Accordo su presidenze delle Commissioni: 18 al M5S e 10 alla Lega

A più di cento giorni dalle elezioni e a tre settimane dalla formazione del Governo, oggi nasceranno le 28 Commissioni parlamentari permanenti di Camera e Senato. Sembra che Ieri pomeriggio il Movimento 5 Stelle e la Lega abbiano trovato un accordo per la spartizione: alla Camera spetterebbero nove presidenze ai pentastellati e cinque ai leghisti, un equilibrio che rispecchia il peso numerico dei gruppi parlamentari e che dunque dovrebbe replicarsi anche al Senato.

La Commissione Bilancio della Camera sarà guidata dal leghista Claudio Borghi mentre quella dell’altro ramo del Parlamento dal cinquestellino Daniele Pesco; alla Finanze andrebbero Carla Ruocco a Montecitorio e Alberto Bagnai a Palazzo Madama.

La Commissione Lavoro del Senato potrebbe invece essere guidata dalla pentastellata Nunzia Catalfo mentre alla Camera toccherebbe al leghista Andrea Giaccone. Alla Commissione Affari costituzionali della Camera la presidenza dovrebbe alla fine andare a Giuseppe Brescia (5S) e non alla collega Fabiana Dadone, al Senato al leghista Stefano Borghesi (Lega); saltata la doppietta 5S in Giustizia: al Senato dovrebbe spuntarla Mario Giarrusso, alla Camera il Carroccio avrebbe individuato Andrea Ostellari.

Altro nome certo è quello del presidente della Commissione Cultura di Montecitorio: Luigi Gallo del M5S; sempre in casa cinquestelle, per la Esteri continuano a essere possibili alla Camera Marta Grande o Vito Petrocelli. La Difesa dovrebbe essere appannaggio del M5S, con Emanuela Corda o Gianluca Rizzo.

Alla Camera Barbara Saltamartini (Lega) potrebbe diventare presidente della Commissione Attività produttive. Per l'Antimafia resta in pole position il cinquestelle Nicola Morra.

Stallo su Copasir e Vigilanza Rai. Il Pd sul piede di guerra

Ma è scontro sugli organi di garanzia riservati alle opposizioni: il Partito democratico reclama per sè la presidenza del Comitato sui servizi segreti (COPSAIR) e minaccia di bloccare i lavori per l'insediamento anche di Vigilanza Rai e Giunte in assenza di garanzie. Le Commissioni di garanzia e le Giunte, che hanno poteri di verifica e controllo, spettano ai gruppi della minoranza parlamentare che si devono accordare per la spartizione dei ruoli apicali.

Ma da giorni è in corso una lotta con Fratelli d'Italia, considerata all’opposizione ma molto vicina a Matteo Salvini, che chiede proprio la guida del Copasir e si accontenta della presidenza di una Giunta. Dopo la fumata nera del vertice dell’altro giorno che ha visto intorno ad un tavolo Partito Democratico, Forza Italia, Liberi e Uguali e il partito di Giorgia Meloni non sono in programma nuovi incontri anche se l'impegno sarebbe quello di risolvere la questione entro il fine settimana.

In casa Pd la preoccupazione nelle ultime ore è cresciuta: il timore è che il centrodestra possa fare asse e votare un esponente di Fdi, “complice”, dicono i Dem, la scelta del M5S di non esporsi. I pentastellati infatti avrebbero scelto di astenersi, facilitando la scelta della Lega di schierarsi con gli azzurri e il partito di Giorgia Meloni. Molto quindi dipende dalle scelte di Silvio Berlusconi, che continua comunque a puntare sulla presidenza della Vigilanza Rai con Maurizio Gasparri e sulla presidenza della Giunta per le autorizzazioni con Francesco Paolo Sisto.

La situazione è politicamente molto tesa: il Pd ieri pomeriggio ha annunciato, per bocca del capogruppo del Senato Adrea Marcucci, che “D'intesa con il gruppo della Camera, il Partito Democratico non fornirà i nomi dei propri componenti nelle Commissioni di garanzia, fino a quando la situazione non sarà chiara”.

Si apre il dossier sulle nomine: Cdp e Rai sono le prime

E intanto si apre il dossier delle nomine degli enti di Stato e per il rinnovo dei vertici della Rai. Per cercare di trovare un’intesa fra Movimento 5Stelle e Lega, nel fine settimana dovrebbe esserci un vertice a palazzo Chigi al quale potrebbero partecipare sia il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

La priorità massima è la Cassa Depositi e Prestiti i cui vertici scadranno a fine mese. Al momento il dossier legato all'azienda di viale Mazzini è comunque in coda: l'assemblea dei soci si terrà a fine mese, prima quindi ufficialmente non ci saranno novità. Ma Lega e M5s stanno ragionando di rinnovamento e Luigi Di Maio ha parlato di un ritorno della meritocrazia facendo esplicito riferimento alla Rai.

Pd verso assemblea del 7 luglio, ipotesi rinvio congresso

Adesso nel fronte renziano non c'è più fretta, il congresso del Partito Democratico può aspettare ed è su questa ipotesi che si sta cercando in queste ore un'intesa. L'assemblea del partito, che dovrebbe decidere se eleggere un nuovo segretario o avviare la fase congressuale, si dovrebbe tenere il prossimo 7 luglio, anche se ancora manca una convocazione ufficiale e c'è anche chi parla di spostarla al 14 o 15 di luglio e persino chi ipotizza di rinviarla addirittura all'autunno.

Il punto è che sull'idea del rinvio del congresso non c'è ancora un'intesa: Andrea Orlando è nettamente contrario, a meno che non si avvii di fatto una “fase costituente” del partito, ovvero una sorta di rifondazione del Pd che certifichi la fine della gestione renziana, e anche Dario Franceschini, che pure formalmente chiede il congresso subito, sarebbe disposto a uno slittamento persino a dopo le Europee, a patto però che l'assemblea di luglio elegga formalmente Maurizio Martina come segretario del partito, uscendo così dalla formula della reggenza.

La trattativa, appunto, è in corso ed è lo stesso Martina a tenere le fila dei rapporti con le varie anime del partito. Da un lato, si fatica anche a trovare il nome del candidato alla segreteria: Paolo Gentiloni non pare disponibile e dal canto suo Nicola Zingaretti viene corteggiato dalla minoranza di Andrea Orlando e Gianni Cuperlo e sta valutando seriamente di gettarsi nella mischia, ma aspetta che si chiariscano gli schieramenti nel partito e che si convochino ufficialmente le primarie: il presidente della Regione Lazio non intende muoversi in anticipo e con un partito ancora a metà tra l'era Renzi e il dopo.

Di certo, l'intesa non è stata raggiunta, anche perché Matteo Renzi e i suoi non sembrano ancora convinti dell'idea di eleggere formalmente Martina segretario e preferirebbero una sorta di congelamento dell'assetto attuale, con la reggenza di Martina che prosegue ancora per qualche mese, senza un vero voto in assemblea. Proprio quello che Orlando, ma anche Franceschini, non sembrano disposti ad accettare.



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