Il Governo ha deciso per l’election day. Asse FdI-Fi su Bardi in Basilicata

Il Governo ha deciso, l'8 e 9 di giugno ci sarà l’election day e si voterà per le elezioni amministrative e insieme per le elezioni europee. L’appuntamento vedrà anche al voto la regione Piemonte e probabilmente anche la Basilicata, in cui, almeno al momento, la bilancia pende a favore di una riconferma di Vito Bardi, visto il riconoscimento da parte di Fdi che “ha governato bene”. Quella che a ora appare come una apertura arriva dal ministro Francesco Lollobrigida, che nei mesi scorsi aveva attivato un tavolo ad hoc del centrodestra proprio per trovare candidature unitarie per le amministrative. Se sia asse Fdi-Fi o meno si vedrà davvero nelle prossime settimane, perché comunque, uno dei ragionamenti che circola, di qui al voto in Basilicata manca un bel po' di tempo, anche se la Regione dovesse decidere di chiamare i lucani alle urne il 14 aprile. Intanto bisognerà vedere come andranno gli alleati in Sardegna, dove alla fine l'ha spuntata il candidato voluto da Giorgia Meloni, il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu

Nel frattempo, Antonio Tajani affronterà il congresso di FI, dopo il quale dovrebbe arrivare anche la decisione sulla sua candidatura o meno alle europee. Anche la premier ancora non ha sciolto la riserva. È “molto presto” per pensare alle liste, dicono da FdI dove, comunque, si spinge per la corsa della leader; da ultimo anche Fabio Rampelli ha auspicato la candidatura, attesa, dice “da tutta Europa più che dalla sola Italia”. Lei resta, ufficialmente, sul 50-50, così come ha rimandato al Parlamento un’eventuale decisione sul terzo mandato per i governatori, altro tassello che potrebbe modificare il puzzle degli equilibri tra gli alleati. Nel frattempo, però, dopo lo stop di un paio di settimane fa, è arrivato l'atteso via libera al terzo mandato per i sindaci, ma solo dei Comuni fino a 15mila abitanti; dei Comuni più grandi, fa sapere sempre Lollobrigida, “non se ne parla” in Cdm. Sul tema è intervenuta anche l’Anci che spinge fortemente per l’estensione della misura a tutti i Comuni d’Italia.

Sono in arrivo 551 milioni dall’anticipo del RepowerUe

L'Italia incassa da Bruxelles 551,2 milioni di prefinanziamento per il RepowerEu, il nuovo capitolo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per contribuire alla strategia europea di indipendenza dai combustibili fossili. Con l'anticipo del 20% delle sovvenzioni del Repower salgono a circa 102,5 miliardi i versamenti totali già arrivati all'Italia con il Recovery. È “un'altra buona notizia sul fronte Pnrr”, ha sottolineato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, spiegando: “Lo consideriamo un ulteriore ed importante passo avanti nell'attuazione del Piano che il Governo sta portando avanti con efficacia e determinazione”. È “l'inizio di un nuovo percorso legato all'attuazione delle fondamentali misure inserite nella settima missione, principalmente destinata al risparmio energetico e alla produzione di energia pulita”, ha rimarcato il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto che ricorda: “Tra le misure più rilevanti della nuova missione RepowerEu figurano 6,3 miliardi di euro per sostenere gli investimenti nella transizione verde delle imprese, circa 1,4 miliardi di euro per interventi di efficientamento energetico dei grandi condomini di edilizia residenziale pubblica e per le famiglie a basso reddito. Inoltre, il capitolo RepowerEu include oltre 1 miliardo di euro per la messa in servizio di nuovi treni passeggeri a emissioni zero, oltre a tutta una serie di riforme e di ulteriori investimenti per accelerare la transizione ecologica dell'Italia”. Nel frattempo, l'Italia è in attesa del via libera di Bruxelles alla quinta rata del Next generation Ue, chiesta alla fine dell'anno scorso e che, secondo quanto stimato pochi giorni fa dallo stesso Fitto, potrebbe arrivare entro febbraio o marzo. In totale il Recovery dell'Italia vale 194,4 miliardi, di cui 71,8 in sovvenzioni. Con le misure inserite nel RepowerEu, ricorda l'Esecutivo comunitario, il piano dell'Italia comprende ora cinque riforme, cinque investimenti “su scala” basati su misure esistenti e dodici investimenti per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, in linea con uno degli obiettivi europei. Per finanziare questa maggiore ambizione, lo stanziamento di sovvenzioni RepowerEu per l'Italia ammonta a 2,75 miliardi di euro. Inoltre, l'Italia ha deciso di destinare 8,4 miliardi di euro del piano verso investimenti che perseguano gli obiettivi di RepowerEu. La dotazione totale del Repower dell'Italia è così di 11,18 miliardi.

Via libera del Cdm al ddl su influencer e beneficenza

Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge sula destinazione dei proventi derivanti dalla vendita di prodotti, il cosiddetto ddl influencer e beneficenza. Le norme sono finalizzate ad assicurare un'informazione chiara e non ingannevole sulla commercializzazione di prodotti i cui proventi sono destinati a iniziative solidaristiche. Si prevede per i produttori dei beni e per i professionisti che li commercializzano e li promuovono l'obbligo di esplicitare il soggetto destinatario dei proventi, le finalità cui questi sono destinati e la quota percentuale del prezzo di vendita o l'importo destinati all'attività benefica, per ogni unità di prodotto. I produttori dei beni potranno assicurare l'adempimento attraverso l'indicazione delle informazioni sulle singole confezioni (anche tramite apposizione di adesivi). Produttori e professionisti sono inoltre tenuti a comunicare al Garante per la concorrenza e il mercato l'operazione promozionale e il termine entro il quale sarà effettuato il versamento dell'importo destinato al soggetto beneficiario. 

In caso di violazione degli obblighi, l'Autorità può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da 5.000 a 50.000 euro e disporre la pubblicazione del provvedimento da parte del produttore o del professionista sul proprio sito, su uno o più quotidiani nonché con ogni altro mezzo ritenuto opportuno, come i social media. Si prevede, infine, che il 50% degli importi delle sanzioni sia destinato a finalità solidaristiche. Non rientrano nel campo di applicazione della legge le attività di promozione, vendita o fornitura di prodotti ai consumatori da parte degli Enti non commerciali, restando ferme le norme del codice del Terzo Settore riguardanti la raccolta di fondi per autofinanziamento e quelle relative degli Enti appartenenti alle confessioni religiose che hanno stipulato accordi o intese con lo Stato con riguardo alla libera effettuazione di collette. 

Il Governo dà l’ok a un Dpcm per un’ulteriore privatizzazione di Poste

Al via l'iter per un’ulteriore privatizzazione di Poste. Il governo ha varato in Cdm un Dpcm per cedere una quota della partecipazione del Tesoro. Si tratta dell’inizio di un processo in cui comunque viene garantito che il lo Stato manterrà il controllo della società. La mossa arriva a sorpresa in serata, nel comunicato di Palazzo Chigi sul Cdm svoltosi in mattinata, poche righe sotto il titolo “Partecipazioni statali”: “Il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, un provvedimento che regolamenta l'alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Mef nel capitale di Poste Italiane, tale da mantenere una partecipazione dello Stato, anche indiretta, che assicuri il controllo pubblico. Le modalità di alienazione tenderanno anche a favorire la tutela dell'azionariato diffuso e la stabilità dell'assetto proprietario”. Il Dpcm che avvia la procedura di vendita, sulla falsariga della precedente privatizzazione del 2015, dovrebbe intanto fissare la quota pubblica sotto la quale non si scenderà. Il provvedimento ora dovrà passare al vaglio delle Commissioni di Camera e Senato per il parere prima dell'ok definitivo.

Attualmente lo Stato controlla complessivamente circa il 65% della società, di cui il 29,26% direttamente con il Mef e il 35% indirettamente attraverso Cassa depositi e prestiti. La linea sembrerebbe quella di vendere una parte della quota del Mef, garantendo tuttavia che la partecipazione dello Stato, anche indiretta, consenta di mantenere il controllo pubblico. L'indicazione è ribadita proprio dalla stessa premier Giorgia Meloni, che ha parlato di “piano di razionalizzazione delle partecipazioni dello Stato”, non solo per fare cassa, ma come “strumento di politica industriale”, riducendo la presenza pubblica “laddove non è necessaria” e affermandola invece “dove è necessaria, come negli asset strategici”. Il piano di privatizzazioni fissato dal governo nella Nadefindica l'obiettivo dell'1% del Pil, pari a circa 20 miliardi, nel triennio 2024-2026, un piano ambizioso ma a portata di mano, assicura la premier. Tra le partecipazioni nel mirino, dopo Mps e Ita, si guarderebbe anche a Fs e all'Eni. Poste è già stata oggetto di una prima tranche di privatizzazione nel 2015, quando era al governo Matteo Renzi: l'allora Ministro dell'economia Piercarlo Padoan aveva messo sul mercato circa il 35% della società incassando circa 3 miliardi. 

Il Giurì d'onore è tornato a riunirsi sul caso Meloni-Conte

Il Giurì d'onore della Camera, chiamato dal leader del M5S Giuseppe Conte a giudicare sulla veridicità o meno delle affermazioni rese della premier Giorgia Meloni sul Mes il 13 dicembre in Aula, è tornato a riunirsi per la terza volta. Dopo le due sedute del 18 e 19 gennaio dedicate alle audizioni di Conte e della Premier, all'organismo parlamentare presieduto dal vicepresidente di Montecitorio Giorgio Mulè è toccato fare il punto su come procedere con la Relazione che dovrà essere presentata in Aula entro il 9 febbraio. “I lavori anche oggi sono proseguiti nel consueto clima di serenità che ha contraddistinto l'azione della Commissione” ha spiegato Mulè, “ci siamo aggiornati a martedì prossimo per proseguire nel nostro lavoro che finirà con una relazione che consegneremo entro il 9 febbraio, come da mandato del presidente della Camera”. E, infatti, nella seduta, spiegano alcuni componenti del Giurì, si sono esaminate le varie carte raccolte e si è aperta una riflessione su quanto ascoltato anche nelle audizioni. 

Un'intesa di massima, si spiega, sarebbe stata raggiunta su come descrivere e illustrare il materiale acquisito, ma si fa osservare che altrettanta unanimità sarà difficile da trovare sulla parte più politica della relazione, quella in cui si “dovranno tirare le somme” per poi riferire in Aula. La prossima riunione è stata convocata per martedì 30 gennaio alle 13.15. Il Giurì è nominato dal Presidente della Camera su richiesta di un deputato che si senta leso nella sua onorabilità da accuse che gli siano state mosse nel corso di una discussione e deve valutare la fondatezza delle accuse; della relazione del Giurì l'Assemblea si limita a prendere atto, senza dibattito né votazione. Nella fattispecie, Giorgia Meloni aveva accusato il secondo governo Conte di aver firmato la riforma del trattato con cui è stato istituito il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) a gennaio 2021, ormai “dimissionario”, “contro il parere del Parlamento” e con “il favore delle tenebre”, ipotesi contestata da Conte nella forma e nella sostanza. 

Pd e M5S affinano le mozioni sul conflitto tra Israele e Palestina

Opposizioni al lavoro in vista della discussione in Aula alla Camera sul conflitto a Gaza e sugli scenari di guerra in Medio Oriente. Da un lato il Partito Democratico con una mozione già depositata dopo un lungo confronto interno, dall'altro il Movimento 5 Stelle che sta limando gli ultimi dettagli. L'appuntamento è fissato per lunedì della settimana prossima alle Camera. Intanto, le posizioni sembrano delinearsi: i dem trovano un punto d'equilibrio, proponendo sia sanzioni verso Hamas che nei confronti dei crimini commessi da coloni israeliani; “Meloni la voti”, incalza la segretaria Elly Schlein. I pentastellati scelgono invece una linea più netta, puntando su un “cessate il fuoco immediato e definitivo” e sul “riconoscimento dello Stato di Palestina nei confini del 1967”. La mozione del Pd è il frutto di un lungo lavoro di mediazione portato avanti dal responsabile Esteri della Segreteria Peppe Provenzano e concluso dopo circa tre ore di riunione dei gruppi di Camera e Senato. 

“Sostenere ogni iniziativa volta a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza al fine di perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e di tutelare l'incolumità della popolazione civile di Gaza” è il cuore della proposta dem. Oltre alla necessità di “sanzioni bipartisan”, il documento rilancia l'urgenza di un processo di pace e richiama il “riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell'UE”. Il compromesso mette d'accordo anche i più critici sulla linea di politica estera della segretaria, come Lia Quartapelle e Lorenzo Guerini. Alcuni deputati sottolineano, però, che il riconoscimento della Palestina è solo un corollario, non il nocciolo della questione. L'obiettivo, esplicitato anche da Schlein, è quello di incalzare maggioranza e Governo, e quindi costringere la premier “a un'azione diplomatica e politica che non tradisca la tradizione diplomatica del nostro Paese, sempre attento sulla soluzione di due popoli e due stati”. Il M5S esprime soddisfazione: “Notiamo che il Pd è arrivato oggi su posizioni che noi avevamo da mesi”. Il Movimento, nella sua mozione, punterà inoltre su “stop all'invio di armi a Israele”, “smilitarizzazione” e “corridoi umanitari”. 

Alla Camera

Dopo che ieri è stata approvata la fiducia, l’Assemblea della Camera tornerà a riunirsi alle 9.00 per l’approvazione, in prima lettura, del decreto per la sicurezza energetica del Paese, la promozione del ricorso alle fonti rinnovabili, il sostegno alle imprese a forte consumo di energia e sulla ricostruzione nei territori colpiti dagli eccezionali eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023. Per quanto riguarda le Commissioni, nella giornata di oggi si riunirà solo la Ambiente per l’esame del decreto per la realizzazione degli interventi infrastrutturali connessi con la presidenza italiana del G7.



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