Affanno M5S per liste, verso slittamento parlamentarie

Il Movimento 5 Stelle è alle prese con la delicata questione delle parlamentarie. Nel complesso sono oltre 15 mila le autocandidature che sono arrivate dai militanti, un numero esorbitante che rischia di far slittare il voto previsto per metà gennaio: l'obiettivo di riuscire ad avviare il voto sulle primarie per la scelta dei candidati in Parlamento del Movimento entro la data di convocazione della tre giorni di Pescara sembra orami dato per fallito.

La kermesse organizzata all'Aurum di Pescara per il lancio del Programma di Governo il 19, 20 e 21 gennaio doveva infatti essere anche l'occasione per presentare la nuova pattuglia di candidati scelti dalla rete. Nel migliore dei casi le votazioni potranno essere avviate durante quelle giornate in cui saranno presentati sia la piattaforma Rousseau che i corsi di formazione a Cinque Stelle che vedranno la partecipazione di sindaci e assessori dei 45 comuni governati dal M5S.

Intanto nessuno si attende la partecipazione di Beppe Grillo alla tre giorni di Pescara: i destini dell'ex comico e del M5S sembrano allontanarsi sempre di più. Secondo l'Espresso “chi conosce bene il comico sa infatti che alcune scelte del nuovo leader Luigi Di Maio gli vanno un po' strette, mentre con Davide Casaleggio non c’è mai stato l'innamoramento che invece era scattato con il padre Gianroberto. Per lui, ormai, più che una passione, l'M5S è diventato l'assolvimento di un patto d'amicizia con il guru della Casaleggio”.

Orami da mesi, il processo di allontanamento è comunque nei fatti ampiamente spiegato dallo stesso Grillo che a fine anno ha chiesto di riavere indietro la proprietà del blog e soprattutto sta lontano dalla scena politica. Quale sarà il ruolo del comico genovese in questa campagna elettorale non è ancora chiaro anche se in molti all’interno del Movimento sostengono che Grillo parteciperà solamente nelle ultime settimane prima del voto.

Alta tensione nella Lega dopo il passo indietro di Maroni

Mentre il centro destra in Lombardia si ricompatta sotto la candidatura a governatore del leghista Attilio Fontana, nel Carroccio è scontro aperto fra il presidente della Regione Roberto Maroni e il segretario Matteo Salvini. Ieri in un'intervista al Foglio il governatore ha definito stalinista il comportamento del suo segretario per come lo ha trattato.

La tensione nella Lega era chiara da quando l'ex ministro aveva annunciato la sua decisione di non ricandidarsi a governatore per motivi personali e Salvini aveva subito stoppato ogni ipotesi di un suo incarico a Roma e soprattutto di un posto nel governo: secondo il leader del Carroccio, se uno come Maroni “lascia un incarico, che vale molto di più di tanti ministeri come quello in Regione Lombardia, significa che in politica non desidera fare altro”.

Maroni, che, solo qualche giorno fa, secondo Silvio Berlusconi poteva essere considerato un valido candidato Premier, ha comunque annunciato l’intenzione di sostenere Matteo Salvini anche se ha dichiarato di non voler diventare un bersaglio mediatico e consigliato di “ricordare che fine ha fatto Stalin”.

Sinistra divisa su Regioni: verso il no a Gori, ma intesa su Zingaretti

Insieme in Lazio, nel nome di Nicola Zingaretti, divisi in Lombardia, sul renziano Giorgio Gori. È questo lo scenario che sembra profilarsi a sinistra in vista dell’election day del prossimo 4 marzo. Il Partito Democratico e Liberi e Uguali, che alle elezioni politiche si presenteranno divisi, stanno cercando una difficile intesa nelle due Regioni al voto: per un'alleanza si sono spesi i padri nobili del Pd Romano Prodi e Walter Veltroni e l'invito è stato accolto, per ora solo a parole, da Pier Luigi Bersani e Pietro Grasso.

Oggi, dopo due assemblee di LeU in Lazio e Lombardia, sarà ufficializzata la decisione, e niente viene dato per scontato. Ma se in Lazio l'intesa sembra a un passo, in Lombardia pesano il veto di Sinistra Italiana e degli esponenti locali di Mdp: quello che sembra certo è che fino all'ultimo si cercherà un'intesa, tanto che c’è chi ipotizza in Lombardia una forma di desistenza.

Comunque sia i vertici del Partito Democratico non danno niente per scontato. Matteo Renzi, che ha trascorso il suo 43esimo compleanno in famiglia, non si sbilancia. Il segretario è al lavoro su un programma da cui emerga la serietà della proposta Dem e su liste in cui spicchi la forza della sua classe dirigente.

La Direzione nazionale del partito convocata per il 16 indicherà le deroghe per chi abbia superato i 15 anni di mandato: potranno ricandidarsi i ministri (ma dovrebbero scegliere di non farlo Giuliano Poletti e Anna Finocchiaro), i capigruppo (per Luigi Zanda si parla del collegio Roma 1 per il Senato) e chi abbia ruoli istituzionali, come il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. In Campania, Renzi festeggia il sì alla candidatura del medico Paolo Siani e potrebbe scegliere di schierare anche Marco Minniti. Un collegio in Friuli Venezia Giulia dovrebbe spettare a Riccardo Illy, l'ex governatore della regione.



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