Al via il Consiglio Europeo. Conte con Macron per un’intesa subito

I leader europei tornano a riunirsi a Bruxelles per il primo Consiglio Europeo dalla crisi post-Covid. “Siamo al rush finale, affiliamo le armi”, scherza il premier Giuseppe Conte prima di incontrare in serata Emmanuel Macron per rinnovare una “forte intesa” nella direzione di una “risposta ambiziosa” e immediata. Conte arriva a Bruxelles alla vigilia di un vertice che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “decisivo” determinato a raggiungere il miglior risultato possibile e, perché no, a chiudere il negoziato, impresa difficilissima, già questa settimana. Batte sul tasto della necessità di non farne una partita “contabile”, non un “dare e avere”, ma una sfida politica con una visione: “In gioco c’è l'Europa, una pronta ripresa e la competitività nel mondo globale, con la Cina e gli Stati Uniti”, ribadisce il premier. La partita è difficilissima: l'arma dell'Italia, nel negoziato, è anche la discussione in contemporanea del Bilancio pluriennale. Le decisioni vanno prese all’unanimità, perciò Conte ha la possibilità di porre di fatto un veto, tenendo aperto il negoziato finchè non si raggiungerà una soluzione accettabile, che non immiserisca il progetto di Next Generation Eu. Per tenere alte le ambizioni, il premier cerca di rinnovare l'asse con Emmanuel Macron che portò, all'inizio dell'emergenza Coronavirus, nove Paesi europei a firmare una lettera in cui si chiedevano gli Eurobond. I due leader ne hanno discusso per quasi un'ora in un albergo di Avenue Louise a Bruxelles: Macron, come Merkel, difende i 500 miliardi di risorse a fondo perduto del progetto di Recovery fund, mentre è pronto a cedere qualcosa sui 250 miliardi di prestiti.

Come se non fosse già complicata la battaglia sulle cifre, a togliere speranze alla possibilità di un rapido accordo si aggiungono almeno altre due questioni: quella sulla cosiddetta governance, cioè chi approverà i piani di rilancio preparati dai Paesi, e quella sulla condizionalità legata allo stato di diritto, cioè i fondi li avrà solo chi rispetta leggi e valori europei. Ungheria e Polonia minacciano il veto sulla seconda, perché hanno in corso procedure proprio per il mancato rispetto dello stato di diritto; l'Olanda ha già minacciato barricate sulla prima, perché vuole voce in capitolo sui programmi di rilancio di ciascun Paese, ma “È una richiesta non in linea con le regole europee”, taglia corto Conte. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che tornerà a fare gli onori di casa e guiderà la riunione che ha un orario d'inizio ma non di fine, ha proposto di mantenere intatti i 500 miliardi di sovvenzioni e i 250 di prestiti proposti dalla Commissione. L'Italia, con Spagna, Portogallo, Francia e altri, difenderà le cifre il più possibile, soprattutto quelle dei trasferimenti a fondo perduto. L'obiettivo per Roma è portare a casa quasi per intero quegli 81,8 miliardi di sussidi che le ha assegnato la von der Leyen, e se durante il negoziato fosse costretta a cedere qualcosa certamente cederebbe sul fronte di alcuni singoli programmi, come il Just Transition o gli aiuti umanitari, ma non sulla parte riservata ai piani di rilancio. Nemici su questo fronte sono i frugali, cioè Olanda, Danimarca, Svezia e Austria ma il tema maggiore, su cui l'Italia non è disposta a cedere nulla, è quello della governance. 

C’è preoccupazione per la tenuta della maggioranza in Parlamento

Il dossier Autostrade ha lasciato strascichi nel Governo e nella maggioranza. Al di là dei distinguo nel Movimento 5 stelle e in Italia viva, con Di Maio che aspetta “il secondo tempo” della partita e Renzi che si sfila, la soluzione adottata ha permesso all'esecutivo di superare il delicato ostacolo. Quel “bye bye Benetton” con il quale M5S ha festeggiato all'alba dell'esito della trattativa non è piaciuto neanche ai governisti pentastellati. Ieri è sceso in campo pure il presidente della Camera Roberto Fico per blindare il compromesso: “Lo Stato ne esce più forte”. L'obiettivo dei governisti è sminare il terreno e stoppare sul nascere anche le spinte di rimpasto a settembre. Ma le distanze nella maggioranza sono sempre più fronti, tanto che ieri mattina il decreto rilancio è stato approvato definitivamente dal Senato con una maggioranza risicata. Il dialogo sotto traccia con una pattuglia di centristi potrebbe essere utile per puntellare i numeri, che mancano non tanto sui decreti da convertire quanto soprattutto sulle leggi da approvare. Sul rifinanziamento delle missioni internazionali all'estero una parte della maggioranza non ha dato l'ok in Aula a Montecitorio; il pericolo di rinvio riguarda diversi provvedimenti, dal ddl anti-omofobia alla legge sul conflitto d'interessi, poi ci sono il rinnovo dalle presidenze di Commissioni e la partita più delicata, quella sulla legge elettorale. I dem puntano a restare nel perimetro della maggioranza ma se Matteo Renzi dovesse tergiversare a quel punto il gioco è destinato a cambiare. Le geometrie variabili insomma sono dietro l'angolo. 

Il sospetto dei dem è che i renziani vogliano tenersi il Rosatellum, il sospetto dei renziani è che i dem dopo settembre vogliano far saltare il banco e andare alle elezioni alla prossima primavera, ovvero staccare la spina dopo le Regionali. Il partito del Nazareno però ha stretto un accordo in Liguria con M5S per appoggiare la candidatura del giornalista del Fatto quotidiano Sansa (con l'auspicio di una convergenza su Emiliano in Puglia). Nella maggioranza si guarda al fronte interno: il timore di uno sfilacciamento non è legato solo ai reiterati affondi di Iv e alle convergenze dei renziani al di fuori del perimetro giallorosso, ma anche alle divisioni nel Movimento 5 stelle. È vero che al Senato il presidente del Consiglio è stato accolto mercoledì da un caloroso applauso ma è altrettanto evidente che i gruppi pentastellati sono disorientati e in molti guardano con preoccupazione agli incontri e ai distinguo di Di Maio. L'ex capo politico pentastellato, che gode di un consenso forte soprattutto alla Camera, ha negato la volontà di terremotare il Governo ma la preoccupazione, anche del premier, è che a settembre il quadro politico possa destabilizzarsi. La possibile prospettiva di un esecutivo istituzionale che possa portare avanti un programma nazionale viene smentita nei gruppi parlamentari della maggioranza e dell'opposizione ma alcuni dubbi restano.

Sulla legge elettorale la maggioranza è divisa. Iv diserta lavori e testo slitta

Primo stop sulla riforma della legge elettorale. Le divisioni interne alla maggioranza e le manovre dilatorie delle opposizioni bloccano sul nascere l'accelerazione voluta dai Dem, facendo slittare a lunedì prossimo l'adozione di un testo base in Commissione Affari costituzionali della Camera. A rischio, quindi, l'arrivo della riforma nell'aula della Camera, previsto per il 27 luglio. Italia Viva, pur avendo sottoscritto a gennaio l'accordo di maggioranza, è contraria ad andare avanti sul testo del pentastellato Brescia (un sistema proporzionale con sbarramento al 5%) e i renziani disertano i lavori: “Pd e Cinque Stelle vogliono chiuderla in tre giorni. Noi non facciamo le barricate perché le priorità del Paese oggi sono i posti di lavoro, non i posti in Parlamento. Tuttavia, rimaniamo fermi sulla nostra idea di sempre: ci vuole la legge elettorale dei sindaci. Noi vogliamo il sindaco d’Italia” ribadisce Matteo Renzi che avverte “Se altri preferiscono la palude di adesso, lo faranno senza il nostro voto”.  

Anche Leu, contraria in partenza all'accordo, non voterà il testo base: bene il proporzionale ma troppo alta la soglia di sbarramento; ad approfittare delle divisioni interne ai giallorossi sono le opposizioni. Il rinvio dell'adozione del testo base è dovuto in realtà a un fatto tecnico: non è arrivato, spiegano dalla maggioranza, l'ok definitivo, il “visto, si stampi”, alla proposta di legge depositata da FI che non può essere quindi incardinata in Commissione. Anche Giorgia Meloni e Riccardo Molinari presentano due diverse proposte di legge, entrambe di impianto maggioritario. “La proposta che Fratelli d'Italia ha depositato è molto più maggioritaria, quello che facciamo è mantenere la quantità di collegi previsti dal Rosatellum, 231 alla Camera e 109 al Senato, nonostante il taglio dei parlamentari. Quindi la quota maggioritaria impatta per quasi il 60% degli eletti. La maggioranza propone una legge salva inciucio, noi consentiamo agli italiani di avere un Governo la sera del voto”. 

Dl rilancio è legge, interventi da 55 mld per superare crisi

Il decreto rilancio è legge. L'approvazione definitiva nell'aula del Senato, dove il governo ha posto la fiducia, a 48 ore dalla naturale scadenza del dl (il 18 luglio), è arrivata in extremis con 159 voti a favore, 121 contrari e nessun astenuto. Il provvedimento già approvato con modifiche alla Camera e che diventa legge dopo quest’ultimo via libera al Senato, prevede interventi per 55 miliardi di euro a sostegno dell'economia colpita dall'emergenza coronavirus, tra questi un contributo a fondo perduto per le imprese, l'esenzione del versamento Irap, i super bonus per l'efficientamento energetico (ecobonus) o contro il rischio sismico (sisma bonus) con detrazione al 110%; incentivi fino a 3.500 euro per l'acquisto di auto Euro 6 e moto Euro 4 con relativa rottamazione. A tutto questo si aggiungono i bonus vacanza e bici e il raddoppio dei fondi per la scuola; slittano di un mese i congedi parentali e vengono anticipate le casse integrazioni per l'autunno. 

La Lega ha presentato al Senato una mozione su Autostrade

La Lega ha depositato al Senato la mozione su Autostrade, primo firmatario il leader del partito e senatore, Matteo Salvini. Sarà discussa in Aula il 21 luglio. “Il Governo non ha ancora spiegato chi pagherà i danni del crollo del ponte Morandi, quelli economici dovuti al caos autostrade in Liguria, chi pagherà le opere di manutenzione” si legge in una nota. “Vogliamo un impegno preciso su indennizzi, posti di lavoro, piccoli azionisti e infrastrutture. Non vogliamo che l'entrata dello Stato in Autostrade sia un regalo ai Benetton e che a pagarne il conto siano gli italiani”. Nel testo s’impegna il Governo ad attivarsi “affinché la società Autostrade per l'Italia realizzi idonei investimenti sulla rete autostradale in concessione a seguito del crollo del ponte Morandi e realizzi in particolare gli interventi infrastrutturali richiesti dalla Regione Liguria e dal Comune di Genova per il territorio e il sistema portuale liguri”. 

Si chiede, inoltre, che il Governo garantisca l'effettiva realizzazione degli investimenti compensativi da parte della società “in tempi certi, quale precondizione essenziale alla conclusione dell'accordo transattivo; che arrivi a una risoluzione della controversia insorta con Autostrade senza oneri per lo Stato; che provveda alla tutela di tutti i soggetti direttamente e indirettamente coinvolti, siano essi gli azionisti, i creditori, i fornitori e i 6.923 dipendenti di Autostrade per l'Italia, nonché al pagamento di indennizzi dovuti alle imprese a compensazione dei danni economici eventualmente patiti”. La Lega infine chiede che “il Governo tuteli, nel caso di assunzione del controllo di Autostrade da parte di Cassa depositi e prestiti, gli investitori istituzionali e tutti i soggetti il cui risparmio gestito costituisce la maggiore fonte di finanziamento di Cassa depositi e prestiti, e si adoperi a riformare la normativa vigente in materia di concessioni autostradali, nei termini di semplificazione e chiarezza normativa, prendendo a riferimento, per quanto compatibili, le best practice riferibili ad altri regimi concessori”. 

 



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social