Moody's lancia nuovo allarme: crescita italiana anemica, +0,4%

In una giornata in cui la borsa ha registrato un ritorno di fiducia da parte degli investitori e lo spread è sceso da 261 a 255 punti base, arriva l'ennesima scure sulle prospettive dell'Italia. Dopo la preoccupazione della Commissione europea nel Country report, è l'agenzia di rating americana Moody's a lanciare l'allarme sull'Italia, la cui crescita stimata per il 2019 rimane “anemica, attorno allo 0,4%”, mentre Bruxelles la fissa addirittura allo 0,2%. Per Moody's l'aumento del pil potrebbe essere ridotto perché “l'incertezza politica rimarrà alta nel 2019”. Nel suo rapporto, l'agenzia di New York scrive che la maggioranza di governo potrebbe subire scossoni, e questo potrebbe indebolire la fiducia di investitori e consumatori.

Il Governo è positivo sull’effetto delle politiche per la crescita

L'esecutivo, però, ribadisce che la situazione migliorerà proprio in virtù delle misure cui sta lavorando: non solo reddito di cittadinanza e quota 100, ma anche la riforma del codice degli appalti, su cui ha discusso in un Consiglio dei ministri, che, riunito per discutere di deleghe in materia di semplificazione e codificazione, ha lavorato su un voluminoso e variegato pacchetto di norme, già esaminato preliminarmente a dicembre.

Gli argomenti trattati sono svariati: detrazioni fiscali, tariffe energetiche, infrastrutture, difesa, e acquisti da parte della Pubblica amministrazione. Dallo schema iniziale sono stati stralciati i capitoli relativi a cittadinanza digitale e nuovo Codice della strada: in sostanza, attraverso le deleghe richieste dall'esecutivo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte diventerebbe il baricentro d’importanti decisioni che potrebbero risollevare proprio i numeri del Pil. Lo stesso premier ha detto che non si tratta di “un esercizio accademico a riformare il codice degli appalti: lo facciamo perché sono strumenti di pianificazione ma anche immediatamente operativi per far crescere e bene l'Italia”.

Conte tenta la strada della revisione della Tav

Come è stato annunciato il vertice decisivo sulla Tav ci sarà solo la prossima settimana ma ieri sera l'argomento potrebbe essere affrontato a margine del Cdm, soprattutto tra il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e il premier Giuseppe Conte che si vedranno per parlare delle modifiche al Codice degli appalti. Ieri sera è arrivato il via libera ai dieci disegni di legge di delega per le semplificazioni, i riassetti normativi e le codificazioni di settore; secondo quanto deciso, nel prossimo Consiglio dei Ministri si lavorerà al dl sullo sblocco dei cantieri ma è il nodo della Torino-Lione a creare tensioni all'interno della maggioranza.

L'exit strategy sarebbe quella di avviare i bandi per l'opera, inserendo una clausola sospensiva in modo da poter in ogni momento tornare indietro: così non si perderebbero i 300 milioni di fondi europei e non si penalizzerebbe a livello finanziario Telt, la società metà francese e metà italiana responsabile della realizzazione dell'opera, che l'11 marzo terrà un Consiglio d'amministrazione proprio per decidere il da farsi. L'avvio dei bandi potrebbe in ogni caso lasciare mani libere all'esecutivo, far prendere tempo alla maggioranza affinché' si trovi un accordo e allo stesso tempo permettere un confronto aperto con la Francia e la Commissione europea.

Il presidente del Consiglio ha deciso di intestarsi in prima persona la partita chiedendo un supplemento di analisi su costi e benefici, proseguendo un'interlocuzione con gli Enti locali e tutti gli attori coinvolti sul tema della Torino-Lione e attivandosi per la costituzione di un nuovo progetto che ridimensioni l'infrastruttura e soprattutto i costi. Al momento sembra assolutamente prematuro parlare d’intesa ma l'obiettivo è quello di sciogliere il nodo il prima possibile per avere almeno 8 mesi di tempo per costituire un progetto alternativo.

Di Maio conferma: la quota del Mef in Alitalia sarà del 15%

Sulla delicata questione di Alitalia, è il vicepremier e Ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio a ritrattare sul ruolo decisivo del Mef, correggendo quanto annunciato nell'incontro con i sindacati del 14 febbraio scorso: la sua quota nella newco non supererà infatti il 15%, una percentuale che permetterà un “rilancio e non un salvataggio”. Il dietrofront arriva dopo l'opposizione del titolare di Via XX Settembre Giovanni Tria, che ha ribadito pubblicamente come la compagnia “non deve essere resa pubblica, e si deve trovare una soluzione di mercato”. Detto questo, il suo dicastero ha dato disponibilità a un intervento del Governo a condizione che ci sia un piano industriale che regga in un contesto concorrenziale e che vengano rispettate tutte le norme comunitarie.

Da parte dell’esecutivo giallo-verde si ostenta comunque ottimismo, con Luigi Di Maio che si dice molto fiducioso: “Vogliamo rilanciare Alitalia come vettore internazionale competitivo e tutto il comparto e ce la faremo”. Sulla partita, ancora in bilico, arrivano anche le parole dell'alleato leghista, il sottosegretario al Mit Armando Siri: “Il Tesoro avrà una quota intorno al 15%, come succede in altri Paesi europei. Avrà una quota normale”, spiega, riferendosi a quanto sta succedendo tra Francia e Olanda per Air France-Klm.

Il Pd si prepara alle primarie di domenica prossima

Ieri pomeriggio, senza troppo clamori, si è tenuto il confronto tra i tre sfidanti per la segreteria del Partito Democratico. I tre candidati, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, hanno deciso di confrontarsi davanti alle telecamere di SkyTg24 all'ora di pranzo e non più in prima serata come qualche anno fa. Il tema maggiormente divisivo è stato quello del rapporto con il Movimento 5 Stelle: le posizioni dei tre candidati sono tutto sommato vicine ma è noto che Nicola Zingaretti in passato aveva considerato possibile l’apertura di un dialogo politico con i pentastellatti. Ma a pesare sarà anche l’eredità lasciata dai cosiddetti renziani.

Il governatore del Lazio è quello che ha preso maggiormente le distanze mentre Giachetti e Martina non hanno fatto segreto dell’importanza di quella fase politica. Secondo gli ultimi sondaggio Nicola Zingaretti sarebbe in vantaggio di oltre dieci punti percentuali: per Demopolis voterebbe per lui tra il 48 e il 60 per cento degli intervistati. A preferire l’ex ministro delle politiche agricole e alimentari, invece, un numero di elettori che oscilla tra il 27 e il 39 per cento. Solo l’8-18%, invece, dice di votare per Giachetti.  I tre candidati, consapevoli che non si riuscirà ad avere un’affluenza come nelle primarie passate, scommettono di riuscire a portare ai gazebo un milione di votanti.



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