Dombrovskis apre su Fondo rinascita. Gentiloni: “Ci sarà emissione comune”

Qualche apertura dai rigoristi c'è e il Commissario europeo Paolo Gentiloni si dice sicuro che l'emissione di debito comune, in una forma o nell'altra, ci sarà. Ma la strada è ancora lunga e passa per il Consiglio Ue del 23 aprile. Ad ogni modo, parlando alla stampa tedesca, il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis spiega che un Fondo per la ricostruzione, per complessivi 1.500 milioni di euro, è allo studio. Il progetto voluto dalla Francia, e ben visto dall'Italia, potrebbe quindi vedere la luce e far ripartire in maniera corale il progetto europeo, magari in chiave ambientalista, come auspica il ministro Enzo Amendola firmando il documento per una green recovery. Dombrovskis non entra nei dettagli del Fondo (ancora tutti da discutere), ma dice che potrebbe essere finanziato da obbligazioni “sostenute da una garanzia degli Stati membri”. 

Sarebbe questo l'orizzonte che dovrebbe avere il piano per la rinascita europea, sempre che i leader riuniti al Consiglio Ue del 23 aprile siano d'accordo. Si dice sicuro che ci sarà un'emissione comune il Commissario all'Economia a Bruxelles Paolo Gentiloni: “Bisogna capire come andrà fatto, se con il bilancio comunitario o un altro strumento. Ma lì arriveremo, ne sono convinto”. L'orizzonte, comunque, è di lungo periodo. Più immediato, invece, potrebbe essere il ricorso agli strumenti europei già esistenti. Nel paper firmato da Padoan e pubblicato dalla Luiss si ricorda che la Commissione Ue ha già consentito ampia flessibilità sulla destinazione dei fondi strutturali non ancora utilizzati, e si parlerebbe di circa 20 miliardi; poi c'è il Mes, il Fondo Salva Stati, su cui il dibattito politico italiano non accenna a calmarsi.  

L'Ue si scusa con l’Italia. Macron rilancia sul Fondo comune europeo

L'Unione Europea porge le scuse ufficiali all'Italia, promette solidarietà, ma non compie ancora nessun passo verso la definizione del Fondo per la ripresa che, secondo Roma, dovrebbe essere finanziato dagli Eurobond. Ieri è stato il presidente francese Emmanuel Macron a incalzare: serve un Fondo comune o l'Ue come progetto politico crollerà e vinceranno i populisti “oggi, domani e dopodomani”. Ma l'attenzione delle Istituzioni europee è sempre più concentrata sul prossimo bilancio pluriennale, dal quale i vertici di Commissione e Consiglio vorrebbero attingere per far arrivare all'economia europea la pioggia di miliardi necessaria al rilancio. Sebbene sia chiaro che un bilancio come quello discusso e rigettato a febbraio, cioè poco sopra l'1% del reddito nazionale lordo, non potrà mai essere sufficiente a finanziare sia l'Unione sia la ripresa, il dilemma resta quindi dove trovare i nuovi fondi, e nell'Ecofin informale di ieri Italia, Spagna, Francia e Portogallo hanno ribadito che servono emissioni comuni di titoli.  

“È vero che molti erano assenti quando l'Italia ha avuto bisogno di aiuto all'inizio di questa pandemia. L'Ue ora deve presentare scuse sentite all'Italia, e lo fa. Ma le scuse valgono solo se si cambia comportamento. C’è voluto molto tempo perché tutti capissero che dobbiamo proteggerci a vicenda”, ha ammesso la presidente Ursula von der Leyen davanti alla plenaria del Parlamento europeo. Scuse accettate dal Governo italiano. Sul negoziato che si svolgerà al vertice europeo di giovedì prossimo l'Italia continua a fare sponda con Francia, Spagna e Portogallo. Durante l'Ecofin, il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, assieme ai colleghi alleati, ha ribadito l'importanza di creare il Recovery Fund da finanziare attraverso l'emissione di titoli comuni. L'obiettivo resta lo stesso: sostenere la ripresa, garantendo le stesse condizioni a tutti gli Stati membri; l'unico modo per farlo è condividere il costo degli stimoli, che necessariamente saranno diversi da Paese a Paese, perché diversa è la loro situazione di partenza. Macron, in un'intervista al Financial Times, è andato dritto al punto: serve un fondo che “possa emettere debito comune con una garanzia comune” per finanziare gli Stati membri in base alle loro necessità. Il rischio è che utilizzando il bilancio europeo, i fondi vengano distribuiti in base ai contributi dei Paesi e non a seconda di quanto malmesse sono le loro economie. Ma è presto per gridare all'ingiustizia, perché per ora le idee cominciano solo ad affluire; matureranno forse in tempo per il vertice Ue. Per la Von der Leyen è chiaro che “il bilancio pluriennale europeo sarà la guida della ripresa” e bisognerà usarne “la potenza per fare leva per investimenti massicci”. È più o meno la formula che si usò per il piano Juncker per gli investimenti: una base comune di garanzie prese dal bilancio (21 miliardi), che con un effetto leva (ed emissioni comuni) hanno mosso in sette anni oltre 300 miliardi di euro; ma una parte veniva co-finanziata dagli Stati. La Von der Leyen parla di anticipo dei fondi per far partire subito gli investimenti, ma senza un aumento consistente delle poste dei Paesi non si risolverà il problema di un continente da far ripartire a diverse velocità. 

Per l’Istat con il lockdows sono ferme 2,1 milioni di imprese, il 48% del totale

Con il lockdown, le attività formalmente sospese riguardano 2,1 milioni di imprese (poco meno del 48% del totale), che impiegano 7,1 milioni di addetti (di cui 4,8 milioni di dipendenti). È uno dei dati che emerge da un approfondimento dell'Istat sui 787 settori di attività economica secondo la classificazione Ateco a 5 cifre e relativo al Registro statistico esteso sui risultati economici delle imprese (Frame-SBS) che contiene dati individuali su tutte le imprese industriali e dei servizi attive nel nostro paese (circa 4,4 milioni di unità), integrato con ulteriori registri statistici (sulle imprese importatrici ed esportatrici e sul lavoro in particolare). Le imprese ferme generano, sulla base dei dati riferiti al 2017, 1.334 miliardi di euro di fatturato (il 41,4% del livello complessivo) e 309 miliardi di valore aggiunto (il 39,5% del totale). Con riferimento ai principali macro-settori economici, i provvedimenti di chiusura hanno riguardato in maniera più pervasiva l'industria: quasi i due terzi delle imprese industriali, che rappresentano il 46,8% del fatturato e il 53,2% del valore aggiunto del macro-settore, hanno dovuto sospendere la propria attività. Al contempo, nel terziario l'incidenza delle imprese che operano in comparti la cui attività è interrotta è del 43,8%, il 37,2% in termini di fatturato e il 29% in termini di valore aggiunto. 

La sospensione incide in misura maggiore nel comparto industriale anche dal punto di vista occupazionale: il 59,3% degli addetti del settore afferiscono ad attività sospese, contro il 35,2% riscontrato nei servizi. In questo contesto, la sospensione delle attività ha inciso in particolar modo nel nord-est (dove il 50,1% dell'occupazione afferisce ad attività sospese) e del nord-ovest (43,3%), mentre la quota è via via inferiore nel centro (41,3%), nel sud (41,1%) e nelle isole (33,6%). I settori al momento sospesi rappresentano il 63,9% delle esportazioni di beni e realizzano all'estero il 20,4% del fatturato, contro l'8,1% di quello prodotto dalle imprese operanti nei settori aperti. In particolare, per quanto concerne il comparto industriale, il 66,4% delle esportazioni sono generate da settori sospesi, che mostrano una propensione all'esportazione ampiamente superiore a quella riscontrata in quelli attivi (35% di incidenza delle esportazioni sul fatturato rispetto al 15,6%). Le imprese che operano in settori sospesi sono anche caratterizzate da un numero medio di paesi di destinazione dell'export più elevato (10,4 contro 8,1 nell'industria, 13,7 contro 10,9 per il totale economia) e un maggior numero medio di prodotti esportati (8,9 contro 6,0 nell'industria, 12,3 contro 9,9 per il totale economia) rispetto a quelli attivi. 

L’Istat stima un rallentamento dell’inflazione ma non per il carrello della spesa

Nel mese di marzo, l’Istat stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo registri un aumento dello 0,1% sia su base mensile sia su base annua (da +0,3% di febbraio), confermando la stima preliminare. Accelera, invece, il carrello della spesa che sale a +1%. La decelerazione dell’inflazione è imputabile prevalentemente alla dinamica dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (che registrano un’inversione di tendenza da +1,2% a -2,7%) e dei servizi (che rallentano la loro crescita da +1,0% a +0,8%); tali andamenti sono stati solo in parte compensati dall’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari lavorati (da +0,5% a +1,1%) e dei tabacchi (da +1,5% a +2,5%). L’inflazione acquisita per il 2020 è pari a zero per l’indice generale e +0,2% per la componente di fondo. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano da +0,3% di febbraio a +1%, mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto rallentano da +0,8% a +0,6%, registrando in entrambi i casi una crescita più sostenuta di quella riferita all’intero paniere. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta del 2,2% su base mensile, per effetto della fine dei saldi invernali dell’abbigliamento e calzature, e dello 0,1% su base annua (da +0,2% del mese precedente), confermando la stima preliminare. 

L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,1% sia su base mensile che su base annua. Gli indici dei prezzi al consumo di marzo sono stati elaborati nel contesto dell’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del Coronavirus in Italia, con la sospensione di attività di ampi segmenti dell’offerta di beni e servizi di consumo. L’impianto dell’indagine sui prezzi al consumo, basato sull’utilizzo di una pluralità di canali per l’acquisizione dei dati, ha consentito di ridurre gli effetti negativi dell’elevato numero di mancate rilevazioni. Per l’Istituto di statistica “Nel difficile contesto dell’emergenza sanitaria, a marzo il rallentamento dell’inflazione si spiega con l’inversione di tendenza dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, e in particolare di quelli dei carburanti, e con la decelerazione dei prezzi dei servizi. Il rallentamento sarebbe stato più ampio se non si fosse verificata contestualmente l’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari lavorati, che ha portato la variazione del cosiddetto carrello della spesa all’uno per cento”.

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Settimana Economica 11 - 17 aprile 2020

 



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