Si riapre il dibattito sulla legge elettorale. La maggioranza frena
Il cantiere sulla nuova legge elettorale si è appena riaperto e già arrivano le prime frenate. Un testo non c'è ancora, ribadiscono dalla maggioranza, ma sia FdI che FI non nascondono una preferenza per il sistema utilizzato per le elezioni regionali. “Per FI è indispensabile ragionare su un sistema che garantisca governabilità e rappresentanza. In questo senso, il proporzionale con premio di maggioranza sulla base del modello delle regioni potrebbe essere un'opzione percorribile”, insistono da FI Alessandro Battilocchio, responsabile elettorale, e il vicesegretario Stefano Benigni. Gli azzurri in ogni caso chiedono cautela: “Ora non servono fughe in avanti, ma sintonia e unità di intenti con gli alleati”. Alberto Balboni, punto di riferimento di FdI in quanto a riforme, concorda: “Il sistema che mi convince di più, con i dovuti accorgimenti, è quello in vigore per le Regioni, perché garantisce la governabilità, ma anche l'alternanza, cioè il bipolarismo, che è la forma più autentica di democrazia compiuta”.
Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato ragiona anche di preferenze e liste: “Se le liste sono corte, quattro, cinque o massimo sei candidati, le preferenze non sono così necessarie, perché agli elettori sarà chiaro per chi stanno votando. Sarà uno dei temi del confronto nella maggioranza e con le opposizioni e siamo alle ipotesi perché al momento non c'è nulla di definito”, spiega Balboni che poi ipotizza un possibile terreno di confronto con le opposizioni: “Vedo anche da esponenti della sinistra che c'è un interesse sempre più ampio sull'indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale”, azzarda. Resta, in ogni caso, il silenzio della Lega che non vedrebbe di buon occhio né le preferenze né l'indicazione del premier. Anche in FI, peraltro, non tutti scommettono sulla scelta del premier prima del voto.
I tempi, comunque, non prevedono grandi accelerazioni: “Voteremo molto probabilmente per le elezioni politiche nella tarda primavera del 2027 perché, se votassimo a scadenza naturale della legislatura, autunno 2027, ci sarebbe solo un mese per fare la Finanziaria. Parlare di tempi per la nuova legge elettorale ora è prematuro, siamo allo scambio di opinioni”, spiega Balboni. Ad escludere categoricamente che una trattativa tra maggioranza e opposizioni sia stata avviata è Elly Schlein: “Non c'è stato nessun contatto”, assicura la segretaria Pd. I dem non intendono “farsi trascinare in un dibattito su una legge elettorale che non c'è”. Non sono questi i tempi e i modi, è il ragionamento. “Non c'è nessuna proposta, quando sarà e se ci sarà questa disponibilità” a un confronto “valuteremo”, assicura il leader del M5S Giuseppe Conte. Avs concorda. Iv invece attacca la premier sulle mancate riforme e parla di “accordicchio old style”.
Le opposizioni attaccano FdI e FI sull’astensione ai referendum
Ad aprire lo scontro tra maggioranza e opposizione sui referendum dell'8 e 9 giugno è il dossier informativo inviato ai parlamentari di FdI dal partito. “Referendum, scegliamo l'astensione”, è il titolo inequivocabile che sintetizza la posizione espressa dai vertici del partito della premier Giorgia Meloni. Che in giornata ha trovato la sponda del vicepremier Antonio Tajani. L'appello del leader di FI è netto: “Non condividiamo la proposta referendaria quindi invitiamo all'astensione”. Dove per astensione il segretario di FI intende “non andare a votare”. Buona parte del centrodestra considera il non raggiungimento del quorum uno strumento politico lecito e su cui insistere già da subito per opporsi alla campagna referendaria dei partiti di opposizione. Che invece attaccano la linea difesa dai due partiti di maggioranza.
In primis, insorgono Pd e +Europa, promotrice del quesito sulla cittadinanza. Ma le bordate arrivano anche da M5S, Avs e dallo stesso segretario della Cgil Maurizio Landini. Ad aprire la valanga di critiche è il capogruppo del Pd in commissione Lavoro Arturo Scotto. “Che il principale partito di governo inviti le persone a restare a casa è un fatto gravissimo: il segnale di una profonda cultura antidemocratica”. Posizione analoga a quella espressa da Giuseppe Conte: “Quando i politici invitano i cittadini a non votare significa che vogliono aggravare le condizioni già malmesse della nostra democrazia”. Elly Schlein non attacca frontalmente il centrodestra, ma coglie l'occasione per rilanciare la mobilitazione in vista delle urne. “Il Pd è impegnato a far salire la partecipazione verso l'8 e il 9 giugno, un appuntamento che non si può mancare. Chiediamo a tutti e tutte di andare a votare”.
L'appello al voto è ribadito anche da Avs e da +Europa. Per Nicola Fratoianni, “Meloni e Tajani invitano a non andare a votare per un cinico giochetto tattico”. Il deputato di Avs parla di una “destra egoista e irrispettosa della democrazia”. Ancora più affilato il commento di Riccardo Magi “È uno scandalo che chi dice di essere per il popolo poi non dica ai cittadini di andare a votare”. A reagire, dalle fila di FI, è Maurizio Gasparri “Siccome è legittimo attivare la procedura referendaria, è altrettanto legittimo difendere le norme esistenti anche utilizzando lo strumento del quorum. É vergognoso l'argomentare patetico di alcuni che moltiplicando questo genere di iniziative finiscono per svilirne l'importanza”.
Meloni si congratula con Merz, Tajani esulta, Salvini tace
La maggioranza reagisce in maniera molto differente all'elezione, non semplicissima, del nuovo cancelliere tedesco Friederich Merz. Giorgia Meloni fa delle congratulazioni istituzionali, esulta Antonio Tajani e Matteo Salvini sceglie invece la linea del silenzio. Ad ogni modo, il via libera al governo arriva al secondo tentativo, probabilmente a causa di un voto dimostrativo di franchi tiratori della Cdu. Il primo a congratularsi è stato Antonio Tajani, compagno di famiglia politica europea, il Ppe, di Merz: “Congratulazioni al nuovo Cancelliere tedesco e mio amico Friedrich Merz. È l'inizio di una nuova stagione politica, con il pragmatismo dei nostri Governi rafforzeremo ancora di più i legami tra Italia e Germania. Unendo le nostre capacità industriali renderemo più forte l'Europa”, ha scritto su X il ministro degli Esteri.
A stretto giro è arrivata anche la dichiarazione di Giorgia Meloni, certo non dispiaciuta per il nuovo interlocutore, che ha mostrato posizioni molto simili alle sue in particolare sui migranti e sul Green Deal e per lei rappresenta un buon partner. Con una Germania più pragmatica e non più legata a politiche di austerity, è il ragionamento, anche per l'Italia ci sono più spazi di manovra. La speranza, non detta, è quella di allentare lo storico legame tra Berlino e Parigi, operazione difficile; oggi il cancelliere sarà per le prime visite in Polonia e in Francia, da quell'Emmanuel Macron che ieri ha sentito telefonicamente nell'intervallo tra le due votazioni.
L'obiettivo della presidente del Consiglio (che si è anche congratulata con il conservatore di Ecr George Simion, dato come favorito al ballottaggio in Romania) è cercare di trovare la sponda tedesca su alcuni dei temi che le stanno maggiormente a cuore, a partire dalle questioni dei migranti e della revisione del Green Deal, in particolare nel settore automotive. Non è passato inosservato il silenzio di Matteo Salvini, che si era schierato apertamente per il superamento della “Grosse Koalition” a favore di un governo che includesse l'estrema destra di Alternative fur Deutschland e che nei giorni scorsi aveva commentato molto amaramente l’inserimento di Afd nella lista delle organizzazioni considerate estremiste.
Fi spinge per un’accelerazione sulla separazione delle carriere
Fi accelera sulla riforma della separazione delle carriere dei magistrati. Oggi, mentre la maggioranza incontrerà l'Associazione Nazionale Magistrati in Parlamento, il presidente dei senatori forzisti Maurizio Gasparri fa sapere di voler andare in Conferenza dei Capigruppo a chiedere che il testo venga calendarizzato per l'Aula anche senza che sia stato dato il mandato al relatore. In realtà lui, più che di accelerazione, preferisce parlare del “superamento del blocco dei lavori che si è creato in Commissione Affari Costituzionali per gli oltre 1000 emendamenti presentati dalle opposizioni”: “Ci avrebbero inchiodato a quasi 700 ore di lavoro in Commissione e questo non è accettabile”, dichiara. Ma l'effetto, qualora la Capigruppo dovesse fissare per metà maggio la riforma in Aula, come si ipotizza, sarebbe comunque quello di arrivare al secondo voto del ddl (la Camera lo ha approvato il 16 gennaio), “ben prima dell'estate”. E questo significherebbe che si potrebbero riprendere in mano molte altre questioni, care soprattutto all'anima garantista di Fi, che erano state messe in stand by per volere di Giorgia Meloni che non voleva avere troppi fronti aperti con i magistrati.
Tra i ddl finiti nel cassetto c'è quello, ad esempio, di Pierantonio Zanettin (FI) che disciplina il sequestro di Pc e smartphone. E, probabilmente per far capire che a quelle battaglie FI non intende rinunciare, gli esponenti di punta in Commissione Giustizia e Affari Costituzionali della Camera, Enrico Costa e Tommaso Calderone, presentano tra le 10 e le 15 proposte di modifica al Decreto Sicurezza proprio su alcuni punti tra i più identitari della politica giudiziaria del partito. Anche la Lega, che con il Ministro Roberto Calderoli sta rilanciando il tema dell'Autonomia, ha presentato degli emendamenti al provvedimento. Quel che sembra evidente è che Lega e Fi puntino a utilizzare alcuni provvedimenti per poterne sbloccare altri, una strategia che potrebbe, alla lunga, generare non poche tensioni nella maggioranza.
Tensione nel Pd: i riformisti contro il sì al referendum sul Jobs Act
I riformisti del Pd si sono smarcati dalle indicazioni della segretaria Elly Schlein. L'8 e 9 giugno l’appoggio ai referendum su lavoro e cittadinanza non saranno cinque, come da direttiva di partito, ma solamente due; per gli altri quesiti i riformisti non hanno intenzione di lanciare inviti all'astensione come sta facendo il centrodestra ma resta la loro chiara contrarietà. Quando arriverà il momento di manifestarla “ognuno si esprimerà liberamente, non c'è una posizione coordinata”. Fra le opzioni ci sono il No secco e la scheda bianca ma resta sul tavolo anche la possibilità che qualcuno decida di non ritirare la scheda, facendo indirettamente il gioco della maggioranza di governo, che punta sul fattore quorum. Il messaggio ufficiale dei riformisti Pd, comunque, è: “Nessun boicottaggio, andremo a votare”.
I due “Sì” riguardano il referendum che riduce da 10 a 5 gli anni di residenza in Italia per ottenere la cittadinanza e quello per introdurre la responsabilità dell'impresa committente in caso di infortuni ai lavoratori di una ditta in appalto. I distinguo dei riformisti dalla maggioranza del partito non sono una novità. In questo caso riguardano la posizione sul jobs act, che i referendum sul lavoro mirano ad abolire: “Anche la segretaria ha riconosciuto una certa libertà di scelta” hanno fatto notare i riformisti “dicendo che non verranno chieste abiure a nessuno”. Il punto lo ha spiegato il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore di Energia popolare, l'area riformista del Pd guidata da Stefano Bonaccini: “E' evidente che serva un tagliando al jobs act, ma io penso che, per poterlo affrontare, la strada maestra sia il Parlamento”.
Al question time in Senato c’è una Meloni a tutto tondo
Ieri c’è stato il premier question time al Senato ed è stata l’occasione per Giorgia Meloni per rivendicare i risultati del Governo dal suo arrivo a Palazzo Chigi sul fronte della politica estera in virtù di “un protagonismo e un’identità chiara”, come dimostra l'ultima missione a Washington “noi facciamo valere i nostri interessi con tutti i partner, con lealtà, ma senza subalternità ed è esattamente la ragione per la quale veniamo rispettati”. Sottolinea la serietà dell'esecutivo sui conti pubblici che ha permesso all'Italia di presentarsi davanti a mercati, investitori e risparmiatori “in modo credibile di fronte a un quadro economico e finanziario che è oggettivamente molto complesso”. Ribadisce di volere tirare diritto sul dossier riforme e su quello migranti. Nelle risposte alle interrogazioni dei gruppi parlamentari non c’è, nonostante i richiami dell'opposizione di questi giorni al Governo, un riferimento specifico agli sviluppi della crisi in Medioriente.
La premier decide così di toccare il tema, ma senza citare le ultime decisioni assunte dal governo Netanyahu, preferendo mettere agli atti l'impegno del Governo “per la fine permanente delle ostilità” e l'appoggio al lavoro che i paesi arabi stanno portando avanti. “Credo che siano la chiave di volta nella soluzione permanente del conflitto. C'è un piano di ricostruzione che questi Paesi hanno portato avanti a Gaza, dal mio punto di vista credibile, anche per tracciare un quadro regionale di pace e sicurezza: quadro che, chiaramente, lo ribadisco, a nostro avviso deve includere anche la prospettiva dei due Stati”. Dopo aver ribadito il sostegno a Kiev rinnovando “l'urgenza di un cessate il fuoco immediato e incondizionato” e aver espresso l'auspicio che la Russia voglia dimostrare “concretamente la volontà di costruire la pace, perché l'Ucraina lo ha già fatto”, Meloni affronta il tema della sicurezza in ambito Nato: Italia e Ue, secondo la premier, devono rafforzare le proprie capacità difensive e quindi annuncia che l'Italia “finalmente raggiungerà nel corso del 2025” il target di spesa per la difesa pari al 2% del Pil.
Tornando al bilaterale con Donald Trump, la premier risponde sul tema legato all'importazione di gnl americano: “Partiamo da una collaborazione consolidata che è iniziata con l'amministrazione Biden e che quindi difficilmente può essere venduta come un favore che si sta cercando di fare a Trump”. Sul fronte del disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell'energia elettrica, poi, Meloni tende la mano all'opposizione: “La materia è di respiro europeo ma su questo, sulla proposta italiana, vogliamo fare una battaglia insieme in Ue? Perché io sono totalmente d'accordo e quindi una volta tanto possiamo lavorare insieme per arrivare a delle soluzioni che interessano i nostri cittadini”. Diverso invece “l'appello alle Regioni” sulle liste d'attesa: “Ogni anno noi stanziamo delle risorse, ma non le gestiamo. Con un decreto abbiamo chiesto di intervenire con dei poteri sostitutivi ma le Regioni non sono d'accordo. Però gli italiani sappiano che abbiamo queste difficoltà, perché altrimenti noi siamo semplicemente quelli che devono stanziare i soldi ed essere responsabili di quello che non funziona”.
A funzionare, viceversa, è “la strategia a tutto campo” messa in atto sul dossier immigrazione: Meloni annuncia che “alla fine di questa settimana oltre il 25% dei migranti trattenuti in Albania sarà già stato rimpatriato”. Nessun cambio di rotta sulle riforme: “Il premierato sta andando avanti ed è una legge che io continuo a considerare la madre di tutte le riforme. Non dipende da me, perché dipende dal Parlamento; sicuramente la maggioranza è intenzionata a procedere spedita. Esattamente come è intenzionata a procedere spedita sulla riforma della giustizia”. Al leader di Iv, infine, Meloni replica anche sulla legge elettorale: “Le confermo di essere favorevole all'introduzione delle preferenze”.
Al premier time è scontro tra opposizione e la Meloni. Renzi attacca
Inevitabile che il premier question time del Senato si trasformasse in un botta e risposta serrato tra le opposizioni e la presidente del Consiglio. I partiti di centrosinistra incalzano Giorgia Meloni su riforme, difesa, politica internazionale e sanità. Lei incassa le stilettate e risponde punto su punto, senza perdere quasi mai un tono pacato ma fermo. Un pizzico di impazienza, se non di nervosismo, però, si registra almeno nel battibecco con il leader di Italia Viva Matteo Renzi sulle riforme e quando il dem Francesco Boccia dà alla presidente il “bentornata” in Aula, rimproverandole il troppo tempo passato dall'ultimo premier time a Palazzo Madama; poi, Meloni alza i toni quando risponde al capogruppo Pd e prende di petto il tema della sanità. L'obiettivo puntato sulla premier racconta comunque una Meloni spesso ironica, che commenta a bassa voce con i Ministri alcuni passaggi dei senatori avversari o alza le spalle sulle domande delle opposizioni, delle quali si lamenta più volte: “Troppo lunghe, non capisco la domanda”.
Lo scambio di punzecchiature reciproche tra i banchi del Governo e quelli dell'opposizione va avanti per circa un'ora e mezza, con più di qualche momento di tensione. La temperatura sale subito quando prende la parola l'ex premier Matteo Renzi, che ironizza subito sulle “privatizzazioni del Governo”: “Da quando c'è lei gli spagnoli sono in Sparkle, gli americani in Telecom, i tedeschi in Ita e gli australiani in Autostrade”; poi punge: “Più che l'internazionale sovranista, sembra Giochi senza frontiere, altro che sovranismo”. La premier risponde a tono, comincia dicendo di aver ereditato “situazioni compromesse” sui dossier strategici, e le opposizioni la interrompono rumoreggiando. E quando risponde sul premierato, che conferma essere la “madre di tutte le riforme”, coglie l'occasione per la stoccata: “Per quello che riguarda le dimissioni in caso di sconfitta al referendum, senatore Renzi, lo farei anche volentieri ma non farò mai niente che ha già fatto lei”. Concluso l'intervento, la premier torna a sedersi con una punta di stizza. E Renzi insiste: “Mi fa piacere che la presidente del Consiglio un po' innervosita abbia visto sfuggire la domanda”, E aggiunge: “Che lei non faccia quello che ho fatto io, ce ne siamo accorti”. “La madre di tutte le riforme è diventata una suocera di cui non parla nessuno”, attacca l'ex premier, che viene interrotto più volte dai banchi della maggioranza.
Finito il battibecco, attira l'attenzione l'ingresso a seduta iniziata del vicepremier Antonio Tajani. Che trova i banchi del Governo tutti occupati e si mette a sedere nello spicchio dell'emiciclo riservato a Forza Italia accanto alla Ministra dell'Università Anna Maria Bernini. Tra i posti riservati al governo, tanti Ministri Meloni siede tra Roberto Calderoli e Orazio Schillaci. A destra, Elisabetta Casellati, Paolo Zangrillo, Daniela Santanché e Alessandra Locatelli. A sinistra, Eugenia Roccella, Carlo Nordio, Andrea Abodi e Alessandro Giuli. In basso il ministro Luca Ciriani e il sottosegretario Alfredo Mantovano. In molti notano l'assenza di Matteo Salvini.
Il Governo ribadisce la volontà di intervenire sul ceto medio, ma col tempo
Il faro del Governo resta puntato sul ceto medio, con l'obiettivo di ridurre le tasse anche a loro, come già fatto per i redditi bassi. Ma quello che fino a qualche mese fa sembrava possibile già quest'anno, potrebbe richiedere più tempo. L'orizzonte è pluriennale, chiarisce il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che già un mese fa aveva messo le mani avanti tirando in ballo anche la necessità di “tarare” ogni decisione col contesto generale su cui grava la questione dazi. L'Italia intanto ha presentato a Bruxelles una quinta richiesta di modifica del Pnrr che, spiegano fonti della Commissione, “include, tra l'altro, modifiche tecniche relative a tappe e obiettivi” della settima rata; la Commissione Ue “invierà la sua valutazione preliminare”, una volta che il piano rivisto sarà stato adottato dal Consiglio.
La politica, nel frattempo, si interroga sul taglio delle tasse per i redditi medi. A sollevare il tema in question time alla Camera è il deputato del gruppo Misto Luigi Marattin, che chiede a Giorgetti cosa intenda fare perché il ceto medio “non sia più il bancomat di una spesa pubblica famelica e inefficiente”. Per Giancarlo Giorgetti l'intento del Governo, “più volte dichiarato e più volte dimostrato” è di arrivare ad un “progressivo abbattimento” della pressione fiscale “anche per i redditi medi”: l’obiettivo però “presuppone un orizzonte temporale pluriennale”, aggiunge, ma il percorso “è stato già avviato”. Il traguardo nei mesi scorsi era però sembrato più vicino mentre ora, probabilmente, il grosso degli interventi sarà rinviato al 2026 se non oltre.
Si riunisce il Consiglio Supremo di Difesa: ribadito il 2% sulle spese militari
“L'appartenenza all'Ue e all'Alleanza Atlantica hanno sempre segnato la collocazione della Repubblica nello scenario internazionale” e l'ambito Nato è l'unico credibile per rispondere alle “gravi situazioni di conflitto che colpiscono il nostro vicinato”. Sono le conclusioni di un lungo Consiglio Supremo di Difesa (CSD) che ha riunito ieri al Quirinale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni accompagnata da diversi Ministri. È stata l'occasione, assolutamente formale, per ribadire insieme le linee fondamentali della politica estera italiana confermando l'incrollabile ancoraggio dell'Italia alla Nato e all'Ue, tanto che anche dal Csd è venuta la conferma che l'Italia terrà fede ai suoi impegni e porterà le spese per la Difesa al 2% del Pil, come era stato anticipato dalla presidente del Consiglio nel suo intervento al Parlamento. La riunione ha passato in rassegna tutte le principali aree di crisi, dall'Ucraina a Gaza, dalle tensioni tra India e Pakistan ai colloqui sul nucleare iraniano. Di particolare interesse sono le riflessioni sulle minacce cyber, le fake news e la conseguente necessità di “vigilanza” sulle infrastrutture nazionali che possono risultare fragili se attaccate.
Bisogna, si legge nel comunicato diffuso dal Quirinale, “mantenere vigilanza sulla tutela delle infrastrutture critiche nazionali e nella difesa contro gli attacchi cyber e nello spazio cognitivo, che vede un crescente, insidioso e costante propagarsi di fake news; sulla sicurezza dell'ambiente sottomarino; sulla necessità di scongiurare l'occupazione e la militarizzazione dello spazio; così come ritiene decisivo il sostegno allo sviluppo delle nuove tecnologie e dell'IA”. Molto significativo risulta anche il passaggio dedicato alla crisi israelo-palestinese e in particolare alla drammatica situazione di Gaza dove si esprimono parole chiare: “In MO, l'interruzione del cessate il fuoco a Gaza suscita forte preoccupazione”, è la premessa. “I feroci attacchi terroristici di Hamas contro inermi cittadini israeliani del 7 ottobre 2023 hanno innescato una spirale d’inaudita violenza causando migliaia di vittime e una crisi umanitaria senza precedenti a Gaza, incendiando l'intera area, in un conflitto che si è esteso ben oltre il territorio palestinese e destabilizza l'intera area del Mediterraneo allargato.
L'Italia ritiene indispensabili il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario e della legalità internazionale, la immediata e duratura cessazione dei combattimenti, la liberazione degli ostaggi ancora crudelmente nelle mani di Hamas, il ripristino urgente da parte di Israele delle condizioni che consentano l'assistenza umanitaria alla popolazione civile di Gaza”. Conseguenziale l'apprezzamento per la mediazione omanita per i colloqui tra Washington e Teheran sul nucleare iraniano: un dialogo “significativo per contribuire alla stabilità nell'intera area mediorientale”. Infine, sul conflitto in Ucraina: “Dopo tre anni l'aggressività russa non accenna a diminuire, come dimostrano le recenti stragi di civili. Il sostegno dell'Italia per Kiev, fermo e determinato, ha l'obiettivo di una pace giusta e duratura, fondata sui principi e sui valori della Carta delle Nazioni Unite. Le garanzie di sicurezza, per essere solide e credibili, non potranno prescindere dalla cornice di unità euro-atlantica”. Parole nette e chiare che non lasciano dubbi sulla posizione dell'Italia.
Mattarella e Meloni danno il pieno sostegno a Papa Leone XIV su pace e diritti
Le parole “speranza” e “pace” sono quelle più ricorrenti nei messaggi delle cariche dello Stato e del mondo politico indirizzati a Leone XIV, il nuovo Papa eletto ieri pomeriggio. Dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai presidenti di Senato e Camera, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, fino alla presidente del consiglio Giorgia Meloni tutti hanno espresso sentimenti di gioia, evidentemente colpiti anche dalle parole di Leone nel suo primo discorso. “In questo momento storico, in cui tanta parte del mondo è sconvolta da conflitti inumani dove sono soprattutto gli innocenti a soffrire le conseguenze più dure di tanta barbarie” ha scritto Mattarella “desidero assicurarle l'impegno della Repubblica Italiana a perseguire sempre più solidi rapporti con la Santa Sede per continuare a promuovere una visione del mondo e della convivenza tra i popoli fondata sulla pace, sulla garanzia dei diritti inviolabili e della dignità e la libertà per tutte le persone, quella pace che Vostra Santità ha evocato con forza nel Suo primo messaggio dalla loggia di San Pietro e che è la speranza dell'umanità intera”.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni in una lettera inviata al Pontefice ha sottolineato che “l'Italia ha un legame indissolubile col Vicario di Cristo”, legame senza il quale “non si potrebbero comprendere l'identità, la storia e la cultura della nostra Nazione”. “La nostra casa si fonda sulla sintesi straordinaria tra fede e ragione”, ha aggiunto evocando un concetto caro a papa Ratzinger, per poi sottolineare le parole odierne di Leone sulla pace: “Pace di cui il mondo ha disperato bisogno e che Lei, dalla Loggia della Benedizioni, ha invocato più volte, richiamando l'incessante e instancabile azione portata avanti dal compianto Papa Francesco”. Meloni conclude la lettera assicurando “il proprio “affetto filiale” al Papa. Anche il vicepremier e leader di Fi Antonio Tajani ha sottolineato le parole di pace del papa: “Ringraziamo Dio per aver dato un nuovo Vescovo a Roma e una nuova guida alla Chiesa Cattolica. Pregherò per lui, vicario di Cristo e successore di Pietro”. Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, ha confessato di essere “emozionato e commosso”: “Pace disarmata e disarmante ha invocato il Santo Padre, benedicendo centinaia di migliaia di fedeli. Buona missione Papa Leone XIV!” ha aggiunto il leader della Lega.
Si apre la partita in Veneto: si vota a novembre
La decisione del Consiglio di Stato sulle elezioni in Veneto piomba nell'arena politica dando uno scossone agli equilibri nel centrodestra già alle prese con la discussione sulla legge elettorale. La Regione del Nord-Est andrà al voto entro il 20 novembre, al più tardi il 23. La sentenza con cui il Consiglio esprime il parere chiesto dal Veneto sulla normativa per le prossime elezioni non lascia dubbi: “Il quinquennio di carica terminerà nei corrispondenti giorni di settembre 2025 e le elezioni dovranno quindi avere luogo entro i sessanta giorni successivi”. Si apre così la partita interna alla coalizione di governo, chiamata a trovare un compromesso sul candidato alla Presidenza.
La strada parte in salita, con almeno due concorrenti: da una parte, la Lega che non vuole rinunciare alla Regione governata da Luca Zaia, dall'altra, Fratelli d'Italia che rivendica il peso specifico del consenso raccolto nelle ultime tornate elettorali e intende spingere per un candidato di bandiera. Le distanze potranno essere affrontate solo ai massimi livelli, in un confronto a tre tra la premier Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. E non è escluso che la presidente del Consiglio possa avviare un dialogo diretto con lo stesso Zaia, governatore uscente che gode di un ampio consenso sul territorio. In ogni caso, la corsa è ufficialmente iniziata, e con ritmi già sostenuti, che deludono gli auspici di chi, almeno in casa Lega, sperava in un voto nel 2026, all'indomani delle Olimpiadi. C’è l'opportunità di mettere sul tavolo del confronto interno al centrodestra anche la scelta del governatore lombardo.
Sulla legge elettorale le Lega sembra perplessa e frena
Resta ancora tutta da giocare la partita in maggioranza sulla legge elettorale, tema che la premier Giorgia Meloni non ha evitato nel question time in Aula al Senato, aprendo sull'introduzione delle preferenze. E la reazione della Lega non si è fatta attendere; secondo i retroscena di alcuni quotidiani, Matteo Salvini ai suoi fedelissimi avrebbe spiegato che la nuova legge elettorale che ha in mente FdI “non va bene”: “Se si vuole costruire un sistema che ci danneggia, allora per noi l'attuale legge va benissimo”. A prima mattina, però, arriva la nota con cui la Lega smentisce categoricamente le dichiarazioni riportate dai giornali: i virgolettati attribuiti al segretario, fanno sapere da via Bellerio, “sono totalmente falsi, Salvini non si è mai espresso sulla legge elettorale”. Più tardi, è il capogruppo della Lega alla Camera Maurizio Molinari a dare la linea, che comunque suona come una frenata rispetto alle ipotesi circolate nelle ultime ore nelle fila di FdI e Fi: “Per noi la legge elettorale che c'è adesso va più che bene”, spiega il deputato leghista.
Parole che lasciano intendere che la Lega non guarda con particolare interesse alle proposte arrivate su un proporzionale con premio di maggioranza sulla base del modello delle Regioni, ipotesi sostenuta nei giorni scorsi da Alberto Balboni di FdI e sulla quale sono arrivati apprezzamenti da Fi, che comunque ha invitato a evitare fughe in avanti. Il capogruppo della Lega interviene anche sul sistema delle preferenze: “La proposta di reintrodurre le preferenze con i capi lista bloccati mi sa un po' di presa in giro, un'operazione di maquillage. Sicuramente la preferenza porta ad avere un legame maggiore col territorio, ma porta anche a concentrarsi di più soltanto su aspetti localistici-territoriali rispetto al lavoro di un parlamentare, per non parlare poi di quello che è legato agli eventuali voti di scambio”. Sulle preferenze le posizioni non sono ancora consolidate, né tra le forze di opposizione, né in maggioranza, dove circola anche l'idea di liste corte, con quattro o cinque candidati, che renderebbe superfluo il sistema delle preferenze. Molinari, intanto, tiene a precisare che una proposta di legge elettorale ancora non c'è, né tanto meno un tavolo di maggioranza sul tema. Guardando al futuro, tende però la mano agli alleati: “quando gli alleati vorranno parlarci di legge elettorale sanno dove trovarci”.
Il Governo incontra i Sindacati: apertura su sicurezza del lavoro e subappalti
La premier Giorgia Meloni vede i sindacati a Palazzo Chigi, ai quali conferma che sul tavolo ci sono altri 650 milioni di euro e una serie di misure allo studio. Intanto il Governo pensa a potenziare il meccanismo premiale per le imprese virtuose ma anche a rimettere mano alle norme sui subappalti, tema anche di uno dei quesiti promossi dalla Cgil per il referendum dell'8 e 9 giugno e che il leader Maurizio Landini rilancia. Nella sala verde a palazzo Chigi insieme alla presidente del Consiglio c'è quasi tutto l'esecutivo. Il clima è positivo, “collaborativo”, come dice la ministra del Lavoro, Marina Calderone. Il confronto proseguirà poi anche con le imprese. L'obiettivo, condiviso, è quello di fermare le troppe tragedie sui luoghi di lavoro. Del resto, la stessa Meloni torna a parlare di “un'alleanza” tra istituzioni, sindacati e associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità e per questo chiede di “unire gli sforzi” e delineare le proposte “senza pregiudizi”.
Le risorse disponibili per gli interventi sono oltre 1,2 miliardi da indirizzare agli interventi per la tutela dei lavoratori e dei datori. Per le imprese l'intenzione è continuare a premiare quelle che investono in prevenzione, potenziando, spiega la premier “il meccanismo del cosiddetto bonus-malus relativo al calcolo dei premi Inail”. Durante l'incontro emerge poi la disponibilità del Governo ad aggiornare le regole nella catena dei subappalti con l'obiettivo di rafforzare i controlli e le responsabilità riguardo alla sicurezza dei lavoratori, un impegno, fanno sapere dall'esecutivo, mentre è in corso il tavolo cui il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini non partecipa, impegnato nelle stesse ore al Mit per l'incontro con il Ministro greco Konstantinos Kyranakis, “concordato direttamente da Salvini con la Meloni”.
Sul tema era intervenuto il nuovo Codice degli appalti, fortemente voluto dal vicepremier leghista, più volte attaccato dagli stessi sindacati per averne esteso i limiti con i subappalti a cascata. Uno dei quattro quesiti sul lavoro della Cgil chiede di abrogare le norme che impediscono in caso di infortunio sul lavoro negli appalti di estendere la responsabilità all'impresa appaltante. “Se vogliamo risolvere il problema abbiamo immediatamente un referendum”, afferma Maurizio Landini al termine dell'incontro, che comunque giudica positivamente nel metodo: “Per la prima volta”, afferma, l'esecutivo “ha dichiarato la disponibilità a confrontarsi su una serie di temi”, ora andranno verificate le risposte. Apprezzamento confermato dagli altri sindacati.
Si riapre il dibattito sul Mes. L'Eurozona chiede conto all'Italia
Il Meccanismo europeo di stabilità riemerge e torna ad essere discusso all'Eurogruppo. E, ancora una volta, l'Italia finisce nel mirino: al Ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti nel corso della riunione di lunedì a Bruxelles sarà chiesto infatti di riferire sullo stato della ratifica del trattato riformato, l'unica ancora mancante nell'Eurozona. Da Roma, comunque al momento non si vedono aperture. In passato Giorgetti ha più volte espresso scetticismo e nel giugno 2024, all'Ecofin, aveva liquidato la questione nettamente: “Il Parlamento non è nelle condizioni di approvarlo”. Un cambiamento di rotta, aveva aggiunto, potrebbe arrivare solo in futuro e solo “se il Mes cambia, se migliora, se cambia natura”; insistere sulla ratifica era come “buttare sale sulla ferita”. Lunedì però il presidente dell'Eurogruppo Paschal Donohoe cercherà di nuovo di tirare le fila, chiedendo al dg del Meccanismo, Pierre Gramegna, un aggiornamento su tre dossier: la revisione della chiave di ripartizione dei contributi tra i Paesi membri, la ratifica del trattato e la revisione del toolkit, ovvero l'insieme degli strumenti operativi del Meccanismo.
Insomma, un pacchetto solo in apparenza tecnico: le implicazioni politiche sono tutt'altro che marginali. Sull’Italia i toni sono per felpati, del resto, la bocciatura del Parlamento italiano a dicembre 2023 ha lasciato il trattato riformato in un limbo. La versione aggiornata del Mes avrebbe dovuto introdurre il cosiddetto backstop, un paracadute finanziario a supporto del Fondo di risoluzione unico per le crisi bancarie. Senza il via libera dell'Italia, però, il backstop resta congelato. A gennaio 2024 la premier Giorgia Meloni aveva rivendicato la scelta come un'opportunità, rovesciando la prospettiva: “Il Mes è uno strumento obsoleto. Forse la mancata ratifica da parte dell'Italia può diventare un'occasione per trasformarlo in qualcosa di più efficace”. Ed ecco ora la revisione del toolkit. Vedremo, ora, se la postura dell’Italia cambierà.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 5 maggio, tra i partiti del centrodestra arresta la proprio crescita Fratelli d’Italia che perde uno 0,2% e scende al 30,1%. In seconda battuta il Partito Democratico recupera terreno, guadagnando 0,5punti e salendo al 22,5%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che invece perde lo 0,2% e scende all’12,2%. Nonostante il sorpasso sull’alleato di governo, arretra la Lega, che perde lo 0,2% (8,6%) mentre continua la crisi di Forza Italia, che scende all’8,4%, perdendo lo 0,3%. Nella galassia delle opposizioni, AVS torna a crescere, guadagnando 0,2 punti e attestandosi al 6.4%, mentre i centristi, rilevati singolarmente, avanzano con Azione (3,5%), IV (2,8%) e +Europa (1,7%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni di Noi Moderati all’1,0% che, scavalcando Sud Chiama Nord, fa confluire in Altri il partito di De Luca perché sotto all’1,0%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) segna -0,7% rispetto alla scorsa settimana, scendendo al 48,1, recuperando però nel totale dei voti anche le percentuali di Noi Moderati. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,9% delle preferenze guadagnando 0,7 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S, perde 0,2 punti e si attesta all’12,2%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno positivo, guadagnando lo 0,2%, salendo all’8,0%.
- Si riapre il dibattito sulla legge elettorale. La maggioranza frena
- Le opposizioni attaccano FdI e FI sull’astensione ai referendum
- Meloni si congratula con Merz, Tajani esulta, Salvini tace
- Fi spinge per un’accelerazione sulla separazione delle carriere
- Tensione nel Pd: i riformisti contro il sì al referendum sul Jobs Act
- Al question time in Senato c’è una Meloni a tutto tondo
- Al premier time è scontro tra opposizione e la Meloni. Renzi attacca
- Il Governo ribadisce la volontà di intervenire sul ceto medio, ma col tempo
- Si riunisce il Consiglio Supremo di Difesa: ribadito il 2% sulle spese militari
- Mattarella e Meloni danno il pieno sostegno a Papa Leone XIV su pace e diritti
- Si apre la partita in Veneto: si vota a novembre
- Sulla legge elettorale le Lega sembra perplessa e frena
- Il Governo incontra i Sindacati: apertura su sicurezza del lavoro e subappalti
- Si riapre il dibattito sul Mes. L'Eurozona chiede conto all'Italia
- I sondaggi della settimana