Le Commissioni Bilancio della Camera e del Senato hanno proseguito le audizioni nell’ambito dell’esame del ddl recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2026 e bilancio pluriennale per il triennio 2026-2028 (AS. 1689).
Sono stati ascoltati:
- Marco Elio Rottigni, Direttore generale di ABI;
- Francesco Minotti, Amministratore delegato di Mediocredito centrale;
- Andrea Munari, Amministratore delegato di Asset Management Company (AMCO).
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Abstract:
Durante l’audizione parlamentare, è stato illustrato un quadro macroeconomico in moderata ripresa, caratterizzato dalla crescita dei prestiti e dalla riduzione dei tassi di interesse, ma anche da un contesto di forte incertezza geopolitica e rallentamento del PIL. Sono tuttavia state segnalate criticità legate all’impatto delle nuove misure fiscali, che comporteranno un aggravio per il settore bancario quantificato in circa 9,6 miliardi nel quadriennio 2026-2029. In particolare, Mediocredito centrale ha fornito aggiornamenti sull’operatività del gruppo, evidenziando l’impegno a sostegno del tessuto imprenditoriale, in particolare nel Mezzogiorno, attraverso l’erogazione del credito, la gestione del Fondo di Garanzia per le PMI e di altri strumenti agevolativi, con risultati in costante miglioramento. AMCO, infine, ha illustrato le novità introdotte dall’art. 118, comma 3, della legge di bilancio, relative alla gestione e riscossione delle entrate locali. La società, controllata dal MEF, è chiamata a intervenire in supporto dei comuni in difficoltà, attraverso un modello operativo innovativo, basato sulla costituzione di patrimoni destinati, l’impiego di tecnologie avanzate e la selezione trasparente di operatori privati qualificati. L’obiettivo è garantire un sistema di riscossione più efficiente, omogeneo e tracciabile, nel pieno rispetto dell’autonomia degli enti locali.
Di seguito gli argomenti trattati:
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MARCO ELIO ROTTIGNI |
SCENARIO MACROECONOMICO E DINAMICHE CREDITIZIE
Rottigni ha illustrato il punto di vista del settore bancario sul ddl Bilancio 2026, collegato alla programmazione economico-finanziaria delineata nel documento programmatico di bilancio 2025. Ha effettuato una valutazione dello scenario economico e creditizio nazionale, evidenziando segnali di ripresa nella dinamica del credito. Secondo i dati BCE aggiornati a settembre 2025, i prestiti a famiglie e imprese sono aumentati dell’1,6% su base annua, mostrando un'accelerazione rispetto ai mesi precedenti. Tale miglioramento si accompagna a una riduzione significativa dei tassi di interesse sui nuovi finanziamenti, che per le imprese sono diminuiti di circa 220 punti base e per i mutui casa di circa 120 punti base rispetto a novembre 2023. Queste dinamiche, tuttavia, hanno avuto un impatto negativo sui margini di interesse delle banche, che nei primi sei mesi del 2025 hanno registrato una riduzione di circa il 6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una tendenza prevista in peggioramento anche per il biennio successivo.
INCERTEZZA GLOBALE E RISCHI DI CREDITO
Ha posto l’accento sull’elevato livello di incertezza che caratterizza il contesto economico internazionale, fortemente condizionato da instabilità geopolitica e dalle tensioni commerciali derivanti dall’introduzione di nuovi dazi. Ha ricordato che il Fondo Monetario Internazionale prevede un rallentamento generalizzato della crescita del PIL, mentre il deterioramento delle catene di approvvigionamento potrebbe aggravare ulteriormente tale tendenza. In Italia, la crescita economica per i prossimi anni è stimata al di sotto dell’1%, con un peggioramento del rischio di credito, in particolare per il settore imprenditoriale: si prevede infatti che il tasso di deterioramento dei crediti alle imprese raggiunga il 3% nel 2026. I dati Eurostat confermano una tendenza all’aumento dei fallimenti aziendali: a giugno 2025 si registra un incremento del 18% rispetto all’anno precedente, un dato nettamente superiore alla media dell’area euro, pari al +2,8%. Questo scenario determina l’aumento delle rettifiche di valore sui prestiti e contribuisce a un clima di incertezza sui mercati, confermato anche dall’andamento crescente dei credit default swaps sui titoli sovrani.
INTERVENTI FISCALI SUL SETTORE BANCARIO
Ha effettuato un’analisi delle misure fiscali previste nel disegno di legge di bilancio, che impattano direttamente sul comparto bancario. Ha quantificato in circa 9,6 miliardi di euro il maggiore gettito atteso per il quadriennio 2026-2029 derivante dalle misure fiscali a carico delle banche. Tra queste, la modifica alla deducibilità delle svalutazioni dei crediti Stage 1 e Stage 2, da effettuarsi in cinque quote annuali, e l’istituzione di un regime di affrancamento della riserva straordinaria con aliquote progressive (27,5% nel 2026, 33% nel 2027 e 40% nel 2028). Particolarmente rilevante è l’aumento dell’aliquota IRAP per banche, intermediari finanziari e assicurazioni, che per il triennio 2026-2028 passerà dal 4,65% al 6,65%, con una pressione fiscale effettiva, considerando le maggiorazioni regionali, stimata attorno al 7,40%. Viene inoltre previsto il differimento di alcune deduzioni fiscali, la limitazione della deducibilità IRES degli interessi passivi su base decrescente per quattro esercizi fiscali, e la restrizione dell’accesso alla participation exemption ai dividendi provenienti da partecipazioni qualificate superiori al 10%.
NORME DI ARMONIZZAZIONE EUROPEA E MISURE STRAORDINARIE
Ha osservato che, in ottemperanza alla giurisprudenza europea, l’art. 17 del disegno di legge introduce modifiche al trattamento IRAP dei dividendi provenienti da controllate europee, escludendone il 95% dal valore della produzione netta a partire dal 2025. Contestualmente, si prevedono modalità specifiche per la richiesta di rimborso della maggiore IRAP versata negli anni 2020-2024. Viene anche ridefinito il trattamento IRES dei dividendi, con il fine di contrastare la doppia imposizione. Infine, sono previste proroghe per le misure a favore delle imprese agricole e agroindustriali colpite dal sisma del 2012 e per la sospensione delle rate di mutui e finanziamenti nei territori del Centro Italia interessati dai terremoti del 2016, con estensione al 31 dicembre 2026.
Stefano Patuanelli (M5S) – ha sollevato tre domande. La prima ha riguardato l’art. 20 della legge di bilancio, relativo al regime di affrancamento delle riserve. Ha osservato come la relazione tecnica allegata alla legge di bilancio contenesse una stima dell’effetto atteso della misura, pur riconoscendo che tale stima risultasse costruita su basi teoriche, in quanto non era ancora possibile conoscere in modo puntuale il numero effettivo di soggetti che avrebbero aderito all’affrancamento, considerata la progressività delle aliquote delle imposte sostitutive previste. In questo contesto, ha chiesto a Rottigni se ritenesse condivisibile l’impianto complessivo della quantificazione proposta, riconoscendo al tempo stesso che, ai fini della definizione dell’equilibrio di bilancio, tali stime risultano comunque necessarie. Rispetto a una valutazione più generale dell’intero impianto normativo della manovra, e in particolare delle disposizioni ritenute riconducibili a un “contributo allo Stato” da parte del sistema bancario, ha poi chiesto di chiarire quale sia stato il livello e la qualità dell’interlocuzione tra ABI e il Governo nella fase preliminare di predisposizione della legge di bilancio, e quale sarebbe stato, secondo l’Associazione, il tipo di contributo che il sistema bancario avrebbe ritenuto più opportuno fornire alla costruzione della manovra economica, sia in termini di contenuti che di modalità di partecipazione al processo decisionale.
Tino Magni (Misto-AVS) – ha sollevato una riflessione sul tema del contributo economico del settore bancario alla chiusura della manovra di bilancio. Ha ricordato come all’interno dell’esecutivo vi fossero posizioni che consideravano pienamente legittimo un coinvolgimento diretto delle banche nel sostenere la sostenibilità finanziaria della legge di bilancio, alla luce dei risultati economici positivi registrati da una parte del sistema bancario. Ha quindi esteso la considerazione ad altri settori dell’economia, come quello energetico e farmaceutico, che durante le fasi più critiche della recente congiuntura economica avevano conseguito profitti molto rilevanti. In tale contesto, ha fatto riferimento al concetto di “extraprofitti”, sottolineando che il dibattito ormai si è spinto oltre la mera eccezionalità del fenomeno, ponendo la questione della legittimità di un contributo strutturale da parte di tali comparti. Ha quindi espresso l’esigenza di fare chiarezza sui numeri e sulle ipotesi attualmente in discussione, segnalando come nel confronto pubblico vi fossero stime divergenti. Alcune fonti parlavano di un apporto di circa 5 miliardi di euro a carico del sistema bancario, mentre altre proponevano cifre differenti. Pur dichiarandosi favorevole a un contributo stabile e non occasionale da parte del settore, ha domandato quale fosse lo stato dell’arte del confronto istituzionale, le modalità di quantificazione previste e le reali intenzioni del Governo e del comparto bancario rispetto a tale impegno.
Maria Cecilia Guerra (PD) – ha espresso una valutazione critica in merito al complesso di misure fiscali previste a carico del settore bancario nella legge di bilancio, soffermandosi in particolare sulla coerenza del loro impianto. Ha ritenuto necessario sottolineare che l’insieme delle disposizioni adottate risultava, a suo avviso, privo di una razionalità fiscale organica e appariva come una combinazione disomogenea di interventi dal profilo tecnico incerto. In questo contesto, ha domandato se fosse stato condotto uno studio o un’analisi sull’impatto differenziato che tale insieme di misure potrebbe determinare all’interno del sistema bancario. In particolare, ha chiesto se fossero state individuate le tipologie di istituti su cui tale prelievo fiscale straordinario rischiasse di gravare in misura maggiore, nel caso in cui le disposizioni fossero mantenute nella loro formulazione attuale. L’intervento ha inteso sollecitare una valutazione più approfondita sugli effetti asimmetrici della manovra, con riferimento sia alla sostenibilità del carico fiscale sia alla sua equità tra operatori del settore.
Elena Bonetti (Az) – ha rivolto due domande. Innanzitutto, ha segnalato un incremento dell’attività creditizia rivolta a famiglie e imprese già registrato nel settembre 2025, parallelamente alla previsione di un aggravio temporaneo dell’aliquota IRAP a carico degli istituti bancari. In questo contesto, ha domandato se le misure fiscali introdotte rischiassero di compromettere la sostenibilità complessiva del sistema bancario, soprattutto alla luce del contemporaneo calo dei tassi di interesse che incide negativamente sulla redditività. Ha chiesto, in particolare, se tali misure potessero ripercuotersi sull’attività di erogazione del credito e determinare, di fatto, una ricaduta indiretta sui finanziamenti a famiglie e imprese, con un possibile irrigidimento delle condizioni di accesso o un aumento dei costi per i beneficiari finali. Ha poi richiamato il dibattito in corso sulla progressiva riduzione della presenza fisica delle banche sul territorio, con particolare riferimento alla chiusura di numerosi sportelli bancari. Ha chiesto ad ABI quale fosse il loro orientamento in merito e se, a fronte di questa tendenza, non fosse invece auspicabile l’adozione di una politica di rafforzamento della prossimità bancaria, in particolare nelle aree interne, rurali o svantaggiate del Paese, con un’attenzione specifica al Mezzogiorno. Ha osservato come tale presenza territoriale risulti cruciale non solo per garantire l’accesso ai servizi bancari alle famiglie, ma anche per sostenere gli investimenti e l’attività economica delle micro e piccole imprese, che più di altre risentono dell’assenza di presidi bancari fisici nelle aree periferiche.
Claudio Borghi (Lega) - ha chiarito il quadro concettuale e politico sotteso alla proposta di tassazione straordinaria nei confronti del settore bancario, evidenziando come l’intento non fosse di natura punitiva, bensì regolatoria. Ha ribadito che il buon andamento economico delle imprese, comprese quelle bancarie, è motivo di soddisfazione per il sistema Paese, ma ha osservato che in presenza di profitti straordinari non accompagnati da una crescita proporzionata dell’occupazione o da un rafforzamento dell’apparato industriale, si determinerebbe una condizione di squilibrio nella distribuzione dei benefici. Ha aggiunto che, qualora tali risultati finanziari fossero conseguiti parallelamente a una riduzione del personale, ciò configurerebbe un’eccedenza di remunerazione del capitale non sostenuta da un adeguato impatto sociale, e in tale circostanza sarebbe legittimo l’intervento dello Stato mediante strumenti regolatori di natura fiscale. Alla luce di tale riflessione, ha sollevato due questioni specifiche. La prima ha riguardato la rete degli sportelli bancari e il loro ruolo di presidio territoriale. Ha domandato se il settore bancario intendesse proseguire lungo il percorso di razionalizzazione e riduzione progressiva degli sportelli fisici, o se, al contrario, vi fosse una riflessione in corso sulla possibilità di arrestare questa tendenza e valutare un ritorno a una maggiore prossimità, in particolare nelle aree periferiche del Paese. La seconda questione ha riguardato l’assetto tecnico della tassazione straordinaria. In merito a questo, ha chiesto se il sistema bancario considerasse preferibile una modalità ispirata al modello spagnolo, che prevede un’aliquota fissa applicata su elementi definiti, come il margine d’interesse e le commissioni, mantenendo costante il gettito previsto. Ha domandato se tale impostazione potesse risultare più accettabile o funzionale rispetto a quella attualmente delineata nella proposta normativa italiana.
Replica Rottigni - ha fornito chiarimenti in merito all’art. 20 della legge di bilancio, relativo al meccanismo di affrancamento delle riserve. È stato specificato che la quantificazione presentata nella relazione tecnica si basava su una presunzione di convenienza economica da parte delle banche a esercitare l’opzione per l’affrancamento, soprattutto in relazione alla progressività delle aliquote previste, che salgono dal 27,5% nel primo anno al 33% e infine al 40% nel 2028. Tale impianto presupponeva che gli istituti bancari, se soggetti a tale misura, avrebbero avuto interesse ad aderire già nel primo anno utile, ovvero il 2027, quando l’aliquota risultava ancora relativamente contenuta. L’unico caso in cui tale convenienza economica non si sarebbe manifestata riguardava i soggetti che non distribuiscono dividendi, i quali non avrebbero avuto alcun beneficio diretto dall’affrancamento nell’arco temporale considerato. Da questa impostazione derivava la stima dell’impatto economico fornita in sede tecnica. In merito all’impatto delle misure fiscali previste dalla manovra, ha chiarito che esse avrebbero inciso in modo generalizzato su tutto il sistema bancario, sebbene con effetti differenziati in funzione delle dimensioni dei singoli istituti. È stato evidenziato come nessuna tipologia bancaria potesse considerarsi esente, e che l’onere si sarebbe distribuito trasversalmente, colpendo tutte le forme di banche attive sul territorio. La struttura delle misure non distingueva tra modelli di business o aree operative, con il rischio di gravare indistintamente sull’intero comparto. Rispondendo alla domanda sulla chiusura degli sportelli bancari, ha osservato come la questione dovesse essere letta nel contesto di un cambiamento economico e sociale più ampio. Ha riconosciuto, anche per esperienza diretta, la criticità derivante dalla progressiva riduzione della presenza fisica bancaria, soprattutto nelle aree montane o periferiche, ma ha sottolineato che tale fenomeno rifletteva un’evoluzione strutturale che interessava non solo il sistema bancario, ma l’intero ecosistema delle rappresentanze territoriali. In questo quadro, la crescente diffusione dell’uso dei servizi digitali ha giocato un ruolo determinante: l’adozione delle tecnologie digitali è aumentata esponenzialmente non solo tra le fasce più giovani, ma anche tra le generazioni più mature, con una conseguente ristrutturazione dell’organizzazione dei servizi.
Infine, ha ribadito che pur potendo auspicare un sistema fiscale diverso o più graduale, il settore bancario ha comunque dimostrato senso di responsabilità e disponibilità a contribuire, accettando con spirito collaborativo le misure previste dalla legge di bilancio. Tuttavia, ha posto l’accento sulla necessità di vigilare attentamente su ogni misura che possa avere impatti patrimoniali rilevanti o che possa alterare la percezione del mercato riguardo alla solidità degli istituti bancari. Il sistema bancario ha confermato, in questo contesto, il proprio sostegno alle esigenze di finanza pubblica, pur mantenendo una postura attenta agli equilibri di sostenibilità economica e patrimoniale.
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FRANCESCO MINOTTI |
ORIGINI E STRUTTURA DEL GRUPPO MEDIOCREDITO CENTRALE
Nato nel 1952 come ente pubblico finalizzato all’erogazione del credito a medio-lungo termine e alle agevolazioni per le piccole e medie imprese, Mediocredito Centrale è stato trasformato in società per azioni nel 1994. A seguito della legge del 2009 e del decreto del 2010, ha assunto un ruolo strategico per lo sviluppo delle aree meridionali, culminato nel 2017 con l’ingresso nel gruppo Invitalia, oggi sua controllante. Dal 2021, a seguito dell’acquisizione del gruppo Banca Popolare di Bari tramite le risorse rese disponibili dal decreto-legge 142/2019, Mediocredito Centrale è divenuto capogruppo di un gruppo bancario a capitale interamente pubblico, con una missione esplicita di sostegno allo sviluppo economico del Mezzogiorno attraverso operazioni di mercato, anche mediante partecipazioni in società bancarie e finanziarie. Il gruppo si compone oggi, oltre che da Mediocredito, da BdM Banca (ex Banca Popolare di Bari) e dalla Cassa di Risparmio di Orvieto, per la quale è stato annunciato il closing della cessione entro maggio 2026. L’operazione di rilancio della Popolare di Bari, uscita da una fase commissariale, ha rappresentato un momento significativo nella strategia pubblica di consolidamento e risanamento bancario nel Mezzogiorno, configurandosi come una componente del più ampio processo di riequilibrio territoriale del sistema creditizio nazionale.
PERFORMANCE FINANZIARIA E ATTIVITÀ OPERATIVA DEL GRUPPO
Nel primo semestre del 2025, Mediocredito Centrale ha conseguito un utile netto consolidato pari a 55 milioni di euro, con un apporto positivo di tutte le sue banche, a conferma della solidità del modello operativo. Gli impieghi netti a clientela hanno raggiunto i 9 miliardi di euro (escludendo Cassa di Risparmio di Orvieto e RFS5), mentre i finanziamenti erogati a famiglie e imprese hanno superato 1,2 miliardi di euro, di cui circa due terzi destinati al Mezzogiorno, coerentemente con la missione istituzionale. Particolarmente significativi sono stati i risultati di BdM Banca, che ha consolidato il proprio rilancio nel semestre. Mediocredito Centrale ha continuato a svolgere un ruolo attivo nella gestione di strumenti agevolativi per conto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, fra cui il Fondo per la Crescita Sostenibile e il Fondo di Garanzia per le PMI. L’attività si è estesa anche a collaborazioni con enti territoriali e finanziarie regionali, tra cui il protocollo d’intesa firmato con l’Associazione Nazionale Finanziarie Regionali nel luglio 2024, volto alla costruzione di strumenti finanziari per favorire l’accesso al credito delle imprese. Inoltre, il gruppo si è affermato come attore centrale nei programmi di basket bond nazionali e regionali, offrendo strumenti alternativi ai finanziamenti bancari tradizionali. Operazioni come “Garanzia Campania Bond”, “Basket Bond Lazio” e “Basket Bond Puglia”, realizzate con la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti, hanno movimentato complessivamente circa 400 milioni di euro, con un ulteriore programma da 75 milioni avviato con Finlombarda.
STRUMENTI AGEVOLATIVI NAZIONALI E IMPATTO ECONOMICO
Ha rivendicato il proprio ruolo nella gestione delle misure agevolative nazionali, in particolare il Fondo per la Crescita Sostenibile, dedicato al finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo industriale di elevato impatto tecnologico. A tal riguardo, sono stati lanciati nel 2025 due strumenti: il bando “STEP – Strategic Technologies for European Platforms” e il “Bando Accordo per l’Innovazione”, con avvio operativo previsto per gennaio 2026. I dati aggregati dal 2014 a settembre 2025 indicano l’approvazione di 1.898 progetti, per un totale di 3.900 soggetti beneficiari e un’attivazione di investimenti pari a 11,6 miliardi di euro, sostenuti da 5,7 miliardi di agevolazioni pubbliche. È stato inoltre illustrato il funzionamento e l’impatto del Fondo di Garanzia per le PMI, istituito dalla legge 662/1996, che rappresenta il principale strumento nazionale per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese italiane. Gestito per conto del MIMIT da Mediocredito Centrale in qualità di mandataria, il fondo ha fornito garanzia a oltre 2 milioni di operazioni, per un controvalore finanziato pari a 156 miliardi di euro e un ammontare garantito di 119 miliardi, corrispondenti a circa il 25% del totale dei finanziamenti alle imprese italiane. Nel periodo gennaio-settembre 2025 si è registrata una crescita del 12,4% delle domande accolte, con un valore medio dei finanziamenti pari a 185.000 euro, e un incremento del 20% delle operazioni finalizzate a investimenti, che oggi rappresentano circa il 40% del totale. Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto alla fase emergenziale del Covid-19, quando il fondo era impiegato prevalentemente a sostegno della liquidità.
EVOLUZIONE DEL FONDO DI GARANZIA E MISSIONE PUBBLICA DEL GRUPPO
Ha tracciato un bilancio dell’evoluzione del Fondo di Garanzia, che ha assunto un ruolo cruciale durante le fasi di emergenza pandemica e del conflitto russo-ucraino, operando in regime straordinario grazie al Decreto Liquidità e alle successive proroghe. La legge di bilancio 2025 ha introdotto una disciplina transitoria prorogata fino al 31 dicembre 2025, che ha mantenuto il massimale garantibile a 5 milioni di euro per impresa, ampliato l’accesso a enti del Terzo Settore e small-mid cap, e confermato la gratuità dell’intervento per le microimprese. Attualmente, sono ancora attive quasi 1,5 milioni di operazioni legate al periodo emergenziale, con un’esposizione residua di 61 miliardi di euro e garanzie pari a circa 52 miliardi. La vita media residua del portafoglio è di 2,5 anni, e il decalagedell’esposizione sta proseguendo rispetto al picco massimo di 226 miliardi raggiunto a fine 2022. I tassi di deterioramento e decadimento del portafoglio si sono mantenuti sotto controllo, inferiori ai livelli pre-Covid tra il 2021 e il 2024, e in linea con le serie storiche a partire dal 2025. In conclusione, Mediocredito centrale ha ribadito la propria identità di gruppo a missione pubblica, orientato al sostegno dell’economia nazionale con un’attenzione privilegiata per il Mezzogiorno, cui è destinata la maggior parte delle risorse.
Stefano Patuanelli (M5S) – ha sollevato alcune osservazioni in merito all’attuale sistema delle garanzie statali. In primo luogo, ha richiamato le dichiarazioni rilasciate dal Ministro dell’Economia e delle Finanze nel corso di una precedente audizione, in cui lo stesso Ministro aveva espresso una critica esplicita nei confronti di un ricorso giudicato eccessivo allo strumento delle garanzie pubbliche. In quell’occasione, aveva anche lasciato intendere la possibilità di avviare una revisione complessiva del sistema. Ha quindi chiesto, in tal senso, se Mediocredito centrale fosse già stato coinvolto in un’interlocuzione preliminare con il Governo su una possibile riforma o razionalizzazione dell’architettura normativa delle garanzie. Successivamente, l’intervento si è concentrato sul quadro evolutivo delle garanzie statali introdotte durante la fase emergenziale legata alla pandemia da Covid-19. Ha ricordato come, nel 2020, la legislazione straordinaria avesse determinato un significativo rafforzamento del perimetro di copertura pubblica a tutela dei prestiti alle imprese, in particolare attraverso il meccanismo del Fondo Centrale di Garanzia. Tra le misure più emblematiche, è stato citato il prestito garantito al 100% fino a 30.000 euro, che costituì una risposta urgente all’emergenza di liquidità. In quel contesto, si era reso necessario rivedere anche i criteri di accantonamento delle riserve, che nella gestione ordinaria si attestavano su una soglia compresa tra il 4% e il 6%, coerentemente con un rischio di escussione più contenuto, dato il maggiore scrutinio operato dalle banche nella valutazione del merito creditizio. Al contrario, nel regime straordinario, l’assenza di filtri bancari rigorosi e l’ampiezza della garanzia avevano comportato un aumento significativo delle riserve accantonate per coprire i potenziali inadempimenti. Alla luce di tale evoluzione, ha domandato se Mediocredito centrale fosse in grado di fornire un aggiornamento puntuale sui risultati effettivi di tale impianto emergenziale. In particolare, ha chiesto a quanto ammontasse, ad oggi, la quota complessiva di garanzie effettivamente escusse dallo Stato, ossia gli interventi attivati per coprire i mancati rientri da parte delle imprese beneficiarie dei prestiti. Ha chiesto inoltre se vi fosse una stima del residuo disponibile dei fondi originariamente stanziati nei diversi provvedimenti legislativi, e in che misura tali risorse fossero ancora impegnate o già svincolate, al termine della fase emergenziale.
Tino Magni (Misto-AVS) – ha posto l’attenzione sull’impatto delle risorse messe a disposizione dal PNRR, richiamando l’obiettivo strategico che ne aveva ispirato l’adozione, ovvero la riduzione delle disuguaglianze territoriali, economiche e sociali nel Paese. Ha sottolineato come, negli ultimi anni, l’entità degli investimenti sia stata significativa e mirata a colmare storici divari, soprattutto a favore delle aree più fragili e svantaggiate del territorio nazionale. Alla luce della conclusione del programma prevista per il 2026, ha sollevato una riflessione sull’efficacia e sulla sostenibilità nel tempo di tali interventi. In particolare, ha chiesto se, a giudizio di Minotti, le misure messe in campo abbiano effettivamente prodotto risultati tangibili in termini di riduzione delle disuguaglianze e se esistano oggi le condizioni per consolidare tali progressi. Ha inoltre chiesto se, una volta conclusa la fase straordinaria del PNRR, il sistema Paese sarà in grado di mantenere i risultati eventualmente raggiunti e di rilanciare in modo strutturale lo sviluppo delle aree più in difficoltà, garantendo un’effettiva continuità delle politiche pubbliche a favore della coesione territoriale.
Replica Minotti – ha stato evidenziato come la normativa vigente prevedesse un accantonamento minimo dell’8% sul valore garantito dal Fondo Centrale di Garanzia. Tuttavia, nel periodo pandemico, si era ritenuto prudente incrementare questa percentuale, arrivando a una media del 14-15%, in considerazione dell’incertezza sulla qualità del portafoglio. Tale scelta aveva permesso di costruire una riserva significativa, che oggi si sta progressivamente liberando grazie al fatto che, a posteriori, la qualità del credito erogato si è dimostrata sostanzialmente buona. Ha infatti chiarito che i finanziamenti concessi durante l’emergenza sanitaria, pur godendo di una robusta copertura da parte del Fondo Centrale di Garanzia, erano comunque stati assegnati tenendo conto della capacità di rimborso dei beneficiari, e non sulla sola base della garanzia pubblica. Questo ha determinato un’incidenza relativamente contenuta di insolvenze, con la conseguenza che una parte delle risorse accantonate si è rivelata eccedente rispetto al fabbisogno effettivo. Oggi, l’accantonamento medio si attesta intorno al 12%, al di sopra della soglia minima dell’8%. Grazie a questo margine positivo, è stato possibile finanziare l’operatività del Fondo per gli anni 2024 e 2025 senza richiedere ulteriori stanziamenti da parte dello Stato, utilizzando le risorse accantonate ma non impiegate durante la fase emergenziale. Ha poi chiarito di non essere direttamente responsabile della gestione delle risorse del PNRR, operando piuttosto come banca di mercato, sebbene con una particolare attenzione agli investimenti nelle aree di coesione. La valutazione sull’efficacia del PNRR in termini di riduzione delle disuguaglianze è stata dunque formulata in modo indiretto, sulla base dei dati generali di sistema. Ha sottolineato come diversi operatori finanziari, con cui Mediocredito Centrale collabora, siano coinvolti in progetti legati al PNRR. Inoltre, ha evidenziato come gli investimenti derivanti dal Piano abbiano contribuito in misura significativa alla crescita del PIL. Con riferimento specifico alle aree di coesione e al Mezzogiorno, è stato osservato che queste, nel periodo successivo alla crisi pandemica, hanno registrato una performance superiore rispetto al resto del Paese, in controtendenza rispetto a quanto accaduto nei decenni precedenti. Sebbene il miglioramento non possa essere attribuito esclusivamente al PNRR, è stato riconosciuto un nesso positivo tra le misure attivate e la dinamica di crescita osservata.
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ANDREA MUNARI |
UNA RIFORMA PER COLMARE LE CRITICITÀ STRUTTURALI DELLA RISCOSSIONE LOCALE
Ha ritenuto il ddl Bilancio 2026 un provvedimento strategico per la sostenibilità della finanza locale e per il miglioramento complessivo dell’efficienza della pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 118, comma 3, ha previsto l’estensione del perimetro operativo di AMCO alla riscossione attiva dei tributi locali, con l’intento di superare le attuali disfunzioni del sistema, che si è mostrato frammentato, eterogeneo e inefficace, soprattutto nei comuni di minori dimensioni. La società ha chiarito come la misura persegua l’obiettivo di rafforzare la capacità di recupero dei crediti da parte degli enti territoriali, in un modello di cooperazione tra Stato, Comuni e operatori privati qualificati, nel pieno rispetto dell’autonomia locale. Ha inoltre rimarcato come l’ingresso nel settore della riscossione sia perfettamente coerente con la propria missione, potendo contare su solidi fondamentali finanziari: 30 miliardi di euro di crediti in gestione, un CET1 ratio del 40% e un rating AAA+ confermato dalle principali agenzie internazionali.
STRUTTURA OPERATIVA: PATRIMONI DESTINATI E PRESIDIO PUBBLICO-PRIVATO
Ha illustrato in dettaglio il modello operativo proposto. La gestione della riscossione sarà effettuata attraverso la creazione di patrimoni destinati, secondo quanto previsto dal Codice Civile. Tale configurazione giuridica consentirà di separare il rischio relativo a ciascun incarico di riscossione dal patrimonio generale della società, garantendo tracciabilità, trasparenza e sicurezza per gli enti conferenti. Gli enti locali, pur mantenendo la titolarità dei crediti, conferiranno il mandato di gestione e riscossione al patrimonio destinato, acquisendo in cambio diritti amministrativi e informativi proporzionati al loro apporto. La gestione operativa sarà affidata a una sezione dedicata e separata di AMCO, nonché a soggetti terzi, selezionati tra i concessionari iscritti all’albo di cui all’art. 53 del dlgs n. 446 del 1997 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonchè riordino della disciplina dei tributi locali), mediante gare pubbliche ispirate ai principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza. I criteri di selezione includeranno requisiti stringenti in termini di capacità patrimoniale e finanziaria, dotazione tecnologica, esperienza nella riscossione coattiva, rispetto dei diritti dei contribuenti e presìdi contro conflitti di interesse. AMCO manterrà un ruolo di supervisione, coordinamento e rendicontazione dei flussi di cassa, assicurando il rispetto degli standard operativi fissati dal decreto attuativo.
STANDARD NAZIONALI, INTEROPERABILITÀ E MIGLIORAMENTO DELLE PERFORMANCE
Ha illustrato come i benefici attesi dalla riforma si articolano su più livelli. In primo luogo, si prevede un miglioramento significativo nella capacità di recupero dei crediti, grazie all’introduzione di processi industrializzati e standardizzati, all’impiego di piattaforme tecnologiche interoperabili e all’adozione di metriche di valutazione delle performance uniformi. In secondo luogo, la riforma dovrebbe favorire una maggiore omogeneità nei servizi erogati, colmando il divario esistente tra territori e assicurando, attraverso l’introduzione di standard minimi nazionali, una qualità e tempestività del servizio uniforme su tutto il territorio. In terzo luogo, è atteso un rafforzamento della trasparenza e della tracciabilità, grazie a un sistema di reportistica evoluta e alla rendicontazione periodica delle attività, che permetteranno ai comuni di monitorare con precisione l’andamento della riscossione e di valutare la bontà dell’intervento affidato. In un’ottica di sostenibilità economico-finanziaria, è stata prospettata anche la possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi a valere sui patrimoni destinati, cui gli enti locali potranno aderire nella veste di terzi apportanti, con benefici in termini di controllo e ritorni strutturati.
GOVERNANCE, VIGILANZA E IMPLICAZIONI ISTITUZIONALI
Per quanto riguarda la governance complessiva del sistema, ha chiarito che le modalità attuative saranno definite da un decreto del MEF, adottato d’intesa con la Conferenza Stato-Città e le Autonomie locali. Il decreto disciplinerà, tra l’altro, le condizioni di affidamento ad AMCO, le soglie di efficienza sotto le quali scatterà l’obbligo per i comuni di aderire al nuovo modello, i limiti e le modalità per la costituzione dei patrimoni destinati e i criteri per la selezione degli operatori esterni. Ha suggerito, inoltre, di istituire un comitato di indirizzo e controllo composto dal Dipartimento delle Finanze, dall’ANCI e da AMCO stessa, con funzioni di monitoraggio, trasparenza e pubblicazione di rapporti periodici. In conclusione, ha sottolineato che la riscossione non può essere considerata una mera funzione tecnica, bensì uno strumento di equità fiscale e di ricostruzione del rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni.
Tino Magni (Misto-AVS) – ha sollevato una riflessione critica in merito alla coerenza tra la riforma sulla riscossione dei tributi locali e il principio dell’autonomia differenziata. Ha osservato che, sebbene il nuovo modello organizzativo delineato dall’art. 118 preveda un’adesione formalmente volontaria da parte dei comuni, esso comporti, nella sostanza, una marcata centralizzazione nella definizione degli indirizzi operativi. Ha riconosciuto che la riforma possa migliorare la qualità del servizio di riscossione offerto agli enti locali, ma ha altresì espresso perplessità sul fatto che l’impianto previsto determini una significativa compressione dell’autonomia decisionale dei comuni. Secondo quanto affermato, il sistema prospettato, pur mantenendo una cornice formale di autonomia, comporterebbe di fatto una direzione unitaria e centralizzata, con una riduzione degli spazi di autodeterminazione da parte degli enti locali sul piano organizzativo e gestionale. In tal senso, ha evidenziato una possibile contraddizione tra le finalità della riforma e l’indirizzo politico più generale dell’esecutivo in materia di rafforzamento dell’autonomia territoriale, sottolineando la necessità di interrogarsi sulla coerenza complessiva delle scelte legislative in atto.
Maria Cecilia Guerra (PD) – ha chiesto chiarimenti circa la reale natura della volontarietà prevista per i comuni nell’adesione al nuovo modello di riscossione affidato ad AMCO. In particolare, ha voluto comprendere se tale facoltà fosse effettivamente libera o se, al contrario, fosse condizionata da soglie prestazionali minime, al di sotto delle quali l’intervento di AMCO diventerebbe obbligatorio. Ha domandato se il margine decisionale degli enti locali risultasse limitato da parametri oggettivi di efficienza, tali da determinare un meccanismo di affidamento automatico in presenza di situazioni critiche.
Inoltre, ha chiesto quali strumenti operativi distintivi AMCO possedesse rispetto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ponendo l’attenzione sull’eventuale ampliamento delle prerogative nel recupero coattivo dei crediti. Ha domandato, ad esempio, se AMCO fosse abilitata ad effettuare pignoramenti o ad accedere a fonti informative ulteriori rispetto a quelle normalmente utilizzabili dall’Agenzia. Infine, ha chiesto se AMCO fosse vincolata alla restituzione dei crediti non riscossi decorsi cinque anni, o se la disciplina dei patrimoni destinati prevedesse regole differenti in merito alla durata dell’attività di recupero e alla gestione degli esiti infruttuosi.
Replica Munari – ha chiarito che la riforma in esame non intende in alcun modo ridurre l'autonomia degli enti locali. Al contrario, ha affermato che l'obiettivo principale della nuova normativa è proprio quello di rafforzare la capacità di riscossione degli enti, offrendo loro strumenti più efficaci che consentano un incremento delle risorse disponibili, senza dover necessariamente fare ricorso al supporto finanziario dello Stato centrale. In tal senso, la riforma rappresenterebbe un'opportunità concreta per i comuni di disporre di maggiori mezzi economici, grazie a un sistema di riscossione più moderno ed efficiente. Ha poi evidenziato i limiti attuali dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, sottolineando come le risorse e le dimensioni operative di tale ente siano purtroppo insufficienti a far fronte alla vasta mole di pratiche da gestire, soprattutto in relazione a importi mediamente molto contenuti per i quali il costo della riscossione risulterebbe sproporzionato. In quest’ottica, ha ribadito l’impegno nel continuare a investire in modo significativo nella tecnologia, con l’obiettivo di costruire un servizio altamente efficiente che possa rafforzare sensibilmente la capacità di riscossione degli enti locali. Ha inoltre precisato che l’affidamento delle attività di riscossione ad AMCO resta volontario. Tale affidamento interverrebbe esclusivamente nei casi in cui i singoli enti non dovessero raggiungere determinati indicatori di efficacia nella riscossione. Tuttavia, l’intento dichiarato della riforma è quello di strutturare un sistema che renda il più possibile trasparente ed efficiente il processo di riscossione, tanto da creare un vero e proprio mercato in questo settore. In prospettiva, ciò dovrebbe ridurre progressivamente l’intervento stesso di AMCO, giungendo a un meccanismo sempre più automatizzato.
Infine, ha chiarito che tale impostazione non costituisce in alcun modo una critica all’Agenzia delle Entrate, la cui competenza è stata riconosciuta. La questione è di natura strutturale e organizzativa: si tratta, infatti, di adottare le risorse disponibili nel modo più efficiente e razionale possibile, al fine di migliorare concretamente i risultati della riscossione.


