Approvata la mozione di M5S e Lega che congela la Tav

Com’era immaginabile nella seduta di ieri la Camera ha approvato la mozione di maggioranza Lega e M5S a firma dei capigruppo Riccardo Molinari e Francesco D'Uva, che, riproponendo quanto scritto sul contratto di governo, impegna il Governo a ridiscutere integralmente la Tav. Il futuro dell'opera è stato quindi congelato e l'esecutivo sulla Torino-Lione alla fine non ha fatto chiarezza sulle proprie intenzioni. Quello che è certo però è che la maggioranza giallo-verde ha respinto le tre mozioni, presentate da Forza Italia, Fratelli d'Italia e Partito Democratico, che invece impegnavano palazzo Chigi a far riaprire i cantieri dell'alta velocità e, di conseguenza, a portare a termine la Tav.

Con l’approvazione della mozione quindi i partiti di Governo sono riusciti a guadagnare tempo ma non sono riusciti a trovare un’intesa su da farsi. Le distanze tra Carroccio e penta stellati sono palesi: in Parlamento si assiste a una votazione univoca da parte dei due soci di governo, ma nello stesso tempo ci sono due diverse interpretazioni del tema. Un vero e proprio paradosso: Matteo Salvini continua a ribadire che “si va avanti” visto che “l'obiettivo è rivedere il progetto, risparmiare dove si può risparmiare” e Luigi Di Maio non commenta, mentre il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli assicura che in “massimo entro due settimane troveremo una soluzione con gli alleati”.

Insomma per la Lega la mozione è una riflessione, breve, che porterà alla riapertura dei cantieri, mentre per il M5S è un modo per prendere tempo e convincere il socio di governo, alla fine, a considerare la chiusura definitiva dell'opera. La posizione bifronte è contestata duramente dalle opposizioni e i primi a irrigidirsi sono proprio gli alleati di Salvini, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Ieri Silvio Berlusconi ha visto a palazzo Grazioli i capigruppo Maria Stella Gelmini e Anna Maria Bernini, il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, e una delegazione di sì Tav, incontro urgente, come richiesto, per discutere, viene riferito, sugli effetti che la mozione di maggioranza potrebbe avere non solo per il territorio piemontese ma anche per il Paese.

L'Ue boccia la manovra. Scontro con Roma su correzione

Vista da Bruxelles la prima manovra del governo giallo-verde non è in grado di spingere la crescita dell'Italia. Manca ancora una settimana all'approvazione del country report della Commissione Ue ma in una bozza, anticipata da Repubblica, vengono sottolineati gli “effetti nefasti per Pil, deficit e debito”. Anche qualora venissero confermate ufficialmente queste previsioni, non scatterebbe immediatamente la richiesta di una manovra correttiva, che però si farebbe di certo ipotesi più concreta. Simili ragionamenti sono considerati prematuri dal Ministro dell'Economia Giovanni Tria e vengono confutati con maggiore determinazione dal premier Giuseppe Conte: “I fondamentali della nostra economia sono solidi”, assicura in Senato durante il Question time, convinto che “una manovra correttiva non sia necessaria".

Il premier rivendica la propria autonomia e quella dell’Italia, spiegando che Roma non accetterà di “farsi dettare l'agenda”. Nonostante ufficialmente l'Esecutivo si affretti a smentire il rischio che entro il primo semestre dell'anno debba correre ai ripari rivedendo non solo le stime in occasione della presentazione del primo Documento di economia e finanza ma anche mettendo mano ai conti, tutti i protagonisti in campo sarebbero consapevoli del fatto che una correzione del bilancio dello Stato sia una quasi obbligata: una prima revisione al ribasso sul fronte degli indicatori macro arriverebbe già ad aprile proprio con il Def, come ha fatto intendere il Ministro dell'Economia, e la correzione vera e propria solo dopo le elezioni europee, a meno che Bruxelles non decida di anticipare la richiesta di un intervento.

Secondo fonti di maggioranza, la crescita starebbe girando in negativo come avrebbero evidenziato anche interlocutori all'estero: M5S e Lega starebbero dunque già ragionando sull'architettura di una possibile manovra bis. Il conto fatto dai tecnici arriverebbe a sfiorare i 25 miliardi di euro, oltre dieci volte la posta accantonata in modo prudenziale dal Governo. Un intervento di tale portata sarebbe però da escludere prima dell'estate e il governo sarebbe piuttosto orientato eventualmente a una correzione parziale tra gli 8 e i 9 miliardi, in attesa della legge di Bilancio d'autunno.

“Stiamo parlando del nulla”, taglio corto Matteo Salvini. E al contrario di Bruxelles il vicepremier confida negli effetti che si dispiegheranno grazie a reddito di cittadinanza e quota 100, affermazioni contestate in più di un’occasione dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker che non ritiene determinante l’effetto di tali misure sulla crescita. 

Salvini, Berlusconi e Meloni insieme in Sardegna

L'ultima volta, in Abruzzo, la conferenza stampa congiunta dei tre leader del centrodestra ha portato fortuna alla coalizione. E ora, in Sardegna, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni puntano al bis, presentandosi uniti a due giorni dal voto regionale, che potrebbe consacrare un altro successo dell'alleanza. Sul voto pesa come una spada di Damocle l'esito della difficile trattativa sul latte ed è evidente che in caso di rottura un'eventuale clamorosa protesta dei pastori ai seggi potrebbe anche modificare i pronostici della vigilia. Comunque sia, il centrodestra ribadisce la sua unità su un programma comune per il territorio, ma resta sempre più diviso sul governo nazionale, in particolare su Tav e andamento dei conti pubblici.

Arrivando alla conferenza stampa, Giorgia Meloni, affila le armi contro Matteo Salvini, esprimendo tutta la sua irritazione per la mozione della maggioranza che, a suo giudizio, “dice che l'opera non si fa”. Anche Silvio Berlusconi, di fronte alle telecamere, attacca frontalmente “il governo dei Cinque Stelle”, accusandoli di voler mettere a posto i conti pubblici con una patrimoniale del 10-15%. Toni poi sopiti a fatica in conferenza stampa con il candidato Christian Solinas, tuttavia, la calma dura poco: basta una domanda sulle possibili conseguenze al livello nazionale dell'eventuale vittoria sarda per scaldare la serata.

Matteo Salvini gelido ribadisce che a Roma non cambia nulla, ma Berlusconi coglie la palla al balzo per dire che in caso di vittoria partirebbe immediatamente il pressing di Forza Italia sulla Lega per trovare soluzioni alternative all’alleanza giallo-verde. Come già accaduto in Abruzzo, finita la conferenza stampa i tre leader del centro destra prendono strade diverse: Matteo Salvini lascia l'hotel per andare in Piazza mentre Silvio Berlusconi si avvia a fare delle interviste, ma prima assicura che dopo il travagliato voto dei Cinque Stelle sul caso Diciotti “sono aumentate le possibilità di una crisi di governo.

M5S, Di Maio, Grillo e Casaleggio siglano la tregua

Ai piani alti del Movimento 5 Stelle, in un periodo di grande confusione, con un malcontento che sta contagiando buona parte dei parlamentari e con la base in fibrillazione per come si sta sviluppando la convivenza di governo con la Lega, fa notizia l'incontro tra Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, fortemente voluto dallo stesso Grillo per fare il punto dopo la débâcle elettorale in Abruzzo, seguita a ruota dal voto che ha di fatto salvato il ministro dell’Interno Matteo Salvini dal processo a Catania per il caso Diciotti.

L’incontro era finalizzato a rimettere il Movimento in carreggiata in vista dei prossimi appuntamenti cruciali: domenica prossima le regionali in Sardegna (i sondaggi dicono che il M5S è praticamente tagliato fuori dalla vittoria), le elezioni regionali in Basilicata e il 26 maggio quelle europee. Le rilevazioni sono assolutamente negative, il trend dei pentastellati è in costante calo mentre gli alleati del Carroccio sembrano volare. Il vicepremier e ministro del Lavoro si giocherà tanto nei prossimi mesi così ha deciso di correre ai ripari, aprendo a una gestione collegiale del Movimento: ci saranno personalità che affiancheranno il leader nella gestione, ma non nelle scelte.

La novità sarà votata dagli iscritti, ma per funzionare davvero avrebbe bisogno della benedizione del co-fondatore. Stando a chi conosce il mondo 5S, Di Maio non ha ottenuto proprio quello che voleva da Grillo, ma nemmeno una bocciatura. La preoccupazione del comico è che se questo cambiamento non sarà portato avanti gradualmente e con la massima attenzione, rischia di diventare un boomerang, trasformando il Movimento in un partito normale. “Tutti sperano, dopo i risultati amministrativi, che il M5S sia in calo anche a livello nazionale, questa è la solita sciocchezza”, minimizza Di Maio dopo il pranzo con Grillo e Casaleggio (non avveniva dalla scorsa primavera a Ivrea, quando il governo giallo-verde era solo una speranza).

Siglata la tregua ai piani alti, ora Di Maio deve rinserrare le file dei suoi parlamentari. Il dissenso c'è, esce allo scoperto e per ora ha le sembianze di Paola Nugnes ed Elena Fattori. Per la senatrice campana “chi cambia idea su tutto e continuamente dovrebbe andare via” dal M5S non chi ne “difende i principi”. Ancora più esplicita è la collega: “Io e Paola, essendo alla seconda legislatura, abbiamo l'obiettivo di uscire da quei palazzi con la coscienza a posto. Non so se sarò cacciata, spero di no, anche perché troverei inquietante essere cacciata per salvare Salvini”. La situazione, insomma, non è ancora sotto controllo anche perché sottotraccia la corrente degli ortodossi del Presidente della Camera Roberto Fico è pronta a far pesare i proprio numeri.



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