Conte è pronto alla sfida: martedì prossimo andrà in Senato

Rimanere al governo senza Matteo Renzi, prendendosi la soddisfazione di far fallire il suo piano, o andare via ma dicendo la verità nelle aule del Parlamento. Tutti, è il ragionamento di Giuseppe Conte, devono sapere chi ha sempre lavorato nell'interesse del Paese e chi ha mandato all'aria tutto, cercando una crisi a tutti i costi. Il premier è convinto di essere nel giusto ed è per questo che spera di attirare dalla sua parte un gruppo solido di costruttori con cui andare avanti da qui fino a fine legislatura, con un patto chiaro e un cronoprogramma ben scandito dal Pnrr messo a punto con tanta fatica, ma non solo. “La posta in gioco è il futuro del Paese, è a questo che abbiamo l'occasione di lavorare”, è il messaggio lanciato da palazzo Chigi. I pontieri sono al lavoro senza sosta, le porte a Matteo Renzi sono ufficialmente chiuse, Conte non vuole nemmeno sentirlo nominare, ma non ci sono certezze sulla sfida dei numeri. 

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte farà le sue comunicazioni lunedì alla Camera, dove i numeri non preoccupano e martedì alle 9.30 al Senato. E lì, numeri o meno, il premier si farà trovare pronto alla sua arringa contro il senatore fiorentino così come fece con Matteo Salvini. Giuseppe Conte lo ha ripetuto anche al presidente della Repubblica nell'incontro al Colle avuto nel pomeriggio, il secondo in 24 ore: si va in Parlamento e a carte scoperte, perché bisogna capire se c'è la forza di andare avanti. Del resto, è il ragionamento di Conte, chi si tirerà indietro alla conta si prenderà la responsabilità di bloccare il nuovo scostamento di bilancio, il nuovo decreto ristori, di aprire una fase di instabilità che costerà nuovo debito sui mercati e confusione in un Paese già in mano all'incertezza della pandemia. È per questo che Conte è convinto di farcela, di riuscire a risolvere la crisi senza passare per le dimissioni, è per questo che ha assunto prontamente l'interim di Bellanova per poi riassegnare il ministero dopo la prova del Parlamento. 

Il Pd strappa con Renzi e apre ai responsabili

Anche il Pd molla Matteo Renzi, si schiera con Giuseppe Conte e apre ai responsabili. La mossa di Iv ha fatto infuriare anche i democratici, che stavano lavorando per un Conte ter e che erano convinti di avere rimediato nelle ultime ore anche ad alcune mosse di palazzo Chigi giudicate scomposte. Ma la scelta di Renzi di rompere e di farlo con quei toni ha scavato un solco anche tra i democratici e Iv: Nicola Zingaretti chiude la porta all'ex premier dicendo che ormai è “inaffidabile” e sbarra la strada a governi “con la destra sovranista”, anche perché il M5S si è ricompattato sulla linea del mai più con Renzi e lo stesso Conte non vuole più saperne del leader di Iv. Il quadro è delicato e potrebbe scivolare facilmente verso elezioni anticipate, come più volte hanno ripetuto da Zingaretti e Orlando; per questo l'esecutivo Pd che si è riunito ieri mattina ha deciso una linea di pieno sostegno al premier, con paletti chiari: no a Lega e Fdi, Iv inaffidabile e totale sostegno a Conte. Andrea Orlando parlando davanti alla sede del partito riassume bene la situazione: “Iv si è assunta la responsabilità di provocare una crisi che getta il Paese nell'incertezza e nella confusione. Avevamo detto che attaccando questo Governo e la maggioranza si sarebbe provocata una situazione di confusione e di salto nel buio. I nostri appelli non sono stati ascoltati e purtroppo questo è avvenuto. Non possiamo che manifestare grandissima preoccupazione”.

Renzi attacca Conte sui numeri della maggioranza

“Non mi pare che abbia i numeri. Ma se li avrà, auguri. È la democrazia. E la democrazia è sacra. Resta un fatto, però: se non prende 161 voti, tocca a un governo senza Conte”. Lo afferma il leader di Italia Viva Matteo Renzi in un'intervista a La Stampa in cui annuncia che martedì prossimo al Senato non voterà contro Conte ma si asterrà. Sulla possibilità che diversi di IV possano invece lasciare il gruppo e sostenere il governo afferma: “Non sarei così sicuro. Forse qualcuno lascerà, ma se fossi nel Governo, almeno per scaramanzia, aspetterei martedì per vedere come va a finire. Magari avranno la vittoria numerica ma io ho scelto una strada politica, Conte ha scelto l'azzardo. Governare mettendo assieme Mastella e la De Petris di Leu non sarà facile”. Il leader di Italia Viva giudica poi “curioso” il fatto che il segretario dem Nicola Zingaretti sia furioso con lui: “Ho utilizzato verso Conte parole molto più gentili di quelle che usava Zingaretti su di lui nei nostri colloqui privati. Evidentemente ha cambiato idea. Capita a tutti”. Sulla possibilità poi che IV torni in maggioranza con un governo Cartabia, Renzi spiega che “Torneremmo in maggioranza se ci fosse il Mes, se si sbloccassero i cantieri, se si aumentassero i soldi per sanità e scuola, se si accelerasse sull'alta velocità”.

Il nodo dei responsabili agita il centrodestra

Al vertice del centrodestra ci sono tutti, anche Lorenzo Cesa, Maurizio Lupi e Giovanni Toti, un modo per provare a dire che nessuno abbandonerà il centrodestra per soccorrere Giuseppe Conte. Ma la certezza che il premier non riesca a ricostruire una maggioranza non si può avere, anzi: “Più tempo gli si dà per venire in Aula, più chance ha”, è stato il ragionamento fatto al tavolo con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani. La posizione concordata in un centrodestra meno compatto di quello che vuol far sembrare è dunque quella di chiedere l'immediata parlamentarizzazione della crisi, per vedere poi se si aprirà davvero oppure se Conte potrà proseguire la sua esperienza. Tutti i presenti hanno giurato sulla tenuta dei propri gruppi parlamentari (oggi è in programma un nuovo vertice, alle 11.00, a Montecitorio), e lo ha fatto anche Silvio Berlusconi nella telefonata con Matteo Salvini. Ma nessuno esclude che seppure “con numeri raccogliticci” il premier riesca a farcela, magari con l'aiuto di singoli parlamentari del centrodestra, sperabilmente non con un'operazione organizzata alla Verdini con il gruppo Ala. Di sicuro, il segretario leghista sta passando queste ore al telefono, a chiamare i senatori su cui si appuntano i sospetti più forti: il messaggio ai centristi è che eventuali sostegni a Conte sarebbero fatti pagare a caro prezzo alle amministrative. Il paradosso è che se Conte dovesse farcela comunque, almeno nel breve periodo l'unità del centrodestra potrebbe resistere. Diverso scenario nel caso la crisi si aprisse davvero. 

Matteo Salvini ha rilanciato ancora la possibilità che la responsabilità di formare un esecutivo venga affidata al centrodestra, anche per offrire una prospettiva diversa dal governo Conte ai parlamentari che temono il voto. La prospettiva non entusiasma Giorgia Meloni che insiste sul voto immediato: “Noi riteniamo che a essere irresponsabile sia un Governo raccogliticcio e litigioso. L'Italia ha bisogno di un governo coeso e con i numeri, che può uscire solo dalle elezioni”, dicono da FdI. Invece Forza Italia continua a vedere questo esito con preoccupazione e l'area di Mara Carfagna esplicitamente invoca le larghe intese. E lo scenario su cui il centrodestra potrebbe davvero saltare è proprio il governo istituzionale, ipotesi più volte affacciata da Forza Italia, con Berlusconi che ha sollecitato “le migliori energie del Paese” a mettersi a disposizione, e su cui anche la Lega potrebbe essere disposta a ragionare. 

Dal Consiglio dei Ministri arriva il via libera allo scostamento da 32 miliardi

Via libera dal Consiglio dei ministri allo scostamento di bilancio, che sale a 32 miliardi. L'extra deficit servirà per finanziare il nuovo decreto Ristori con gli interventi a sostegno dell'economia, a partire dagli indennizzi alle attività colpite dall'emergenza pandemica. La dote del piano di aiuti è quindi superiore ai 24-25 miliardi previsti inizialmente. Lo scostamento passerà poi al Parlamento che dovrebbe votarlo entro il 20 gennaio. 

Ma in Cdm, il terzo in tre giorni, arriva anche una proroga-ponte per la ripresa dell'invio delle cartelle esattoriali: il decreto legge approvato prevede l'ulteriore differimento, dal 31 dicembre 2020 al 31 gennaio 2021, dei termini previsti per la notifica degli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti d’imposta, di liquidazione e di rettifica e liquidazione. Nel decreto legge sulle misure fiscali, il Consiglio dei ministri ha deciso inoltre per il rinvio del termine per i versamenti relativi all'imposta sui servizi digitali per il 2020 dal 16 febbraio al 16 marzo 2021, nonché il rinvio del termine per la presentazione della relativa dichiarazione dal 31 marzo 2021 al 30 aprile 2021. Soddisfatto il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D'Incà che sottolinea come con i 32 miliardi di euro approvati il Governo ha il dovere “di dare sostegno immediato alle attività produttive, ai lavoratori, alle famiglie colpite. Sosteniamo l'economia e programmiamo il rilancio”; per il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Nunzia Catalfo “serviranno per finanziare la proroga della Cassa integrazione Covid e le altre misure di sostegno a lavoratori e imprese del prossimo Decreto Ristori”. 

Il Governo è al lavoro sul nuovo Dpcm: tutta Italia in zona arancione

Quasi tutta Italia in zona arancione e il divieto di spostarsi tra le regioni fino al 15 febbraio, con Lombardia e Sicilia che da domenica potrebbero essere le prime zone rosse del 2021. Entrerà in vigore nelle prossime ore la nuova stretta per evitare che anche l'Italia finisca nella stessa situazione di Gran Bretagna e Germania, costringendo il Governo all’unica soluzione possibile in quel caso: un nuovo lockdown nazionale. Le ultime modifiche al Dpcm valido dal 16 gennaio sono state illustrate dall'esecutivo nella riunione con le Regioni, i Comuni e le Province, precedute da una premessa del ministro della Salute Roberto Speranza: “La situazione non può essere sottovalutata, lavoriamo insieme tempestivamente ad anticipare le restrizioni per evitare una nuova, forte ondata” del virus. Nessun passo indietro, dunque, con il rinnovo di tutte le misure già in vigore a partire dal coprifuoco dalle 22.00 alle 5.00, le scuole superiori in didattica a distanza al 50% da lunedì e l'inasprimento delle soglie per accedere alle zone con restrizioni introdotte con il decreto approvato mercoledì. In base all'ultimo monitoraggio, con le modifiche introdotte dal decreto, solo 6 regioni rimarrebbero gialle: Abruzzo, Basilicata, Campania, Sardegna, Toscana e Valle d'Aosta; tutte le altre rischiano l'arancione, con la Lombardia e la Sicilia molto probabilmente in zona rossa. Se però a mandare in rosso la Lombardia sono i numeri, a far scattare le restrizioni più dure in Sicilia è la richiesta del presidente Nello Musumeci, che sarà accolta da Speranza. 

Qualche modifica rispetto alle bozze il Governo però l'ha fatta: il divieto di spostamento tra le regioni, comprese quelle gialle, sarà in vigore fino al 15 febbraio e non più al 5 marzo. Il Governo ha poi confermato il divieto della vendita da asporto per i bar dalle 18.00, provvedimento fortemente criticato dalle Regioni: "Non porta vantaggi significativi sul piano della prevenzione e al contrario rischia di rappresentare un ulteriore fattore negativo di tensione sociale ed economica sui territori" ha detto il presidente della Conferenza Stato Regioni Stefano Bonaccini a nome di tutti i governatori. Durante la riunione con le Regioni il ministro Francesco Boccia ha garantito, nonostante la crisi di governo, che verrà data la “massima priorità” per i ristori a tutte le attività costrette a fermarsi. Tra queste c’è lo sci: gli impianti non riapriranno almeno fino al 15 febbraio; chiuse anche palestre e piscine così come cinema e teatri. Con il decreto viene introdotta la zona bianca, in cui le uniche restrizioni sono il distanziamento e l'uso della mascherina. Ma i parametri per entrarci, 3 settimane consecutive con incidenza di 50 casi ogni 100mila abitanti e un rischio basso, fanno sì che ci vorranno mesi prima che una Regione possa trovarcisi. 



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