Il rialzo dell’inflazione preannuncia uno scontro sul Qe alla Bce

La Bce prende atto delle condizioni mutate nell'economia, che l'hanno spinta a rivedere al rialzo le stime di crescita e inflazione. Ma ribadisce che la fiammata dei prezzi è temporanea, senza quindi sbilanciarsi sulle prossime decisioni in tema di acquisti di debito su cui, in vista del Consiglio direttivo di dicembre, si prepara un confronto serrato. La presidente Christine Lagarde ha annunciato due settimane fa che, dopo l'accelerazione data nel secondo e terzo trimestre, rallenteranno gli acquisti di bond col programma pandemico Pepp. E che sul dopo, ossia su cosa fare in vista della scadenza del Pepp a marzo, si deciderà a dicembre. 

Il Bollettino economico è laconico: la Bce è pronta a rimodulare “le altre misure tese a rispettare il mandato di stabilità dei prezzi conferito alla Bce”, e cioè gli acquisti col precedente programma App, i tassi d'interesse, le aste di rifinanziamento come la nona tranche del Tltro3 assegnata oggi, 97,6 miliardi di euro a tre anni a 152 banche. Cautela che riflette il confronto in atto fra le due anime nel Consiglio direttivo. Sullo sfondo c’è una crescita che, dopo il 2,2% del secondo trimestre, promette una seconda metà dell'anno ancora forte, andando verso una crescita 2021 stimata al 5%. E un'inflazione che dopo il 3% di settembre promette di aumentare ancora, ancorché, puntualizza la Bce, abbia natura “perlopiù temporanea”, dovuta ai rincari dell'energia e dei noli di container. Le stime dicono 2,2% nel 2021, 1,7% nel 2022, 1,5% nel 2023. Per una parte, ormai consistente, dei governatori a Francoforte, simili stime d'inflazione sono già superate e dovranno essere riviste al rialzo a dicembre. 

S&P alza al 5,1% le stime di crescita dell’Eurozona nel 2021

S&P alza le stime di crescita dell'eurozona in considerazione di una ripresa dell'economia più forte del previsto dopo la rimozione fra marzo e aprile delle misure di restrizione nella maggior parte dei paesi. Le nuove stime della società di rating prevedono ora una crescita del Pil dell'area euro pari al 5,1% nel 2021, in deciso rialzo rispetto al +4,4% atteso a giugno. Confermata invece per il 2022 la previsione di un'espansione al ritmo del 4,5%. “La forza della ripresa ha causato carenze di materiali e un aumento dei prezzi delle materie prime portandoci a rivedere al rialzo la nostra previsione di inflazione per quest'anno al 2,2% dall'1,8%. Tuttavia, continuiamo a vedere l'inflazione decelerare al di sotto dell'obiettivo della Bce il prossimo anno sulla scia di pressioni salariali contenute e di un rallentamento della velocità di crescita”. Secondo S&P, l'aumento transitorio dell'inflazione non è tale da indurre la Bce a inasprire la politica monetaria. “Se da un lato è probabile che la Bce metta fine agli acquisti netti di attività nell'ambito del Pepp entro la fine di marzo 2022” prosegue il rapporto “dall'altro prevediamo che aumenterà gli acquisti netti nell'ambito del suo tradizionale programma di Qe (l'App) e che possa anche ridefinirne le caratteristiche. Di conseguenza, non ci aspettiamo che la Bce metta fine agli acquisti netti di asset prima della fine del 2023 e quindi non si aspettano aumenti dei tassi fino alla fine del 2024”. 

Draghi richiama i Ministri sul Pnrr: solo 13 misure su 51

Otto riforme approvate su ventisette e cinque investimenti realizzati su ventiquattro. Sono i numeri a rendere l'idea di quanto il Governo dovrà lavorare per la realizzazione di tutti gli obiettivi del Recovery plan. È imperativo, per ricevere tutti i fondi europei, rispettare i 51 obiettivi del 2021 indicati nel Piano di ripresa e resilienza approvato dall'Ue, ma a oggi di quei target ne sono stati centrati solo 13. Ecco perché, con un’informativa affidata in Consiglio dei ministri al sottosegretario Roberto Garofoli e al ministro dell’Economia Daniele Franco, Mario Draghi dà una sferzata ai Ministri perché agiscano nei tempi: “Dobbiamo mantenere la stessa ambizione e determinazione che abbiamo avuto negli scorsi mesi”, spiega il premier, ponendo l'accento sulle riforme. Il Pnrr vale 191,5 miliardi da qui al 2026, prevede 151 investimenti e 63 riforme: per ciascuno di essi sono già indicati rigidi tempi di realizzazione, che condizionano l'erogazione delle risorse. In ballo nel 2021 ci sono 13,8 miliardi, ecco perché Garofoli e Franco portano in Cdm il risultato del primo monitoraggio sui 24 investimenti e le 27 riforme da adottare quest'anno e annunciano la convocazione nelle prossime settimane di più cabine di regia settoriali con i Ministri competenti e di una cabina di regia anche con gli Enti locali per verificare l'avanzamento dei target da qui al primo semestre 2022, impostare il lavoro di ciascun ministero e individuare ostacoli e criticità. 

A ciascuna amministrazione è inoltre richiesto di inviare al più presto a Palazzo Chigi e Mef un piano dettagliato con indicazione delle norme e degli Atti amministrativi necessari anche per utilizzare le risorse; per i casi di stallo più spinosi la cabina di regia presieduta da Draghi potrà valutare anche l'esercizio di poteri sostitutivi e la nomina di commissari. I cinque investimenti finora realizzati sono per lo più funzionali all'attuazione del Pnrr. Tra gli investimenti da realizzare ci sono progetti per la gestione dei rifiuti e l'economia circolare, un fondo per l’imprenditorialità femminile, un appalto per il portale del turismo digitale, un investimento sugli autobus elettrici, borse di studio per l’università, servizi alle persone vulnerabili, fondi per le imprese turistiche, un credito d'imposta per le strutture ricettive, un programma contro l'inquinamento e uno sui rischi di alluvioni e idrogeologici, l'ammodernamento del parco digitale degli ospedali. Quanto alle riforme, si va dal Cloud nazionale al pacchetto d’interventi sull’università (classi di laurea, dottorati, alloggi per gli studenti), dalla spending review alle misure contro l'evasione fiscale. A ottobre, annuncia Draghi, arriverà la legge sulla concorrenza

Per l’Istat nel 2020 sono diminuite le entrate della Pa e la pressione fiscale cresce

Nel report sui conti economici l’Istat è chiara: nel 2020 le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono diminuite del 6,8% rispetto all'anno precedente. L'incidenza sul Pil è pari al 47,5%. Le entrate correnti hanno registrato un calo del 6,8%, attestandosi al 47,3% del Pil. In particolare, le imposte dirette sono diminuite del 2,8%, principalmente per la forte contrazione dell'Irpef, in parte compensata dall'aumento dell'imposta sostitutiva per i contribuenti in regime forfettario, mentre l'Ires ha registrato un calo più contenuto. Le imposte indirette hanno segnato una caduta più marcata (-11,7%), con diminuzioni significative del gettito Iva, delle accise, dell'imposta sul lotto e lotterie e dell'Irap. I contributi sociali effettivi sono scesi rispetto al 2019 (-5,8%). Le altre entrate correnti si sono ridotte dell'1,4%, nonostante l'andamento positivo dei dividendi. 

La pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata pari al 42,8%, in aumento rispetto all'anno precedente, per la minore flessione delle entrate fiscali e contributive (-6,7%) rispetto a quella del Pil a prezzi correnti (diminuito del 7,9%). E dunque: nel 2020 le uscite totali delle Amministrazioni pubbliche sono cresciute dell'8,4% rispetto al 2019. In rapporto al Pil sono risultate pari al 57,1%. Al loro interno, le uscite correnti sono aumentate del 5,8% principalmente a causa della dinamica delle prestazioni sociali in denaro (+10,5, +3,7 nel 2019), a loro volta guidate dal forte incremento degli assegni di integrazione salariale (Cig), passati da circa 800 milioni nel 2019 a quasi 14,5 miliardi nel 2020, dagli assegni e sussidi assistenziali (da 20,1 miliardi del 2019 a 34,8 miliardi nel 2020) e dalle pensioni e rendite (+6,3 miliardi, +2,3).

Per l'Istat poi sono risultati in crescita anche i redditi da lavoro dipendente (+0,5%), i consumi intermedi (+2,9%) e le altre uscite correnti (+10,7%), queste ultime principalmente per l'aumento dei contributi alla produzione. Gli interessi passivi diminuiscono del 5,2%, proseguendo la discesa già registrata nel 2019 (-6,5%). Le uscite in conto capitale sono salite del 43% per la forte crescita delle altre uscite in conto capitale (+353%) che includono la registrazione delle spese previste a copertura delle garanzie statali a favore delle piccole e medie imprese (oltre 12 miliardi) e i contributi a fondo perduto a supporto dell’attività di impresa (oltre 9 miliardi), derivanti dalle misure previste dai decreti emanati nel corso del 2020.

 



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