Draghi incassa una fiducia molto larga anche alla Camera

Il Governo di Mario Draghi, dopo aver incassato la fiducia del Senato, porta a casa anche quella della Camera: sono 535 i voti a favore, 56 quelli contrari e 5 gli astenuti. Anche a Montecitorio va in scena la spaccatura del M5S: sono 16 i no detti al premier, e altre 16 defezioni si contano tra assenti e astenuti, per un totale di 32 voti mancanti. Il presidente del Consiglio, in ogni caso, da oggi potrà mettersi al lavoro: lotta alla corruzione e alle mafie, da tenere a distanza dal Recovery plan, necessità di “azioni innovative” sul fronte giustizia, ricetta per la ripartenza delle Pmi, fatta di internazionalizzazione e di credito d’imposta per gli investimenti, ricerca e sviluppo nel Mezzogiorno, transizione 4.0. Mario Draghi ascolta per tutto il giorno gli interventi (e le richieste) dei deputati e, a sera, la sua replica da 13 minuti è tutta concentrata sulle cose da fare a partire da oggi. È lungo questa rotta che il presidente del Consiglio intende serrare le fila della sua composita maggioranza, con quello “sguardo costantemente rivolto al futuro” che nelle speranze del premier ispirerà “lo sforzo comune” verso il superamento dell'emergenza sanitaria e della crisi economica che, dice sicuro, “certamente caratterizzerà l'azione di questo governo”. Nonostante i grandi numeri, la sfida “è molto difficile” e tutti i capigruppo di maggioranza che intervengono per assicurare il loro sì al Governo non dimenticano di sottolinearlo al loro interlocutore. I partiti non vogliono sottrarsi alle responsabilità comuni, ma pur assicurando a parole di essere disposti a mettere da parte bandierine e interessi di parte, in Aula, intervento dopo intervento, fanno sfoggio della propria identità, per timore di annullare se stessi e, di conseguenza, il proprio consenso. 

Liberi e Uguali chiede la proroga del blocco dei licenziamenti, una legge sulla rappresentanza, un ammortizzatore sociale unico e un fisco improntato alla progressività. Vogliono un “cambio di passo” su vaccini, gestione della pandemia e ristori Lega e FdI. “Non ci saremo a ogni costo, resteremo sempre fedeli ai nostri principi”, mette in chiaro il M5S annunciando che non arretrerà su giustizia e reddito di cittadinanza. Anche il Pd, per voce di Graziano Delrio, ammette di non credere “ai salvatori della Patria”, pur impegnandosi “non a promettere ma a costruire unità”. I più convinti sostenitori di Draghi restano i renziani, con Roberto Giachetti che riesce anche a strappargli un sorriso quando, da romanista a romanista, invece di paragonarlo a Cristiano Ronaldo o Roberto Baggio come fatto da tanti in questi giorni, sceglie di vedere in lui Francesco Totti, “al quale riconosciamo lungimiranza, intelligenza e precisione nei passaggi”. Anche da Iv, però, arrivano i distinguo, quando si parla di giustizia e campagna vaccinale. Dall'opposizione riserva parole dure Giorgia Meloni, che esordisce citando Bertold Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati”, dice prima di rivendicare il fatto che, senza la posizione assunta da Fdi, l'Italia si sarebbe ritrovata “vicina alla Corea del Nord”. Nonostante posizionamenti e bandierine, comunque, il passaggio parlamentare blinda il Governo con numeri che dovrebbero consentire una navigazione tranquilla. A Draghi spetta l'indicazione della rotta. 

Il caos nel M5S complica la partita dei sottosegretari: ipotesi Cdm lunedì

Mario Draghi non vuole perdere tempo, l'Italia ha bisogno di risposte e, forte del consenso del Parlamento, non sarà di certo lui a rallentare il percorso di ricostruzione per uscire dalle emergenze che affliggono il Paese. Il piano potrà realizzarsi solo con il completamento delle caselle ai ministeri e prevede, già nei prossimi giorni, le nomine di sottosegretari e viceministri, necessari anche per far ripartire i lavori a Camera e Senato su provvedimenti urgenti. Saranno tutte decisioni e scelte ponderate; pertanto, è molto probabile che il dossier si chiuda entro martedì con il giuramento a palazzo Chigi. Il Consiglio dei ministri infatti non è stato ancora convocato, probabile che si tenga lunedì stesso, anche se diverse fonti della maggioranza confermano che “la partita si dovrebbe chiudere a brevissimo”. A pesare tuttavia la condizione di salute del Movimento 5 Stelle che con i numerosi no alla fiducia, sia alla Camera sia al Senato, potrebbero vedersi tagliare la quota che da 14 sarebbe scesa oggi a 10. I partiti sono al lavoro per proporre al premier una lista di nomi e lo schema di massima dovrebbe seguire la divisione cencelliana dei 40 posti da sottosegretario: 7 ciascuno a Pd, Lega e Forza Italia, un paio a Italia viva, 1 a Leu e una quota riservata ai piccoli partiti: centristi, Maie, +Europa - con il partito di Matteo Renzi che potrebbe rivendicare una casella in più: 3 sottosegretari o un viceministro e due sottosegretari. La ridistribuzione dei posti potrebbe rallentare la trattativa, con Draghi che potrebbe tenere per sé i posti vacanti, ma con una regola da rispettare: la parità di genere deve avere una quota, avrebbe chiesto Draghi alle forze politiche, non al di sotto del 40%.  

Con le proposte dei partiti sul tavolo del suo studio, Draghi procederà al completamento del quadro limando e aggiungendo anche, non è escluso, personalità lontane dalla politica, per mantenere quell'equilibrio su cui si fonda il suo esecutivo. L'ipotesi più probabile, si ragiona tra i corridoi dei palazzi, è che ci siano pochi viceministri e piazzati in dicasteri guidati da tecnici. Il resto sarà affidato alla figura del sottosegretario dove il toto-nomi impazza. I 5 Stelle vedrebbero riconfermati Laura Castelli (Mef), Pier Paolo Sileri (Salute), Stefano Buffagni (Mise o Transizione ecologica), Giancarlo Cancelleri (Mit), Carlo Sibilia (Interno) anche se girava voce di un approdo al Mise, Manlio Distefano e Emanuela Delre (Affari Esteri). Tra le novità Gilda Sportiello (Sud), Luca Carabetta e Luigi Iovino (Transizione digitale), Marialuisa Faro (Turismo). Resterebbe fuori Vito Crimi, inizialmente in corsa per il Viminale. In Italia Viva si fanno ancora i nomi di Teresa Bellanova, Davide Faraone (Mit), Maura Del Barba o Donatella Conzatti (Mef), Lucia Annabali o Gennaro Migliore (Giustizia). 

La condizione più complicata resta quella tra le mura del Partito democratico. Nicola Zingaretti deve quietare la rivolta delle donne Dem e soddisfare le rivendicazioni dei parlamentari del Sud. Nella quota affidata al segretario dovrebbero esserci 5 nomi femminili e 2 maschili con i quasi certi Matteo Mauri (Interno), Sandra Zampa (Salute), Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento), Lorenza Bonaccorsi (Turismo), Marina Sereni (Esteri), Antonio Misiani (Mef), Andrea Martella (Editoria o Sport); in partita anche Marianna Madia (Transizione ecologica) e Valeria Valente (Giustizia). Per la Lega confermato l'ingresso al Viminale di Stefano Candiani, come sentinella di Lamorgese, mentre Luca Coletto o Gian Marco Centinaio dovrebbero andare alla Salute, Lucia Borgonzoni (Cultura), Massimo Bitonci (Mef), Edoardo Rixi (Mit) e Nicola Molteni (Agricoltura). Per Forza Italia 5 senatori e due deputati: Francesco Paolo Sisto andrebbe alla Giustizia, Valentino Valentini agli Esteri, Gilberto Pichetto Fratin all'Economia, Maria Rizzotti alla Salute, Francesco Battistoni all'Agricoltura. Si fanno anche i nomi di Marco Marin (Sport), Lucio Malan (Difesa) e Stefania Craxi (Esteri). Per l'Udc invece si fa il nome di Antonio Saccone (Mit). 

È guerra nei 5 Stelle, c’è aria di scissione 

La scissione è iniziata, la guerra fratricida è un dato di fatto, la battaglia sul simbolo e il rapporto tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono due fattori da cui dipende l'esistenza stessa del M5S così come finora era conosciuto. Il no a Mario Draghi dei 15 senatori ortodossi apre una ferita che difficilmente si rimarginerà; una manciata di ore dopo, alla Camera le cose non cambiano visti i 32 voti mancanti. I gruppi autonomi, per i dissidenti espulsi, sono a un passo e, al Senato, gli ultimi rumors spiegano che gli ortodossi avrebbero chiesto al segretario Ignazio Messina l'uso del simbolo Idv; i numeri, a Montecitorio, ci sarebbero, così come al Senato, anche se Morra per ora si sfila. Nel pomeriggio i vertici tentano una controffensiva: Vito Crimi si palesa a Montecitorio, preceduto da un post di Beppe Grillo in cui il Garante non muta la sua linea pro-Draghi, un sì che, nella strategia di Grillo, potrebbe innescare una rifondazione della sua creatura. In mattinata, invece, governisti ed espulsi si combattono a suon di dichiarazioni e post sui social. Alla notizia dell'espulsione Barbara Lezzi risponde: “Mi candido a far parte del comitato direttivo del M5S (da cui non sono espulsa)”. Ma è una provocazione: lo Statuto, all'art.11, recita che chi è espulso dai gruppi parlamentari lo è anche dal Movimento, e viceversa. C’è un dato tuttavia: il procedimento di espulsione ha i suoi tempi. E chissà se, nel caso il voto sulla nuova governance preceda l'espulsione ufficiale, i dissidenti non possano candidarsi. 

Luigi Di Maio aspetta che ci sia un primo assestamento, poi potrebbe fare la sua mossa, come gli viene chiesto da diversi deputati. Ma la tensione, per ora, è troppo alta e investe anche due esponenti moderati del calibro di Alfonso Bonafede e Federico D'Incà che, a lungo, in Aula si attardano in una discussione dai toni piuttosto alti. E poi c’è il nodo Rousseau: l'affondo di ieri contro Crimi “lo Statuto e' cambiato, non è piu' capo politico” ha acuito l'irritazione dei parlamentari. E in serata riemerge Alessandro Di Battista, la guida dei descamisados, che annuncia un Live per sabato che pare una discesa in campo: “Ci sono cose da dire. Scelte politiche da difendere. Domande cui rispondere e una sana e robusta opposizione da costruire”, sottolinea. E sullo sfondo, appare la guerra sul simbolo, che è di Grillo e della sua Associazione del 2012, ma è stato ceduto in comodato all'Associazione M5S del 2017, in cui risultano fondatori Luigi Di Maio e Casaleggio. E il caos potrebbe frenare anche Giuseppe Conte: dal suo futuro potrebbe dipendere anche quello del Comitato direttivo a 5 membri approvato dagli iscritti. 

Nel giorno della fiducia a Draghi alla Camera 3 leghisti di peso passano a FdI

Sono in tutto tre gli esponenti della Lega che ieri hanno lasciato il partito di Matteo Salvini e si sono mossi verso Fratelli d'Italia nel giorno della fiducia alla Camera al governo Mario Draghi. Il più inatteso è Gianluca Vinci, leghista di lungo corso, eletto per la prima volta consigliere comunale a Reggio Emilia nel 2009, ex candidato sindaco sempre nella città emiliana, e dal 2015 al 2019 segretario regionale del partito. A Montecitorio da marzo 2018, Vinci ieri ha votato contro la fiducia all'esecutivo Draghi e annunciato il suo ingresso nel partito di Giorgia Meloni. In dissenso con la scelta di Salvini di appoggiare l'ex governatore della Banca centrale europea, anche l'eurodeputato calabrese Vincenzo Sofo, fidanzato di Marion Le Pen, che ha lasciato il gruppo dei sovranisti (Id) a Strasburgo per passare ai Conservatori (Ecr) dove siedono gli esponenti di FdI, e il capogruppo in Consiglio regionale della Basilicata Tommaso Coviello

C’è l’accordo sul nodo prescrizione, al via i voti al milleproroghe

La maggioranza che sostiene il governo Draghi ha raggiunto un accordo sul nodo della prescrizione. Lo riferiscono fonti parlamentari, confermate anche da altre governative. Dunque, viene spiegato, non saranno messi in votazione in commissione Affari costituzionali e Bilancio della Camera, che avvieranno i voti oggi per terminare l'esame entro sabato, gli emendamenti di Iv, Azione e FI presentati al decreto milleproroghe che miravano a sospendere la riforma dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede; la mediazione sarebbe stata raggiunta su un ordine del giorno che sarà presentato in Aula. Ieri in Aula della Camera il premier Mario Draghi, in sede di replica, ha affrontato anche il tema della giustizia, spiegando che il Governo intende lavorare sulla giustizia civile e penale: “Non c’è dubbio che bisognerà intraprendere azioni innovative per migliorare l'efficienza della giustizia civile e penale quale servizio pubblico fondamentale, che rispetti tutte le garanzie e i principi costituzionali che richiedono un processo giusto e un processo di durata ragionevole, in linea con la media degli altri paesi europei” ha detto Mario Draghi, un passaggio accolto con favore dalle forze di maggioranza e che, accanto alla mediazione messa in atto dal Governo con i rappresentanti dei partiti che seguono il dossier (riuniti ieri per trovare la quadra), ha sminato il terreno da possibili incidenti sul milleproroghe, che approderà in aula lunedì per poi essere approvato possibilmente già martedì ed essere trasmesso al Senato per l'ok finale entro il 1° marzo.  

Sulla pandemia il Governo punta a un cambio di passo: priorità ai vaccini

Questa mattina dovrebbe esserci una riunione della cabina di regia a palazzo Chigi; dovrebbero partecipare i ministri interessati, gli esponenti del Cts e probabilmente il presidente del Consiglio Mario Draghi che poi nel pomeriggio prenderà parte alla riunione del G7 sulla pandemia. Il Governo punta a un cambio di passo e a mettere ordine sul tema dei vaccini. Non si esclude che possa esserci una struttura ad hoc per il reperimento delle dosi sul mercato, fermo restando che occorrerà risolvere i nodi sul tavolo, stringere l'accordo con i medici di famiglia e mettere in pratica le indicazioni fornite dal premier nel suo discorso al Senato. Ieri intanto c’è stata la prima riunione tra il ministro per gli Affari regionali Maria Stella Gelmini e il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini. “Bisogna creare una vera unità nazionale anche con le Regioni e con tutti i livelli di governo”, ha spiegato la Gelmini, “purtroppo in questo momento l'agenda, non solo del Governo ma anche delle Regioni e degli enti locali, è stabilita dall'urgenza di sconfiggere il virus. C’è un grande lavoro da fare. Dobbiamo dare risposte più incisive alla crisi sanitaria ma anche alla crisi economica e sociale. Tante azioni da implementare: il piano vaccini certamente è la prima cosa da migliorare”. 

 

“Fare presto e bene sui temi cruciali per il Paese: emergenza sanitaria e campagna vaccinale, Recovery Plan, aiuti rapidi alle attività economiche in difficoltà. Con le Regioni pronte a fare la loro parte, in piena collaborazione con il Governo del presidente Draghi”, scrive su Fb il presidente dell'Emilia Romagna. Il Governo punta ad accelerare pure sul decreto ristori, per portarlo alle Camere nel giro di una settimana. Intanto nel mirino di Matteo Salvini c’è sempre il Commissario all'Emergenza Domenico Arcuri: “Non ho nomi da fare, prendo solo atto del fatto che negli scorsi mesi il super commissario Arcuri ha affrontato il problema delle mascherine (male), della riapertura delle scuole (male), dell'approvvigionamento dei vaccini (male), dell'Ilva di Taranto (male). Io sono convinto che il presidente Draghi riporterà il merito al centro dell'agenda politica: chi lavora bene viene premiato, chi lavora meno bene lascia il posto a qualcun altro”. Oggi intanto ci sarà la nuova mappa legata ai colori delle regioni. 



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