendo 0,2 punti e si attesta al 6.5%. I centristi vengono rilevati singolarmente con Azione (3,2%)IV (2,6%) e +Europa (1,7%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni di Noi Moderati all’1,2%

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) segna +0,1% rispetto alla scorsa settimana, salendo al 48,1%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 29,3% delle crescendo di 0,1 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S, rimane stabile e si attesta all’12,4%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno negativo, scendendo al 7,5%.

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  1. Dopo le sconfitte di Genova e Ravenna, il Governo guarda alle regionali
  2. Meloni prosegue nella mediazione tra Usa-Ue
  3. Da Confindustria Meloni rilancia su un piano industriale straordinario
  4. Il 3 giugno Meloni e Macron si chiariranno dopo le tensioni
  5. Il Consiglio d'Europa accusa la Polizia italiana di razzismo. Ira di Meloni
  6. Tensione alla Camera sull’informativa di Tajani su Gaza
  7. Meloni vola in Asia centrale: a Samarcanda intese su energia, industria, ambiente e acqua
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