L’ipotesi rimpasto agita il Governo. Zingaretti frena ma il tema rimane

“Lo chiedo a lei: i singoli Ministri sono adeguati all'emergenza che stiamo vivendo?”: l'uscita del capogruppo Pd Andrea Marcucci piomba come una bomba nell'aula del Senato davanti al premier Giuseppe Conte. E la domanda che corre subito a palazzo Madama è se quell'affondo sia uno scatto in avanti del presidente dei senatori dem o una linea condivisa dal Nazareno. La risposta arriva a stretto giro; prima alcuni senatori e poi lo stesso segretario Nicola Zingaretti prendono le distanze: “Il sostegno del Partito Democratico a questo Governo e ai suoi ministri è pieno e totale”. E lo stesso Marcucci ritratta quanto detto. Una sequenza che, filtra da palazzo Chigi, fa ritenere “chiusa la questione”, eppure, a parte la dinamica, le cose vengono raccontate in modo diverso: per gran parte dei dem, si riferisce, il tema di una revisione è soltanto questione di tempo e l'affondo di Andrea Orlando, indirizzato alla Ministra Lucia Azzolina, viene letto come un'ulteriore conferma. Tuttavia la necessità di una verifica verso un possibile Conte 3 non è avvertita da tutti i dem, sicuramente non da alcuni settori del Pd come l'area che fa capo al Ministro Lorenzo Guerini, si racconta, e in parte anche Areadem che fa riferimento al capodelegazione Dario Franceschini. Al Senato si dice che l'uscita di Marcucci non sarebbe stato affatto solitaria ma, sotto forte pressione di alcuni esponenti dem, si sarebbe poi corretto il tiro. 

Nei ragionamenti di chi è più scettico rispetto all'ipotesi di un rimpasto c'è innanzitutto l'incognita M5S. L'assenza di un punto di riferimento, di un leader con cui confrontarsi spiazza gli interlocutori e qundi aprire una verifica di Governo potrebbe non avere un esito scontato. Nello stesso tempo, c'è chi confida che la disponibilità dei 5 Stelle sarebbe garantita dal timore di scivolare verso il voto anticipato. Sia come sia, l'emergenza Coronavirus copre ma non ferma le fibrillazioni, anzi, c'è chi sostiene che la recrudescenza del virus non stabilizzi l'attuale compagine di Governo, piuttosto ne evidenzi i limiti, l'inadeguatezza ad affrontare l'emergenza Covid e le ripercussioni economiche sul Paese. Tenendo presente che la percezione dell'opinione pubblica non è la stessa della prima ondata in primavera, il consenso è meno forte e le cose potrebbero anche peggiorare nelle prossime settimane, tanto che, nei ragionamenti dentro la maggioranza, c'era chi delineava una dead line all'orizzonte con un sapore di minaccia. “Siamo a un bivio: tra qualche settimana o si un fa un rimpasto per un Conte 3 o la strada è quella di un governo Draghi”.

Stallo su licenziamenti, critica Confindustria, i sindacati sono pronti alla piazza

Il giorno dopo l'incontro con il Governo e mentre i ministri vedono le imprese, i Sindacati arrivano a evocare la piazza se non sarà garantita piena protezione dei posti di lavoro almeno fino a primavera. Ma una proroga del blocco generalizzato dei licenziamenti non può andare avanti all'infinito, e il Governo non deve cedere a ricatti come le minacce di sciopero, incalza il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: per gli industriali e le altre associazioni dei datori di lavoro bisogna ritornare il prima possibile alle normali dinamiche del mercato del lavoro, perché se le aziende non hanno margini per riorganizzarsi per tempo, è il ragionamento, quando finirà il blocco non potrà che essere peggio. Le posizioni restano distanti e sarà il nuovo round di oggi con i Sindacati presieduto dal premier Giuseppe Conte a dover tentare di trovare un’intesa, anche per poter chiudere la manovra economica che, a due settimane dal varo, ancora non è arrivata in Parlamento: il Governo, presenti i ministri Nunzia Catalfo e Stefano Patuanelli mentre al posto di Gualtieri ci sono il capo di gabinetto e il sottosegretario Pierpaolo Baretta, ripropone quanto già ha illustrato a Sindacati, cioè l'idea di chiudere con il divieto generalizzato di licenziare alla fine di gennaio e proseguire dopo quella data (anche fino a fine marzo) con blocchi selettivi, legati all'effettivo utilizzo della cassa Covid da parte di quelle imprese che ne continuano ad avere bisogno per evidenti cali di fatturato e che ne potranno continuare a usufruire gratuitamente. La proposta non dispiace a Confcommercio, mentre la scelta di imporre invece dei costi tra il 9 e il 18% per quelle aziende che hanno perdite inferiori al 20% o che non hanno subito cali per Confidustria è “non accettabile”. 

“Andremo avanti con la Cig fino a quando sarà necessario, in relazione all'andamento della situazione economica”, ha poi assicurato il viceministro dell'Economia Antonio Misiani: “Abbiamo fatto una scelta di protezione dei lavoratori e delle imprese, 40 dei 100 miliardi stanziati da marzo a sostegno delle imprese per salvare il sistema produttivo che rischiava il collasso”. “Se il governo intende mantenere nell'emergenza il blocco dei licenziamenti, l'accesso alla Cassa Covid non deve prevedere aggravi per le imprese” è però il messaggio portato al tavolo con il Governo da Confindustria, che si presenta ai massimi livelli. Carlo Bonomi, accompagnato dal vicepresidente per le relazioni industriali Maurizio Stirpe, e la dg Francesca Mariotti, ribadisce che quello che serve mettere in campo subito è una riforma del mercato degli ammortizzatori sociali da affiancare a nuove politiche attive del lavoro. E se proroga del divieto di licenziare deve essere, va accompagnata dalla cassa Covid che non deve avere, però, costi per le imprese. “Nessun grande Paese ha adottato questa soluzione”, hanno ribadito gli industriali, spiegando che sin dall'inizio è stato “rispettato il binomio cassa integrazione e blocco dei licenziamenti solamente al fine di proteggere l'occupazione” ma “questo binomio aveva un senso solo a patto che alle imprese non fossero addossati costi aggiuntivi per tale scelta”. Il perdurare della crisi, secondo i Sindacati, lascerà frutti avvelenati e per questo serve prorogare entrambi gli strumenti fino almeno al 21 di marzo, quando si esaurirebbero le nuove 18 settimane di cig Covid per chi le avesse utilizzate appieno. 

La Camera si scalda sull’omofobia, centrodestra si divide. Sgarbi espulso 

Si scalda il dibattito in Aula sulla legge contro l'omotransfobia e la misoginia, non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche all'interno di quest'ultima con un battibecco tra cattolico-tradizionalisti e liberal, che al momento non si traduce in una divisione sul voto. Il tutto si è verificato quando la Camera ha affrontato il tema dell'istituzione della giornata anti-discriminazione che prevede iniziative nelle scuole. Mercoledì la Camera ha approvato gli articoli della legge che riguardano la parte repressiva degli atti di violenza e discriminazione o d’istigazione contro persone omosessuali, contro le donne e i disabili.  

Nelle due ore di seduta previste in giornata, dopo l'informativa di Conte e la commemorazione di Jole Santelli, è iniziato l'esame degli articoli riguardanti la parte di prevenzione di questi fenomeni, il cui primo articolo, il 6, istituisce per il 17 maggio la Giornata nazionale contro l'omofobia. Tutto il centrodestra ha votato i propri emendamenti contrari, ad eccezione di Vittorio Sgarbi per il quale “solo una mente alterata può pensare che questa giornata possa essere pericolosa”. Infatti molti deputati del centrodestra erano intervenuti sostenendo che quelle iniziative finiranno per conculcare le idee di chi sostiene la famiglia tradizionale. Questa polemiche si è accentuata con un durissimo scontro tra il leghista Alessandro Pagano e Giusi Bartolozzi di Fi; in questa fase concitata Sgarbi, che già in precedenza si era fatto riprendere privo di mascherina, ha cominciato a gridare senza protezione davanti alla bocca. Dopo essere stato inutilmente richiamato dalla vicepresidente Maria Edera Spadoni è stato espulso, ma si è rifiutato di lasciare l'Aula, avendo come scudo i deputati della Lega scesi a difenderlo nell'emiciclo, violando tutte le misure di distanziamento. Alla fine è stato portato via di peso dai Commessi. Martedì riprenderà l'esame degli ultimi tre articoli, con la probabilità di approvare la legge mercoledì. 

L’Ue è pronta a coordinare terapie e test per far fronte all’emergenza Covid

La crescita verticale nella curva del contagio riporta il Consiglio e la Commissione europea nella cabina di regia del coordinamento Ue tra Stati membri. Archiviate le chiusure ai confini e i blocchi all'export di mascherine della prima ondata, i Governi nazionali sembrano più disposti a collaborare su ambiti che, fino a pochi mesi fa, erano ritenuti di esclusiva e intoccabile competenza nazionale. “Siamo sulla stessa barca”, ha detto Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, dopo la conclusione della videoconferenza tra leader. “Siamo di fronte a una crisi seria e severa, che ci mette a dura prova” aggiunge il belga, “i numeri stanno aumentando dovunque in Europa, la coesione e la solidarietà sono fondamentali”. Lo stretto coordinamento tra Governi e Commissione europea è fondamentale per rispondere con rapidità ed efficacia alla nuova ondata del COVID19, aggiunge il premier Giuseppe Conte dando il sostegno dell'Italia alla posizione dei 27. Tuttavia, ribadisce riferendosi al Recovery Fund, “la risposta sanitaria deve andare di pari passo a quella economica. Solo unita l'Europa supererà la crisi”. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen alza l'asticella della cooperazione Ue in materia sanitaria e annuncia: “Abbiamo stanziato 220 milioni per finanziare il trasferimento transfrontaliero di pazienti dove è necessario”. 

Tale azione, precisa la tedesca, si basa “su una condivisione di dati assieme alla piattaforma Ecdc” (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), anche dei “letti a disposizione in terapia intensiva”. “Abbiamo avuto modo - spiega Michel - di concentrarci anche sui test, sulle politiche di tracciamento e sui vaccini” perché “sono questi i mezzi essenziali per fermare la diffusione del virus”. Priorità viene data ai test rapidi, gli unici “capaci di ridurre i rischi agli spostamenti interni”. Von der Leyen torna poi su una materia tipicamente europea come la libertà di movimento: “Elaboreremo un modulo coordinato per la localizzazione dei passeggeri e coordinare il tracciamento durante i viaggi” con l'obiettivo di “avere un modulo unico europeo entro la fine dell'anno”. In conclusione, c’è anche spazio per qualche critica agli Stati membri: “Dopo la prima ondata, siamo tornati indietro sulle misure troppo rapidamente” e questo vale "non solo sui viaggi”, ma “su tanti ambiti”. Il focus di Bruxelles rimane però sul contrasto alla pandemia e ai suoi effetti economici e infatti nessun Paese viene citato se non per motivi positivi, come Italia, Germania e Irlanda, le sole ad aver reso compatibili tra loro le tracing-app. 



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