La Commissione Trasporti della Camera ha proseguito il 3 ottob

Parte di questo testo è disponibile solo per gli abbonati. Clicca qui per chiedere informazioni
{user_group 10} re la discussione delle risoluzioni sulle misure per la valorizzazione del sistema portuale nazionale (7-00038 Maria Grazia Frijia – FdI e 7-00144 Valentina Ghio – PD). 

La Commissione ha disposto l’abbinamento della risoluzione n.7-00149 di Roberto Traversi (M5S).

Roberto Traversi (M5S) ha illustrato la risoluzione evidenziando come le normative sulla portualità non siano mai state veramente applicate. A suo giudizio non c’è stata una chiara funzione di indirizzo e Assoporti non è riuscita veramente ad incidere sulla situazione. L’assenza di un autentico progetto nazionale comporta la ricaduta in una situazione localistica.

Ha ricordato come nella precedente legislatura si sia lavorato molto sul tema e siano state combattute diverse battaglie, presenti oggi nella risoluzione a sua prima firma: il divieto di monopolio nella detenzione delle banchine, il porto come bene pubblico, l'autoproduzione dell'energia. 

Vi sono poi elementi di debolezza: il Presidente del Consiglio non è aggiornato su questi temi rispetto al ministro delle infrastrutture e dei trasporti, cosa che non avviene in altri Paesi e vi sono poi organi dello Stato che non comunicano, come ART e MIT. La risposta della sua forza politica in campagna elettorale è stata il «Progetto Mediterraneo», che puntava ad avere un ministero esclusivamente dedicato. Nella scorsa legislatura vi è stata anche una risoluzione di Fratelli d'Italia, che mirava allo stesso obiettivo. Il ministero oggi c'è, ma non pare funzionare al meglio. È stato redatto un Piano del Mare, che però si dimostra a detta degli esperti carente in termini di concretezza.
  

La risoluzione impegna il Governo a: 

  • promuovere il sistema portuale italiano quale hub logistico di primo piano in Europa, integrando intorno ai porti industria, università, innovazione e sostenibilità ambientale;
  • assumere le iniziative per riunire in un’unica direzione (Ministero e dipartimento, con tutte le deleghe necessarie) le molteplici attività e competenze che impegnano le diverse direzioni dei vari settori, definendo una governance integrata capace di gestire in modo trasversale tutte le materie attinenti al settore marittimo e portuale, con l'intento di promuovere e sviluppare «l'economia del mare», in tutte le sue declinazioni, unificando, in un solo organismo consultivo i momenti valutativi e approvativi condotti presso i diversi ministeri (MASE, MIT, MIC) e le regioni competenti per territorio;
  • affrontare l'evidente carenza di coordinamento tra le previsioni di piano regolatore di porti appartenenti alla stessa area integrata dal punto di vista economico e amministrativo;
  • favorire il ricorso a forme di partenariato pubblico-privato;
  • a rendere più efficienti e competitivi i porti italiani, prevedendo l'adozione delle seguenti iniziative:
  • svolgere tutte le attività necessarie per l'adeguamento e la messa in sicurezza dei bacini portuali in particolar modo attraverso la realizzazione delle operazioni di dragaggio nelle infrastrutture portuali del territorio nazionale;
  • procedere in tempi brevi all'adozione delle norme tecniche che disciplinano le opzioni di riutilizzo dei sedimenti di dragaggio e di ogni loro singola frazione granulometrica secondo le migliori tecnologie disponibili (come previsto dal TUA);
  • varare con la massima sollecitudine il «Piano nazionale dei dragaggi sostenibili», per permettere lo sviluppo dell'accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici;
  • valutare l'opportunità di individuare, per ogni arco regionale geografico coerente, un sito di discarica a mare dei sedimenti dragati, per superare il sistema obsoleto delle casse di colmata, incrementando gli spazi a terra e riducendo i tempi di transito delle merci nei porti, in termini di documentazione, movimentazione e organizzazione di convogli in partenza e in arrivo;
  • promuovere un'ulteriore maggiore semplificazione amministrativa che tenda all'omogeneità con gli standard europei e alla riduzione del numero di passaggi e intermediari;
  • predisporre una circolare unica che fornisca linee guida di semplificazione delle procedure per l'adeguamento e il rinnovo dei certificati dei «lavoratori marittimi italiani;
  • prevedere, nel prossimo disegno di legge di bilancio, un forte incentivo al trasporto via mare, con strumenti come il marebonus, sostenendo il trasporto marittimo a corto raggio nell'ambito del Mediterraneo e continuando ad investire nelle autostrade del mare;
  • attuare tutte le iniziative possibili volte a evitare la privatizzazione della proprietà dei porti, evitando in particolare la vendita a soggetti privati a scapito dell'interesse pubblico;
  • avviare celermente la cosiddetta «certificazione della costa», intesa come un insieme di percorsi di qualificazione della fascia costiera nazionale volti a qualificarla meglio in termini di fruibilità, accessibilità, sostenibilità e innovazione;
  • migliorare le interconnessioni tra porti, reti stradali e ferroviarie, per garantire un adeguato sistema di logistica integrata ed innovativa, anche attraverso lo sviluppo della «smart logistic».

La Commissione ha quindi ascoltato informalmente i rappresentati di Assoporti.

Testi integrali delle risoluzioni

 La IX Commissione, 

premesso che:

in Italia il ruolo dei porti è strategico: il sistema portuale nazionale è composto da 58 porti principali, dedicati sia al trasporto merci che passeggeri, riuniti sotto 16 Autorità di Sistema Portuale;

il contributo all'economia nazionale del sistema marittimo nel suo complesso è pari a circa il 3 per cento del Pil e all'interno di questo segmento, che comprende un insieme di attività anche molto diversificate tra loro, i porti svolgono un ruolo fondamentale, che prescinde dal valore economico direttamente prodotto, pari a 8,1 miliardi di euro, il 17,5 per cento del totale dell'economia del mare;

i porti sono il punto d'accesso privilegiato per l'approvvigionamento delle materie prime e la commercializzazione dei prodotti finiti del sistema produttivo nazionale, per il quale rappresentano, quindi, un supporto strategico irrinunciabile, contribuendo indirettamente a gran parte della ricchezza prodotta in Italia;

nel mondo circa il 90 per cento delle merci viaggia via mare, con i trasporti marittimi e la logistica che valgono il 12 per cento del Pil globale; nel 2019 il valore degli scambi commerciali internazionali via mare dell'Italia è stato pari a circa 250 miliardi di euro, il 36 per cento del totale movimentato, secondo solo al trasporto su gomma;

le aziende che operano nei porti movimentano circa 53 milioni di passeggeri e circa 500 milioni di tonnellate di merci (18 per cento verso il Mediterraneo); imprese che nel corso degli anni hanno investito cospicue risorse sul demanio portuale arricchendo di dotazioni essenziali gli scali nazionali, anche a vantaggio della valorizzazione del demanio marittimo;

le aziende attive ed effettivamente funzionali alla portualità in Italia sono attualmente poco più di 100, di dimensione e fatturato molto diversi tra loro; offrono lavoro a circa 20.000 operatori (al quarto posto in UE) e sviluppano un indotto che interessa quasi 300.000 lavoratori;

l'import-export marittimo, soprattutto nei settori dei beni e della produzione manifatturiera, rappresenta la prima modalità di trasporto in termini di peso, con circa 231 milioni di tonnellate di merci trasportate nel 2019 (pari al 68 per cento del totale). Sempre nel 2019, tra i principali Paesi europei l'Italia era seconda solo alla Germania per peso delle esportazioni di beni sul Pil (26 per cento) e per peso del valore aggiunto della manifattura sul Pil (15 per cento);

in particolare, l'Italia è leader europeo nello Short Sea Shipping, ossia nel trasporto di merci via mare a corto raggio nel Mediterraneo, con 246 milioni di tonnellate di merci trasportate nel 2019 e una quota di mercato pari al 39 per cento nel Mediterraneo;

non meno importante è il ruolo dell'Italia nel traffico passeggeri, in cui spicca la dimensione del settore crocieristico, che sempre nel 2019 ha raggiunto 12 milioni di passeggeri trasportati; l'Italia è il primo Paese nel Mediterraneo per flussi croceristici, intercettando il 40 per cento del traffico dell'area;

nonostante ciò, oggi il sistema portuale italiano rischia la marginalizzazione: alla concorrenza dei grandi porti del Northern Range, si è infatti aggiunta l'agguerrita competizione non solo dei porti del Mediterraneo occidentale, ma anche di quelli del Nord Africa e dell'East Med, che negli ultimi anni hanno sperimentato una rapida ascesa; tra questi, spiccano nel segmento container, il porto del Pireo (+18,4 per cento di Teu), quello di Algeciras (+8,7 per cento di Teu) e il Tanger Med (+4,8 per cento di Teu);

negli ultimi anni, il sistema portuale italiano ha perso quote di mercato, eppure, il sistema portuale può e deve continuare ad avere un ruolo strategico, per almeno tre ragioni: economica, relativa alla rilevanza non soltanto del segmento portuale/marittimo ma anche, e soprattutto, dei settori produttivi collegati alla rete portuale e al legame tra efficienza del settore portuale e competitività del settore produttivo nazionale; geo-economica, legata al ruolo dell'Italia nello scenario internazionale e nell'ambito dei nuovi equilibri dettati dal cambiamento delle rotte strategiche per il commercio (re-shoring – friend-shoring); la terza è relativa al ruolo centrale dei porti come nodi essenziali di un sistema logistico integrato e intermodale;

ogni riflessione deve partire dall'assunto che porti, interporti e aeroporti sono i nodi di una rete logistica lunga e articolata, la cui efficienza è fortemente correlata alla capacità di intervenire in modo organico lungo tutta la filiera, assicurando risorse e progettualità integrata, ma anche scelte oculate in base alla strategicità dei mercati economici e produttivi di riferimento, che siano nazionali ovvero internazionali; diversamente, le risorse impiegate non sarebbero efficaci nell'aumentare la capacità intermodale della rete logistica;

perché il ruolo strategico del sistema portuale italiano si possa esprimere al meglio, è necessario affrontare le criticità che ancora oggi ne limitano le potenzialità, promuovendo interventi che agiscano su alcune direttrici strategiche per un pieno sviluppo del settore;

in primis, la percezione diffusa fra gli operatori internazionali che quello italiano sia un sistema poco affidabile si traduce nel fatto che, in molti casi, le grandi compagnie di navigazione prediligono, per la movimentazione di carichi fra Europa e Far East, i porti del Nord Europa, piuttosto che, ad esempio, quelli del Nord Tirreno, rinunciando così a un significativo risparmio in termini di tempi di navigazione; questa scelta, apparentemente illogica, trova fondamento nei tempi e nei costi dei servizi di terra e dei collegamenti con i centri di produzione/consumo;

un ulteriore elemento di valutazione da parte delle grandi compagnie di navigazione (shipping company) è la possibilità di far leva su economie di scala in grado di ridurre il costo medio per unità trasportata: anche in questo ambito, emerge un vantaggio competitivo per i porti del Nord Europa che, in ragione sia di specificità fisiche (come la profondità dei fondali), sia di elementi di carattere economico (riconducibili alle dimensioni dei mercati di riferimento), consentono alle compagnie di navigazione di concentrare elevati volumi di carico da/per quelle di destinazione, con un costo per unità trasportata più contenuto;

secondo il Logistic Performance Index elaborato dalla Banca Mondiale – che considera sia tempi e costi associati alla logistica, sia trasparenza dei processi e della qualità e affidabilità dei servizi offerti – nel 2019 l'Italia si è posizionata 19esima al mondo, mentre i primi tre Paesi sono Germania, Svezia e Belgio: l'inefficienza logistica costa oggi al nostro Paese 70 miliardi di euro l'anno, dei quali 30 miliardi sono da imputare a oneri burocratici e ritardi digitali;

una rete logistica moderna e adeguatamente integrata è anche strategica nella lotta all'inquinamento e al cambiamento climatico: si pensi al ruolo che hanno in questo senso le cosiddette autostrade del mare, che consentono il decongestionamento delle arterie stradali;

il trasporto su strada rappresenta, infatti, ancora il 72 per cento delle emissioni inquinanti nel mondo dei trasporti in Europa, e i veicoli commerciali pesanti, che sarebbero i destinatari per eccellenza del trasporto RoRo (navi-traghetto progettate per trasportare carichi su ruote come automobili, autocarri oppure vagoni ferroviari) rappresentano da soli ancora il 26 per cento. La riallocazione di parte della circolazione di questi mezzi nel trasporto via mare offrirebbe, ovviamente su direttrici di collegamenti strategici al mercato produttivo, un importante contributo alla riduzione dell'inquinamento;

in tale ottica, occorre rafforzare le nostre reti portuali con investimenti che vadano nella direzione di sviluppare alcuni assi strategici, capaci di sciogliere i nodi che ancora vincolano un pieno sviluppo del settore, in termini di efficienza e affidabilità: interventi per il consolidamento, la sicurezza e l'adeguamento della dotazione infrastrutturale; interventi per ridurre il deficit di interconnessione attraverso un approccio di insieme; digitalizzazione dei processi della logistica e nella supply chain; semplificazione delle procedure amministrative; razionalizzazione degli enti preposti ai controlli, sostenibilità, con interventi per favorire lo sviluppo di porti green;

l'adeguamento della dotazione infrastrutturale degli scali, nonché l'individuazione di adeguate aree limitrofe ai porti per l'interscambio intermodale, non sono più procrastinabili: in molti porti italiani sono necessari interventi sulle infrastrutture portuali esistenti, per il consolidamento, la sicurezza e l'adeguamento alle stazze delle navi; infrastrutture inadeguate, infatti, condizionano significativamente la capacità di offrire servizi differenti; maggiore è la differenziazione delle funzioni svolte dal porto, tanto più avanzato è il suo sistema logistico, tanto più ampia sarà la sua capacità competitiva;

mentre nel Mediterraneo si rileva una distinzione piuttosto marcata tra porti gateway (porte continentali per i traffici marittimi) e scali di transhipment (porti che dedicano più 75 per cento della propria attività di movimentazione al trasbordo da nave a nave), un elemento di successo dei porti del Nord Europa è proprio la capacità di far coesistere diverse modalità distributive, rafforzando la possibilità per gli operatori di realizzare economie di scala;

il secondo elemento su cui agire è l'integrazione e l'intermodalità: i nostri scali nazionali soffrono ancora di forti deficit di interconnessione, i tempi di gestione dello scarico/carico sono molto lunghi – anche a causa di controlli amministrativi spesso più che duplicati e svolti da enti cronicamente sotto organico – e sono numerose le criticità connesse alla morfologia del territorio; a causa di queste inefficienze, le nostre imprese oggi pagano un extra costo della logistica dell'11 per cento superiore alla media europea; tuttavia, qualunque investimento sulla rete portuale o sulle infrastrutture stradali o ferroviarie di servizio, che non si inserisca in posizione strategica rispetto ai grandi mercati di un approccio «di insieme», può rivelarsi del tutto o parzialmente inefficace;

è necessario concepire le infrastrutture logistiche come un unicum di nodi e reti, adeguatamente interconnessi e dimensionati, che consentano una movimentazione dei carichi quanto più possibile fluida e priva di colli di bottiglia; in un settore integrato come quello dei trasporti, infatti, l'intera catena si muove alla velocità del suo anello più debole;

i porti appaiono sempre meno asset produttivi e di collegamento locale, in un contesto di dinamiche di internazionalizzazione votate alle esigenze sia dell'import/export che alla influenza degli assetti e dimensioni dei players dei trasporti e della logistica (che mutano velocemente);

anche a livello dell'Unione europea vengono individuate le principali direttrici di collegamento (reti TEN-T), tracciando quasi delle «rotte» di connessione commerciale/industriale intra ed extra comunitaria;

in un contesto in cui si stanno ridefinendo i flussi di interscambio a livello mondiale, con tendenze sempre più forti al rientro delle produzioni (reshoring) e alla regionalizzazione degli scambi, oltre al forte impulso che il lockdown ha dato al commercio digitale, il sistema della logistica e della portualità dovrà essere necessariamente ripensato;

la digitalizzazione è, poi, il terzo asse fondamentale per uno sviluppo del settore: tecnologie come l'intelligenza artificiale e l'Internet of Things possono rivelarsi strategiche per controllare l'intera catena logistica, dall'organizzazione del trasporto, alla gestione delle procedure doganali, alla progettazione e gestione dei magazzini, fino alle consegne, con impatti significativi sull'efficienza delle procedure e sui tempi;

il sistema portuale italiano soffre di una carenza di infrastrutture digitali, nonché di una carenza di servizi tecnologici che rendono le operazioni portuali più costose e meno veloci per gli attori della catena logistica;

il quarto asse è la semplificazione: serve una politica complessiva per la logistica, con un quadro normativo e regolatorio che aiuti, fluidifichi e sostenga il trasporto di merci, dati e passeggeri. In Italia si contano 177 procedimenti amministrativi in capo a 17 diverse pubbliche amministrazioni solo per i controlli merce in ambito portuale; se si estende la mappatura ad autotrasporto, interporti, magazzini, cargo ferroviario e cargo aereo, si arriva a oltre 450 procedimenti amministrativi – che riguardano sia merci che vettori – in capo a 35 pubbliche amministrazioni diverse e non coordinate tra loro, a fronte di una media europea inferiore a 80;

in questo contesto, un ruolo importante per la competitività degli scali portuali potrebbero giocarlo le Zone economiche speciali (Zes), che proprio grazie alla semplificazione amministrativa, all'applicazione di una legislazione economica agevolata e all'offerta di incentivi di natura fiscale/finanziaria sarebbero capaci di attrarre investimenti produttivi, contribuendo allo sviluppo dell'economia del territorio, in una logica di maggiore integrazione tra industria e logistica; una reale implementazione di strumenti attrattivi attraverso Zes o Zls integrate ed estese alle aree doganali intercluse dei porti potrebbero creare dei poli di lavorazione della merce legate ai porti molto attrattivi;

infine, gli investimenti nel sistema portuale, oggi più che mai, non possono prescindere dal tema della sostenibilità: l'adeguamento e ammodernamento delle infrastrutture portuali secondo una logica di sviluppo sostenibile è l'orizzonte in cui inscrivere la programmazione degli interventi allo scopo di promuovere la transizione verso i green ports; questo significa accelerare gli investimenti per l'elettrificazione delle banchine (il cosiddetto cold ironing) che permetterebbe di abbattere sensibilmente le emissioni di CO2 legate allo stazionamento delle navi in porto, ma anche guardare con sempre maggior attenzione ai progetti di sviluppo legati all'idrogeno come combustibile alternativo;

il tema della sostenibilità non deve, inoltre, essere visto solo sotto un'ottica di «service» allo shipping ma anche funzionale all'efficientamento energetico delle stesse aziende che operano nei porti e ai loro equipaggiamenti. In molti porti internazionali la portualità sta diventando – attraverso efficienti sistemi di comunità energetica – anche un potenziale hub di produzione di energia da fonti rinnovabili che può essere sfruttato a beneficio del territorio circostante. Tenuto conto dell'orografia dei porti italiani che spesso insistono, storicamente, nelle vicinanze di centri urbani, si dovrebbero creare e incentivare i presupposti per sfruttare queste potenzialità a favore delle collettività circostanti;

integrazione intermodale, digitalizzazione, semplificazione burocratica e sostenibilità sono tutti elementi su cui l'Europa ci chiede di intervenire con i fondi di Next Generation EU, che possono rappresentare l'occasione per superare i limiti strutturali del sistema logistico nazionale e puntare con determinazione al suo rafforzamento strategico, senza, ovviamente, rinunciare a un maggior coinvolgimento di operatori industriali e investitori privati;

infine, ma non per ordine di importanza, un discorso a parte merita l'impianto normativo che regola la portualità in Italia, nato a metà degli anni '90 con la legge 28 gennaio 1994, n. 84;

attualmente la legge prevede un'Autorità di sistema portuale (Adsp) esplicitamente qualificata come ente pubblico non economico; la stessa legge prevede una governance con un comitato di gestione che esercita funzioni anche di gestione patrimoniale che, in ragione di una non chiara formulazione, sono state interpretate dalla Commissione europea come attività d'impresa;

nell'ambito dell'ordinamento italiano le Adsp sono enti pubblici non economici a ordinamento speciale, sottoposti alla direzione e vigilanza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria;

nell'ordinamento europeo, invece, le Adsp possono essere qualificate come imprese: la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento. La circostanza che un ente disponga, per l'esercizio di una parte delle sue attività, di pubblici poteri non impedisce, di per sé, di qualificarlo come impresa;

su queste basi giuridiche si fonda la recente decisione della Commissione di procedere contro l'Italia per presunta violazione delle norme sugli aiuti di Stato, perché le Autorità di sistema portuale, in quanto imprese, dovrebbero pagare le tasse sul reddito per i canoni demaniali percepiti;

occorre chiarire il ruolo delle Autorità di sistema portuali ponendole come veri e propri gestori di beni pubblici finalizzati alla massimizzazione della resa economica e, di conseguenza, alla massimizzazione dei posti di lavoro, sia in termini quantitativi che in termini qualitativi;

da sempre, la chiarezza delle regole e del sistema di amministrazione costituisce incentivo agli investimenti di lungo periodo da parte delle imprese nelle infrastrutture e ciò favorisce indubbiamente la possibilità di interventi strutturali ai fini del raggiungimento del green deal europeo;

solo una partnership pubblico-privata stabile e dalle decisioni prevedibili, in ossequio al principio della certezza del diritto, può costituire il presupposto di una crescita sostenibile,

impegna il Governo:

ad assumere ogni opportuna iniziativa di competenza volta a rafforzare le reti portuali nazionali con investimenti finalizzati a un pieno sviluppo del settore, in termini di efficienza e affidabilità e, in particolare per:

a) il consolidamento, la sicurezza e l'adeguamento della dotazione infrastrutturale;

b) la riduzione del deficit di interconnessione attraverso un approccio di insieme;

c) la digitalizzazione dei processi della logistica e nella supply chain;

d) la semplificazione delle procedure amministrative;

e) la sostenibilità, con interventi che favoriscano lo sviluppo di porti green;

a valutare l'opportunità di introdurre una differenziazione delle governance tra porti gateway (che competono a livello europeo) e porti che servono esclusivamente il mercato locale;

ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, volta alla modifica della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e, in particolare, per:

a) un riordino delle competenze dell'Autorità di sistema portuale;

b) un rafforzamento della governance a livello centrale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, anche in un'ottica di semplificazione di ruoli tra funzioni pubbliche, ad oggi molteplici (Autorità di regolazione trasporti, Agcm, capitanerie di porto, dogane);

c) la modernizzazione giuridico-finanziaria delle concessioni portuali, attraverso l'introduzione di chiari principi funzionali alla modulazione degli elementi della concessione (misura dei canoni e durata) in una moderna dinamica di equilibrio economico-finanziario;

d) la previsione della possibilità per i soggetti autorizzati ai sensi degli articoli 16 e 18 di costituire comunità energetiche per la produzione e consumo di energia rinnovabile;

a valutare l'opportunità di:

a) prevedere incentivi all'intermodalità, affinché la tariffa di uso delle infrastrutture portuali sia agevolata sul traffico ferroviario rispetto al traffico su gomma;

b) prevedere un meccanismo premiale, come ad esempio l'iper-ammortamento, per le imprese portuali che investono nella digitalizzazione di attrezzature e processi al fine di rendere maggiormente snello e sicuro il processo di arrivo e smistamento della merce in porto, coerentemente con i processi che si stanno implementando anche attraverso R.A.M.;

ad assumere ogni opportuna iniziativa normativa per una modifica delle disposizioni di legge in materia di dragaggio dei porti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con riferimento al possibile sversamento a mare dei residui idonei per qualità;

ad assumere ogni opportuna iniziativa di competenza per garantire una risoluzione dei problemi delle code dell'autotrasporto nell'accesso ai porti con la gestione programmata dei mezzi anche attraverso l'implementazione di sistemi digitali di collegamento tra la rete autostradale e i porti;

ad assumere le iniziative di competenza affinché l'assegnazione delle concessioni portuali, valutata sulla base dei principi sottesi ai mercati rilevanti di riferimento dei sistemi portuali nel loro complesso, avvenga salvaguardando la competitività del mercato e della concorrenza. 
(7-00038) «Frijia, Gaetana Russo, Cangiano, Ruspandini, Amich, Deidda».

  La IX Commissione, 

premesso che:

un sistema portuale aperto, competitivo e regolato è un asset strategico per l'economia italiana e, per questo, è importante che la politica portuale sia intesa all'interno di una più generale politica dei trasporti per creare le necessarie sinergie di sistema e produrre valore aggiunto per il Paese;

la portualità è un anello importante della filiera logistica moderna: sono oltre 200 miliardi di euro derivanti dall'import e dall'export che passano attraverso i porti italiani ed è il 25 per cento del valore del trasporto marittimo mondiale, in un Mediterraneo che, strategicamente, è tornato al centro dell'attenzione geoeconomica e dell'importanza dell'economia;

il Mar Mediterraneo è, oggi, centrale nello scenario marittimo internazionale, rappresentando la principale connessione tra Occidente e Oriente. Anche tenendo conto degli effetti del cambiamento climatico sulla rotta artica, esperti del settore e analisti ritengono che il ruolo strategico del Mar Mediterraneo resterà confermato nel futuro, anche in funzione del previsto sviluppo, peraltro già in corso, del continente africano. Il nostro Paese, in virtù della sua straordinaria posizione geografica, potrebbe godere di opportunità irripetibili di crescita economica e rilevanza geopolitica proprio grazie allo sviluppo del sistema logistico e portuale nazionale, in termini di investimenti infrastrutturali sostenibili, digitalizzazione e innovazioni tecnologiche, governance, maggiore efficienza e semplificazione amministrativa;

come riportato nel rapporto «Investimenti e riforme del PNRR per la portualità» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ottobre 2022, l'attuale rete logistica portuale nazionale include 58 porti (e 24 interporti) dedicati al trasporto delle merci e dei passeggeri, riuniti in 16 autorità di sistema portuale (AdSP) e distribuiti su circa 7.456 chilometri;

l'Italia è il secondo Paese europeo, dopo i Paesi Bassi, per la movimentazione di merci via mare e seconda solo al Regno Unito per il trasporto marittimo a corto raggio (IT&IA, 2021). La rete logistica è uno dei fattori abilitanti per il successo del Paese nella sfida del commercio internazionale: nel 2019 la movimentazione di merci è stata pari a quasi 500 milioni di tonnellate, operata principalmente su navi che trasportano liquidi (37 per cento, in particolare petrolio e derivati), container (23 per cento) e traghetti (22 per cento) (IT&IA, 2021). I porti di Trieste, Genova, Ravenna, Taranto, Livorno e Gioia Tauro sono tra i primi cinque porti nel Mediterraneo per movimentazione merci in diverse categorie;

l'Italia, secondo i dati disponibili, si situa al primo posto, in Europa e nel Mediterraneo, per quanto riguarda il movimento via mare di merci e passeggeri tra porti localizzati nell'Europa geografica o tra questi e i porti situati in Paesi non europei con una linea costiera che si affaccia sui mari chiusi alle frontiere dell'Europa, cosiddetto Short Sea Shipping;

la competitività portuale italiana nel Mar Mediterraneo dovrà essere in grado di misurarsi, da un lato, con la crescita dei porti della sponda non europea del Mediterraneo, con particolare riferimento al porto marocchino di Tanger Med, che vanta la più elevata capacità di movimentazione container del Mediterraneo (oltre 7 milioni di TEU), e al porto egiziano di Port Said che gode di un notevole vantaggio derivante dal raddoppio del Canale di Suez; e, dall'altro, con lo sviluppo dei porti della sponda orientale del Mediterraneo, Grecia e Turchia, in particolare;

la principale sfida del sistema portuale e logistico nazionale è quella di farsi trovare pronto a rispondere alle evoluzioni tecnologiche, geopolitiche e climatiche che caratterizzeranno il commercio internazionale e il settore nei prossimi anni. Per questo, la risposta si è concretizzata in una strategia «sistemica» basata su tre pilastri: pianificazione, riforme e investimenti, a seguito dell'adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 agosto 2015, del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica (Pnspl), in attuazione dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;

il suddetto Piano, suddiviso in 10 macro-obiettivi a cui corrispondono 10 azioni, è intervenuto sull'assetto della governanceportuale, considerata uno dei fattori principali, allora ancora plasmata sulla dimensione «mono-scalo» degli organi di governo, come previsto dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, realizzando, in una logica di sistema, una razionalizzazione e un accorpamento delle autorità portuali esistenti, per favorire attraverso l'istituzione delle Autorità di sistema portuale una più efficace semplificazione delle procedure;

coerentemente con quanto previsto dal Piano strategico della portualità e della logistica, è stato realizzato, con il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, un riordino del sistema portuale, improntato a migliorare gli aspetti legati alla efficienza amministrativa, alla razionalizzazione e semplificazione, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema, nonché alla governance;

con il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, è stato realizzato un riordino del sistema portuale e la riforma ha previsto: a) la sostituzione delle vecchie autorità portuali con nuove Autorità di sistema portuale (AdSP) alle quali fanno capo più porti; b) la conseguente riduzione del numero delle autorità portuali che passano da 24 a 15 (attualmente 16, con l'istituzione, il 18 giugno 2021 dell'Autorità di sistema portuale dei mari Tirreno Meridionale e Ionio competente sui porti di Gioia Tauro, Crotone, Corigliano Calabro, Palmi e Vibo Valentia) con l'accorpamento di 57 porti italiani; c) la riarticolazione della governanced) la ridefinizione di ruoli, competenze e funzioni degli organi delle AdSP (Presidente, Comitato di Gestione; Organismo di partenariato della risorsa mare; Conferenza nazionale di coordinamento delle AdSP);

da ultimo, la riforma relativa al nuovo processo di pianificazione strategica in ambito portuale, attuata con l'articolo 4, commi da 1-septies a 1-novies del decreto-legge n. 121 del 2021 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 156 del 2021), ha semplificato l'iter di approvazione degli strumenti di pianificazione portuale con l'obiettivo di rafforzare e favorire gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale dei porti, altrimenti fortemente limitati a causa della vetustà dei piani regolatori portuali e delle difficoltà incontrate negli anni nelle procedure di approvazione degli stessi piani;

a conclusione del quadro bisogna aggiungere che il PNRR ha riservato alla questione dei Porti uno spazio rilevante. Gli investimenti previsti per lo sviluppo della portualità dal Piano nazionale di ripresa resilienza, dal Piano nazionale complementare e da risorse nazionali ammontano a 9,2 miliardi di euro, come descritto dal citato Rapporto «Investimenti e Riforme del PNRR per la Portualità». Complessivamente, sono previsti interventi in 47 porti localizzati in 14 regioni e di competenza di 16 Autorità di sistema portuale (AdSP). Il 46,9 per cento degli investimenti riguarda i porti del Mezzogiorno, il 37,7 per cento quelli dell'Italia settentrionale e il restante 15,4 per cento quelli dell'Italia centrale;

i porti sono una parte fondamentale dell'idea e degli obiettivi della transizione energetica ed ecologica del nostro Paese, tema molto sfidante in quanto i porti sono un settore hard to abate. Quindi è centrale comprendere come possono diventare punti anche di innovazione e di accompagnamento di un sistema produttivo più ampio;

è necessario, oggi, impostare una politica industriale della logistica che sfrutti ogni nuova possibilità di allargare i nostri mercati all'Europa (grazie ai nuovi corridoi ferroviari che saranno agibili nel 2026), regolando il disallineamento di rapporti di forza tra compagnie di navigazione e mondo della supply chain, aiutando la crescita di «campioni nazionali» logistici, ma anche sostenendo processi di produzione di manifattura e innovazione nei porti e nelle aree periportuali, nella logica che i traffici dovrebbero diventare una componente importante, ma non unica, della economia della portualità futura;

in tale contesto è fondamentale realizzare una maggiore integrazione tra i sistemi portuali e i sistemi logistici, rafforzando la componente industriale e cantieristica tutelandola dal dumping salariale e ambientale di altri Paesi extra europei;

su queste basi la politica portuale ha bisogno di essere attualizzata, anche se non stravolta, evitando una trasformazione dei soggetti gestori dei porti da pubblici a privati e ribadendo la necessità della definizione compiuta di una politica portuale nel Paese da parte delle istituzioni preposte, per evitare parcellizzazioni, frammentazione o nuovi processi di precarizzazione del lavoro;

è, quindi, necessario rilanciare e migliorare alcuni princìpi base della legge n. 84 del 1994, riforma che nel tempo è stata parzialmente disattesa, per quel che riguarda la natura giuridica dei porti. Sono necessarie autonomia finanziaria e autonomia amministrativa, ribadendo la natura pubblicistica di ente non economico delle autorità di sistema portuale. In tale ottica la regolazione, la vigilanza e il controllo devono essere svolte da un unico ente ossia il Ministero di riferimento, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, producendo, in tal modo, una profonda semplificazione;

per il sistema portuale va guardato con attenzione il fatto che si mantenga un sistema pubblico, con un assetto di legge che governi anche il lavoro, sistema che va sicuramente efficientato rispetto ad alcune necessità di attualizzazione dell'impianto;

infine, è necessario che il Governo e le regioni, laddove queste debbano ancora intervenire, faccia partire le zone logistiche speciali, le Zls, volte a favorire lo sviluppo di nuovi investimenti nelle aree portuali valutando l'allargamento delle competenze delle AdSP individuando in esse il motore di un'economia di area, distinguendo fra ruolo del porto e traffici;

in relazione alle questioni del lavoro c'è la necessità di intervenire per sostenere con iniziative utili miglioramento delle condizioni e sicurezza del lavoro portuale, attivando il Fondo di accompagno all'esodo, incrementando la sicurezza del lavoro portuale, laddove oggi avvengono ancora troppi incidenti mortali e aprendo un confronto sul tema dei lavori usuranti;

occorre dare piena attuazione alla norma sull'autoproduzione, mettendo al centro la figura del lavoro e di chi garantisce la continuità del servizio nei nostri territori e nei nostri porti;

negli ultimi anni si sta assistendo al crescente fenomeno dell'integrazione verticale tra realtà armatoriali e operatori portuali, con le prime che stanno acquistando quote significative delle società che gestiscono i terminal situati nei porti nazionali. In particolare, in alcuni casi, le imprese armatoriali detengono il 100 per cento delle società, in altri casi detengono quote di maggioranza e in altri casi ancora detengono quote di minoranza; l'integrazione si è intanto ulteriormente estesa al segmento ferroviario del trasporto, quello stradale e da ultimo a quello aereo;

i vettori nazionali e internazionali ai sensi della legge 28 gennaio 1994, n. 84, possono svolgere l'esercizio delle operazioni portuali in regime di autoproduzione con propri mezzi meccanici e proprio personale; le imprese armatoriali che operano in regime di autoproduzione, a differenza delle imprese italiane terze che esercitano attività ancillari, beneficiano di un regime di sgravio contributivo e fiscale di favore, come previsto dalla normativa del registro internazionale e del tonnage e da diverse notizie emerse in questi mesi, dal Governo è emerso l'orientamento di estendere i benefici riconosciuti dal registro internazionale e dal tonnageanche alle attività accessorie svolte dalle imprese armatoriali e tale situazione potrebbe comportare, anche in via potenziale, un vantaggio anticoncorrenziale, sotto forma di abuso di posizione dominante o di intesa restrittiva della concorrenza, da parte delle imprese armatoriali verso le imprese italiane terze prestatrici dei servizi ancillari;

in relazione alle concessioni ci sono temi aperti su cui arrivare ad una definizione, a partire dalla questione legata all'uniformità delle concessioni e alla necessità di rivedere la disciplina delle concessioni portuali tenendo conto degli interessi strategici e geopolitici coinvolti, nella necessità di sviluppare un quadro chiaro di conoscenza attraverso una mappatura integrale di tutte le concessioni di aree demaniali e banchine comprese nell'ambito portuale, verificandone gli assetti proprietari, informandone tempestivamente le commissioni parlamentari competenti e vigilando sulle concentrazioni al fine di evitare abusi di posizione dominante,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa normativa utile volta alla modifica della legge 28 gennaio 1994, n. 84, coinvolgendo pienamente e in tutte le sue prerogative il Parlamento nel percorso di realizzazione della riforma, al fine di:

a) attualizzare e modernizzare le competenze delle Autorità di sistema portuale, mantenendo l'attuale articolazione nazionale che prevede sedici autorità di sistema portuale aventi natura di enti pubblici non economici, sottoposti ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

b) rafforzare la governance a livello centrale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia attraverso la ricomposizione in capo al Ministero delle funzioni oggi ripartite tra varie autorità indipendenti ed agenzie per mettere ordine nella duplicazione di funzioni e competenze, con particolare riferimento alle funzioni e competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti (Art) ed alla conseguente diminuzione dei corrispondenti oneri di contribuzione, sia attraverso l'istituzione di un organismo nazionale, dotato di personalità giuridica, a cui attribuire la competenza per attuare la politica portuale del Governo, il coordinamento ed il controllo dell'efficacia del sistema portuale sulle questioni strategiche, nell'autonomia amministrativa e finanziaria delle AdSP;

c) evitare l'introduzione nella materia portuale di forme di federalismo differenziato ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

ad assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, anche di carattere normativo, per implementare la sicurezza del lavoro portuale attraverso processi di upgrade formativo dei lavoratori e di armonizzazione della disciplina sulla sicurezza portuale ai principi che innervano l'ordinamento generale nonché per dare operatività all'istituzione del fondo per l'incentivazione al pensionamento anticipato dei lavoratori istituito dall'articolo 10 del decreto-legge 30 dicembre 2021 n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15;

ad assumere ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, per il rafforzamento della rete logistica portuale, attraverso investimenti per:

a) adottare una mappatura integrale dello stato di fatto di tutte le infrastrutture portuali, finanziando un piano di manutenzione e messa in sicurezza delle banchine, adeguandole al nuovo assetto delle navi e ai nuovi fenomeni climatici;

b) favorire il massimo sviluppo del cold ironingnon confermando la modifica normativa volta a reintrodurre il pagamento degli oneri generali di sistema per queste forniture, come attualmente previsto dal disegno di legge sulla concorrenza presentato dal Governo, e chiarendo, nello spirito della massima semplificazione, il rapporto tra distributore dell'energia, gestore dell'impianto, terminalista e utilizzatori;

c) sostenere i percorsi di intermodalità sia attraverso la messa a terra delle iniziative infrastrutturali progettate e finanziate, sia attraverso incentivi all'utilizzo delle infrastrutture portuali che prediligano il movimento ferroviario;

d) ad indirizzare le autorità di sistema portuale verso l'introduzione delle adeguate capacità tecnologiche di prevenzione delle possibili minacce alla sicurezza dell'infrastruttura, soprattutto in materia cibernetica e nella protezione dello spazio aereo pertinente le aree portuali che stoccano prodotti esplodenti o esplosivi;

e) promuovere la costituzione di comunità energetiche per la produzione ed il consumo di energia rinnovabile per rendere i porti sempre più green e sostenibili, semplificando la normativa per favorire la massima partecipazione dei soggetti economici alle comunità;

ad assumere, inoltre, le necessarie iniziative di competenza per:

a) adottare il decreto ministeriale per attuare la norma di legge sulla regolamentazione dell'autoproduzione dei servizi portuali da parte delle imprese armatoriali, in modo da evitare fenomeni di concorrenza sleale a danno delle imprese portuali;

b) mantenere e rafforzare la disciplina dei servizi tecnico nautici di rimorchio, ormeggio e pilotaggio quali servizi di interesse generale;

c) rivedere la disciplina delle concessioni portuali, tenendo primariamente conto degli interessi strategici e geopolitici coinvolti, nonché ad effettuare la mappatura integrale di tutte le concessioni di aree demaniali e banchine comprese nell'ambito portuale, verificandone gli assetti proprietari, informandone tempestivamente le commissioni parlamentari competenti e vigilando sulle concentrazioni al fine di evitare abusi di posizione dominante;

d) attuare la legislazione nazionale sugli aiuti di Stato a favore delle imprese armatoriali evitando di estendere il trattamento fiscale di favore alle «attività accessorie» di manipolazione e movimentazione di container all'interno dell'area portuale e di trasporto terrestre immediatamente antecedente o successivo al trasporto marittimo, in modo da non creare effetti distorsivi della concorrenza a svantaggio degli operatori della catena logistica non verticalmente integrati in un'impresa di navigazione;

e) promuovere una forte opera di semplificazione e sburocratizzazione per evitare fenomeni di abbandono della bandiera italiana a favore di altre bandiere europee;

f) promuovere la formazione dei lavoratori marittimi, anche attraverso il ricorso agli istituti tecnici superiori, adeguando le procedure amministrative del lavoro marittimo alla disciplina prevista dagli altri Paesi europei;

g) modificare l'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2006 che disciplina i requisiti di accesso ad alcune figure professionali che, pur non facendo parte dello Stato Maggiore, sono altamente specializzate e sulle 4 quali si registra una domanda da parte dell'armamento che l'attuale offerta di lavoratori marittimi italiani non è in grado di soddisfare, essendo in molti casi, i percorsi professionali previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2006 non più esistenti e rispondenti all'evoluzione del sistema scolastico e risultando spesso i requisiti dallo stesso previsti economicamente onerosi, operando come forte ostacolo all'accesso dei giovani alle carriere del mare;

h) prevedere la possibilità di essere considerati marittimi italiani a tutte quelle ragazze e quei ragazzi che, indipendentemente dalla nazionalità anagrafica, abbiano conseguito un diploma di scuola secondaria superiore e i titoli abilitanti in Italia;

i) dare piena attuazione da parte del Governo con l'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri istitutivi, e delle regioni, laddove queste debbano ancora intervenire, all'avvio delle zone logistiche speciali Zls, volte a favorire lo sviluppo di nuovi investimenti nelle aree portuali, individuando in esse il motore di un'economia di area
(7-00144) «Ghio, Barbagallo, Bakkali, Casu, Morassut, Braga, De Micheli, Orlando, Serracchiani, Simiani, Ubaldo Pagano, Forattini, Scotto, Pastorino».

 La IX Commissione,

premesso che:

con circa 7500 chilometri di confine marittimo e oltre il 90 per cento delle merci che provengono dal resto del mondo e arrivano in Italia dal mare, è sempre più evidente che è in atto una «marittimizzazione» dell'economia, incrementata dal fenomeno del gigantismo navale. Il mare è una risorsa primaria da tutelare e da far diventare assoluto protagonista delle scelte economiche, commerciali, culturali e sociali del nostro Paese, l'insieme dei porti italiani tratta un volume di traffico merci che lo colloca al terzo posto in Europa dopo la portualità olandese e britannica. Il ritmo con il quale questo volume di traffico è rimasto sostanzialmente stabile dal 2012;

l'Italia ha faticato ad intercettare i flussi di traffico marittimi sulle tratte a lungo raggio, come evidenziato dal progressivo calo dell'incidenza del traffico transhipment scesa dal 48 per cento al 36 per cento del totale nazionale tra 2004 e 2021. I porti italiani hanno subìto in particolare: la concorrenza esercitata da Marocco, Egitto, Malta e dai porti spagnoli dove è conveniente consolidare volumi più grandi apportati da navi oceaniche; i minori costi operativi garantiti al transhipment nei porti africani concorrenti, caratterizzati da costo del lavoro più basso rispetto all'Italia, da maggiore velocità e da infrastrutture ampliate e modernizzate (Nord Africa e Spagna) che garantiscono servizi più veloci nella gestione a terra, anche grazie a tempi minori nelle pratiche burocratiche; politiche aziendali del grande shipping che tendono a creare basi di transhipment proprie; posizione geografica di porto Said per il traffico da Suez e Tanger Med, che consente di raggiungere i mercati di destinazione con le navi feeder (ovest Mediterraneo e est Mediterraneo e Mar Nero) senza dover ripercorrere parte della rotta;

la concorrenza non arriva solo dai porti del Mediterraneo. I porti dell'alto Tirreno e dell'alto Adriatico si vedono ancora sottrarre dai porti del Mar del Nord non solo mercati centro europei (Baviera, Austria, Svizzera e Europa centro-orientale), ma addirittura i mercati della pianura padana, a causa della difficoltà a canalizzare verso i porti italiani dell'alto Adriatico e Tirreno gli scambi relativi a produzione e consumi che gravitano nel nord Italia;

la dispersione dei porti italiani si associa peraltro a basse dimensioni medie. I primi tre porti per merci (Genova, Livorno e Trieste) rappresentano solo il 32 per cento del mercato italiano, a fronte della maggiore concentrazione nei tre principali porti nel caso dei traffici container pari a 8.9 milioni di TEU pari al 76 per cento del settore (Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Trieste e Livorno). La sola Rotterdam movimentava, nel 2022, 14,5 milioni di container, ben più dei 11,5 milioni circa movimentati da tutti porti italiani;

la crescita del traffico merci e container dai porti italiani potrà essere maggiore di quello delle esportazioni, se si riuscirà a recuperare quote di traffico originati o diretti in Italia o in Europa centromeridionale e gestiti in altri porti mediterranei o del Northern Range. Peraltro, va segnalato il persistente dinamismo nei porti italiani dei passeggeri per crociere, che sono cresciuti a dispetto della crisi economica e rappresentano uno dei settori più fortemente in crescita;

la politica europea, così come si è configurata con l'individuazione di ben 4 dei corridoi prioritari della rete TEN-T core che interessano il nostro Paese, va nella direzione «mediterranea», più favorevole, per l'Italia, con un numero di porti compreso nel core network che sembra troppo elevato per rendere evidente la valenza strategica alla nuova impostazione UE. L'Italia ha una considerevole dotazione di infrastrutture portuali funzionali sia alla protezione e all'accesso dal mare sia alle operazioni di sbarco, imbarco e spedizione dei beni trasportati dalle navi;

l'esiguità degli spazi rispetto ai grandi porti del Nord, allo stato attuale, sembra penalizzare più l'accesso e le manovre ferroviarie che l'efficienza della movimentazione dei container in ambito portuale. Gli interventi infrastrutturali e l'acquisto di materiale rotabile necessari per accelerare le operazioni ferroviarie non sono investimenti remunerativi e, dunque vanno sostenuti;

sono ancora tanti i collegamenti ferroviari (per i traffici containerizzati intermodali ed i traffici a carro completo di rinfuse e merci varie non unitizzate), quanto i collegamenti stradali (in particolare per i porti con elevato traffico di rotabili), che devono essere potenziati, sia sul piano infrastrutturale che su quello dei servizi;

in materia di finanziamenti per le opere sarebbe necessario, da un lato, rivedere gli attuali criteri di ripartizione delle risorse, sostituendo il criterio del valore aggiunto prodotto a quello del tonnellaggio movimentato e, dall'altro, mediante una riforma dei sistemi di trasferimento, garantire ai porti la disponibilità delle risorse da essi prodotte, perseguendo l'obiettivo dell'autonomia finanziaria;

in particolare, per le infrastrutture portuali, risulta rilevante perseguire il duplice obiettivo di rafforzare il ruolo strategico dell'Italia nella dinamica dei traffici mondiali e di promuovere il trasporto marittimo in alternativa a quello su strada;

la privatizzazione dei porti proposta recentemente dal Ministro Tajani, con l'idea di rilanciare l'economia italiana e favorire la concorrenza, ripropone la vecchia ricetta della vendita dei beni demaniali del settore portuale; tale privatizzazione, a suo dire, sarebbe vantaggiosa anche per i lavoratori, che potrebbero beneficiare di maggiori opportunità di occupazione e di formazione; la privatizzazione ha come effetto invece proprio la perdita di sovranità nazionale e una precarizzazione delle condizioni lavorative. Tale soluzione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, mostra come l'attuale Governo voglia abdicare all'attività programmatoria, quando è invece proprio finanziando e ammodernando le infrastrutture portuali e semplificando gli aspetti burocratici che si aiuta il nostro sistema «portuale»;

inoltre una siffatta privatizzazione ridurrebbe il controllo pubblico sulle attività portuali, con possibili conseguenze negative sulla sicurezza, sul rispetto delle norme ambientali e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti; comprometterebbe il ruolo strategico dei porti come infrastrutture essenziali per lo sviluppo del Paese e per la sua integrazione nel sistema europeo e internazionale dei trasporti. Risulta fondamentale dunque un piano del mare, tutelando l'interesse pubblico;

rispetto ai numerosi tentativi di riforma e di piccoli interventi di aggiustamento che la legge ha subìto negli anni, il decreto legislativo n. 169 del 2016 ha senz'altro il merito di essere intervenuto ad apportare significative modifiche all'ordinamento portuale, realizzando alcune delle azioni indicate a livello programmatico dal Pnspl e provando ad incidere su un assetto tradizionalmente caratterizzato da molte resistenze corporative e contrapposti interessi locali;

il livello nazionale dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo e l'efficienza al massimo dei porti core, che potenzialmente possono contribuire davvero all'efficienza del sistema, magari riducendone il numero;

sul piano della razionalizzazione, la riduzione del numero delle Autorità corrisponde ad un'esigenza sempre più avvertita a livello nazionale, in ragione del fatto che uno dei principali elementi di ostacolo all'affermazione della competitività del settore portuale risiede proprio nel numero e nella tendenza alla proliferazione dei centri decisionali;

in materia di concessioni portuali, per l'emanazione del decreto interministeriale sulle concessioni di aree e banchine destinate alle operazioni portuali, di cui all'articolo 18 della legge n. 84 del 1994, ci sono voluti quasi 30 anni; risulta dunque importante sistematizzare e semplificare le norme esistenti piuttosto che aggiungerne altre. Per una riforma dell'ultima riforma, che risale al 2016, e non al secolo scorso, serve tempo per approfondire e umilmente condividere. Ciò rende necessario cambiare strada ricorrendo a un coordinamento forte dell'attività programmatoria e regolatoria di settore a livello nazionale, attraverso un processo di concertazione delle soluzioni tecnico-economiche che produca gli orientamenti da porre a base delle azioni dell'amministrazione, coordinamento che in virtù di ciò richiederebbe un connotato istituzionale più che meramente tecnico, attraverso un organismo, costituito presso o vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con opportuni poteri e funzioni di pianificazione, vigilanza, regolazione e controllo ai fini dell'attuazione di una politica unitaria per l'intero sistema portuale statale, di coordinamento del sistema delle Autorità portuali e di rappresentanza nelle sedi internazionali;

che, sul piano della programmazione, il Contratto di programma dovrebbe includere: le previsioni di traffico; il piano degli investimenti; il piano economico e finanziario. In attuazione del contratto di programma il concessionario dovrebbe redigere un coerente Piano degli interventi;

lo strumento di pianificazione tecnico-urbanistica dello sviluppo delle infrastrutture portuali e dell'uso delle aree, il Prp, andrebbe definito su un arco temporale di massimo 10-15 anni, sulla base delle previsioni di crescita del traffico e dell'andamento dei mercati,

impegna il Governo:

promuovere il sistema portuale italiano quale hub logistico di primo piano in Europa, integrando intorno ai porti industria, università, innovazione e sostenibilità ambientale;

ad assumere le iniziative di competenze volte a riunire in una unica direzione (Ministero e dipartimento, con tutte le deleghe necessarie) le molteplici attività e competenze che impegnano le diverse direzioni dei vari settori, definendo una governance integrata capace di gestire in modo trasversale tutte le materie attinenti al settore marittimo e portuale in linea con quanto avviene in Europa, sempre più orientata verso una politica marittima integrata anche con l'intento di promuovere e sviluppare «l'economia del mare», in tutte le sue declinazioni e come motore propulsivo per il rilancio del Paese, unificando inoltre, in un solo organismo consultivo i momenti valutativi e approvativi condotti presso il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della cultura e le regioni competenti per territorio, che attualmente non sono vincolati a tempi contingentati e non trovano un momento unitario e formale di sintesi;

affrontare l'evidente carenza di coordinamento tra le previsioni di piano regolatore di porti appartenenti alla stessa area integrata dal punto di vista economico e amministrativo, garantendo la coerenza degli interventi e la relativa organicità funzionale con altri progetti infrastrutturali previsti nell'ambito dei sistemi portuali dello stesso versante geografico, ovvero con l'offerta infrastrutturale già esistente;

favorire il ricorso a forme di partenariato pubblico-privato, indispensabile per operare una conveniente selezione degli interventi, tenuto conto della realtà dei vincoli di bilancio, a condizione che le iniziative prevedano il coinvolgimento di capitali privati in misura tale da associare effettivamente il concessionario ai rischi di gestione dell'infrastruttura e che si adottino previsioni di traffico realistiche;

a rendere più efficienti e competitivi i porti italiani, prevedendo l'adozione delle seguenti iniziative:

a) svolgere, a tal fine, tutte le attività necessarie per l'adeguamento e la messa in sicurezza dei bacini portuali in particolar modo attraverso la realizzazione delle operazioni di dragaggio nelle infrastrutture portuali del territorio nazionale,coerentemente con quanto le vigenti disposizioni in materia di sostenibilità dei dragaggi;

b) procedere in tempi brevi all'adozione delle norme tecniche che disciplinano le opzioni di riutilizzo dei sedimenti di dragaggio e di ogni loro singola frazione granulometrica secondo le migliori tecnologie disponibili, come previsto dal comma 5-ter dell'articolo 184-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006;

c) varare con la massima sollecitudine il «Piano nazionale dei dragaggi sostenibili», previsto dall'articolo 6-bis del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, al fine di consentire lo sviluppo dell'accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici;

d) valutare l'opportunità, nel rispetto del quadro normativo vigente e degli strumenti attuativi sopra descritti, di individuare, per ogni arco regionale geografico coerente, un sito di discarica a mare dei sedimenti dragati, allo scopo di superare il sistema obsoleto delle casse di colmata, incrementando gli spazi a terra e riducendo i tempi di transito delle merci nei porti, in termini di documentazione, movimentazione e organizzazione di convogli in partenza e in arrivo;

e) promuovere un'ulteriore maggiore semplificazione amministrativa che tenda all'omogeneità con gli standard europei e alla riduzione del numero di passaggi e intermediari;

predisporre una circolare unica che fornisca linee guida di semplificazione delle procedure per l'adeguamento e il rinnovo dei certificati dei «lavoratori marittimi italiani», compresi gli operatori degli uffici periferici che si occupano dei corsi di addestramento e di aggiornamento e di rinnovo della certificazione richiesti dalla Convenzione internazionale STCW, al fine di eliminare in maniera definitiva i problemi burocratici che molto spesso non consentono ai lavoratori il regolare svolgimento della propria professione, nonostante l'esperienza maturata negli anni e eliminando in maniera definitiva l'insorgere di problemi di concorrenza sleale tra gli operatori di nazionalità diverse;

prevedere, nel prossimo disegno di legge di bilancio, un forte incentivo al trasporto via mare, con strumenti come il marebonus, sostenendo il trasporto marittimo a corto raggio nell'ambito del Mediterraneo e continuando ad investire nelle autostrade del mare;

ad attuare tutte le iniziative possibili volte a evitare la privatizzazione della proprietà dei porti, evitando in particolare la vendita a soggetti privati a scapito dell'interesse pubblico;

ad avviare celermente la cosiddetta «certificazione della costa», intesa come un insieme di percorsi di qualificazione della fascia costiera nazionale volti a meglio qualificarla in termini di fruibilità, accessibilità, sostenibilità e innovazione, in prospettiva di renderla autentico volano per l'economia del Paese;

migliorare le interconnessioni tra porti, reti stradali e ferroviarie, per garantire un adeguato sistema di logistica integrata ed innovativa, anche attraverso lo sviluppo della cosiddetta «smart logistic».
(7-00149) «Traversi, Cantone, Fede, Iaria».



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social