Anche al terzo scrutinio nulla di fatto: 412 bianche e 125 voti a Mattarella

Come era prevedibile anche il terzo voto per il Presidente della Repubblica non è stato risolutivo. Le indicazioni arrivate dal terzo scrutinio rimescolano ancora una volta le carte: le schede bianche sono la preponderante maggioranza (412) ma molte meno di quelle consegnate nelle urne lunedì e martedì, rispettivamente 672 e 527. La vera sorpresa della giornata sono le 125 preferenze al capo dello Stato uscente Sergio Mattarella, un balzo in avanti notevole rispetto a ieri (39) ma soprattutto un segnale, che arriva forte dalle parti dell'ala progressista del Parlamento, M5S e Pd. Anche a destra c'è un forte squillo di tromba, perché a dispetto della rosa di tre nomi, (Marcello PeraCarlo Nordio e Letizia Moratti) lanciati da Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, l'ex deputato di Fratelli d'Italia Guido Crosetto inaspettatamente ha raccolto ben da 114 voti, ben oltre i 63 grandi elettori di cui dispone FdI. Numeri più larghi anche per Paolo Maddalena, il candidato scelto dagli ex Cinquestelle, che aumenta i consensi a 62, mentre martedì si era fermato a quota 39. Pier Ferdinando Casini, su cui una parte di centristi, Iv compreso, aveva puntato, lo tallona con 51 voti, entrando nella lista dei cosiddetti papabili. Nel novero di giornata vanno comunque registrate anche le 19 preferenze a Giancarlo Giorgetti

Entrando nel dettaglio della terzo scrutinio, al voto hanno partecipato 978 grandi elettori, le schede nulle sono 22 e quelle disperse 84. Il resto dello spoglio consegna alcune conferme, come quelle di Marta Cartabia, che ottiene 8 preferenze, proprio come Luigi Manconi. A ruota seguono Pier Luigi Bersani e il senatùr fondatore della Lega Umberto Bossi, entrambi con 7 voti, Marco Cappato, Doria, Giuseppe Moles e Clemente Mastella con 6, il premier Mario Draghi con 5, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri 4, Elisabetta Belloni 3. Tra i votati pure il giornalista Bruno Vespa con 2 preferenze, ma anche l'ex campione del mondo con l'Italia nel 1982 Marco Tardelli, il cantautore Claudio Baglioni e l'ex candidato sindaco di Roma per il centrodestra Enrico Michetti. 

Oggi il quarto scrutinio per il nuovo Presidente della Repubblica

Dopo il nulla di fatto anche nel terzo scrutinio, oggi a partire dalle 11.00 riprenderanno le votazioni che porteranno, quando sarà, all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La peculiarità della procedura per l’elezione del nuovo Capo dello Stato non risiede tanto nelle modalità di voto quanto nel corpus elettorale: ai 315 senatori cui si aggiungono i 6 senatori a vita e ai 630 deputati vanno sommati 58 delegati regionali per un totale di 1.009 grandi elettori. Da oggi però la Costituzione prevede che, per essere eletto, il nuovo presidente della Repubblica debba raggiungere non più i dei due terzi dei voti dei componenti dell’Assemblea (673 voti), ma basterà la maggioranza assoluta dei votanti (505 voti), un fattore da tenere in grande considerazione per le implicazioni politiche che un’elezione di maggioranza potrebbe comportare per la tenuta del Governo. (vedi gli speciali di Nomos: Regole e numeri per l'elezione del Presidente della Repubblica).  

Per quanto riguarda i lavori parlamentari, questa settimana le Assemblee di Camera e Senato e le rispettive Commissioni non si riuniranno per le loro attività ordinarie per consentire lo svolgimento dell’elezione del nuovo Capo dello Stato.

Enrico Letta fa asse con Matteo Renzi, stoppa la Casellati e apre a Casini

Enrico Letta, grazie anche all’asse con Matteo Renzi, chiude la giornata soddisfatto per avere stoppato l'ipotesi di una “forzatura” del centrodestra sul nome di Elisabetta Casellati e indica venerdì come possibile giornata della “fumata bianca”, lasciando intendere che uno dei nomi per l'accordo largo potrebbe essere Pierferdinando Casini. Il segretario Pd parla ai suoi grandi elettori, rivendica la “nostra fermezza” grazie alla quale “non ci sarà un presidente di destra”. Il segretario democratico ribadisce che il capo dello Stato va eletto a partire dal “perimetro della maggioranza di governo”, poi, appunto, si sbilancia nella previsione: “Qualunque presidente voteremo venerdì l'obiettivo più grande lo avremo raggiunto: tramontata la candidatura di parte, si negozierà infatti un nome non di parte e autorevole”. E i nomi, stavolta, Letta li fa. Ribalta sul centrodestra l'accusa di mettere veti, spiega che il Pd dice no pubblicamente, mentre loro lo fanno “in privato”. E sono no pesanti, sottolinea, perché finora hanno stoppato tutte le possibili candidature super partes: “Per ora il centrodestra nella sua interezza ha detto di no a tutte le nostre ipotesi di personalità terze: Mattarella, Draghi, Amato, Casini, Cartabia, Riccardi”. La novità, appunto, è che Letta inserisca ufficialmente anche PierferdinandoCasini nella lista dei nomi che il Pd considera super-partes: l’ex presidente della Camera finora veniva indicato come candidato soprattutto di Matteo Renzi, ma ora è a tutti gli effetti nell'elenco del Pd. 

Di certo l'asse con il leader di Iv sta funzionando: lunedì è stato determinante per stoppare l'ipotesi di Franco Frattini, ieri è servito a bloccare sul nascere il possibile blitz di Salvini su Elisabetta Casellati. Tanto che Letta a un certo punto del suo intervento davanti ai grandi elettori inserisce di nuovo Iv nel campo largo che lui sta costruendo per sfidare il centrodestra alle prossime elezioni, quello da cui Renzi era stato dichiarato fuori dopo il voto sul Ddl Zan. “Rivendico che tutte le polemiche sul campo largo si sono dimostrate del tutto fuori luogo. In questo passaggio, fino ad ora, c'è stato un lavoro positivo ed efficace di tutta la coalizione del centrosinistra allargato. Un lavoro positivo con Italia viva, ad esempio, che ha consentito di stoppare l'operazione Casellati. E coi 5 stelle che ci ha consentito di essere uniti e arginare i tentativi del centrodestra di sfondare”. La partita ovviamente è ancora da giocare, “la trattativa è difficile”, dice. Di sicuro, “dobbiamo fare di tutto per evitare di perdere Draghi, di qualsiasi ruolo si tratti. Siamo stati abbastanza soli in questo tentativo”. Ora si aspettano segnali dal centrodestra, fondamentale sarà il nuovo incontro con Matteo Salvini in programma nelle prossime ore. Nel frattempo, ha spiegato, il Pd voterà ancora scheda bianca, salvo novità dell’ultima ora.

Salvini tenta la stretta salvando la maggioranza, in pole ora c’è Casini

Matteo Salvini fatica a sbloccare la partita del Quirinale. Anzi, la terza votazione non ha aiutato e pone il leader della Lega di fronte al bivio: tenere unita la maggioranza, e quindi il Governo, su un nome come quello di Pier Ferdinando Casini o puntare su un nome di centrodestra, opzione politicamente rischiosissima, perché se la spallata, su un nome come Elisabetta Casellati, fallisse, perderebbe la leadership del centrodestra. La terza via, quella di proporre Mario Draghi per il Quirinale, con una scelta su cui Fdi non sarebbe ostile, sembra per ora ancora remota. L’impressione di molti in Transatlantico è che anche la quarta votazione e forse anche la quinta vadano a vuoto spostando nuovamente il traguardo a cui tutto il Paese guarda. Il leader della Lega è alla ricerca di un nome che tenga insieme la coalizione e la maggioranza, un compito non facile per come si sono messe le cose. In campo, di sponda con il centrosinistra, sembrano esserci per ora solo Pierferdinando Casini, che però alimenta malumori nel M5S, o Giuliano Amato. Ma il secondo al momento non è un'opzione e su Casini il no di Meloni è netto, mentre i dubbi di Salvini, come del Cavaliere, sembrano tantissimi ma si diradano con il passare delle ore. 

Tra le truppe parlamentari, il dubbio più grande è che l'elezione dell'ex presidente della Camera al Quirinale possa portare alla caduta del Governo, con conseguenti elezioni anticipate perché Mario Draghi non accetterebbe di restare a Palazzo Chigi. Ma è solo la tenuta della maggioranza, ricorda chi è vicino al premier, la condizione cui Draghi ha legato la vita dell'esecutivo, mentre non hanno fondamento le indiscrezioni secondo le quali legherebbe la sua permanenza al governo al nome del capo dello Stato, restando solo in caso di bis di Mattarella o Amato. Casini, dunque: in questa direzione spingono non solo l'area centrista e Matteo Renzi, ma anche il Pd. Nella lunga giornata di trattative, ci sono colloqui continui tra i leader, Letta e Salvini si vedono e si sentono. Gira voce, non confermata, che il leader leghista si sarebbe sentito con Mario Draghi e che avrebbe incontrato il giurista Sabino Cassese. Spuntano anche due candidati che non dispiacerebbero al M5S e che potrebbero essere graditi al centrodestra, l'avvocato Paola Severino e il capo del Dis Elisabetta Belloni. La Lega è in fermento. Nel terzo scrutinio compaiono non solo tanti voti per Guido Crosetto, ma anche qualche scheda per Giancarlo Giorgetti e Umberto Bossi. Non solo Giorgetti, ma anche i governatori sarebbero favorevoli a convergere su Mario Draghi. Si racconta di una riunione di Luca Zaia con i grandi elettori veneti in contemporanea a un incontro di Salvini con i capigruppo e altri dirigenti leghisti. Salvini oggi vedrà Letta, Conte, Speranza, Renzi, gli alleati di Governo insomma: il tentativo sembrerebbe quello di voler tenere la maggioranza intatta ma il timore della spallata comunque aleggia fra le altre forze politiche.

Nel M5S si cerca una quadra. Di Maio spinge per Draghi

L'aria è sempre più tesa in casa Cinque Stelle. L'impressione è che ci sia uno scollamento tra i grandi elettori penta stellati: dei 125 voti a Sergio Mattarella nel terzo scrutinio molti arrivano dai Cinque Stelle, e qualcuno lo rivendica pure, come il senatore Primo Di Nicola. L'idea è quella di far capire che si può creare un fronte ampio attorno alla figura del capo dello Stato uscente, dunque il suggerimento è quello di virare da altre ipotesi, che sia Andrea Riccardi o Paola Severino, ma soprattutto Elisabetta Casellati. La Presidente del Senato, infatti, sarebbe una delle carte coperte su cui Matteo Salvini cercherà di tenere unita la maggioranza, un incubo per un pezzo consistente dei parlamentari pentastellati, ma anche del garante e co-fondatore Beppe Grillo, che, preoccupato di una possibile convergenza, alza il telefono e chiama Giuseppe Conte. In questa fase è difficile tenere a bada i rumors, così fonti M5S fanno sapere che “si è tenuta una lunga telefonata di aggiornamento” fra i due leader del Movimento, dalla quale emerge “piena sintonia fra il presidente e il fondatore del M5S sulla linea che il Movimento sta tenendo in questa trattativa per il Quirinale, mirata a garantire piena stabilità all’attuale esecutivo per continuare a rispondere alle urgenze del Paese e a trovare un candidato autorevole e super partes”.

Un indizio che sembrerebbe portare a un'unica soluzione: anche Beppe Grillo è convinto che Mario Draghi starebbe meglio a Palazzo Chigi che al Colle. Ma nel mondo Cinque Stelle nulla è mai come sembra, così al pomeriggio arriva il colpo di scena: il garante chiama in diretta Enrico Mentana e ribadisce la sintonia con Conte. Non entra a gamba tesa, ma è sempre attivo invece Luigi Di Maio: il Ministro degli Esteri lo ha detto chiaro e tondo, guardando negli occhi Conte, che Mario Draghi non può essere messo fuori dai giochi per il Colle. A Montecitorio vede, tra gli altri, anche Lorenzo Guerini, animatore nel Pd di base Riformista, e incrocia Luca Zaia, il governatore leghista del Veneto, che nel Carroccio ha un peso non da poco. A fine giornata il presidente del Comitato di garanzia del M5S lascia la Camera e ai cronisti che lo aspettano dice solo che “è stata una giornata molto intensa”, ma ora “è assolutamente importante trovare la convergenza sul nome del prossimo presidente della Repubblica”. 



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