Via libera al contratto di Governo: scompaiono i riferimenti all’uscita dall’Euro

Ieri, al temine di una giornata d’intenso lavoro, il gruppo di lavoro sul contratto di governo ha terminato il proprio compito. Dopo le numerose polemiche è stata eliminata la richiesta di procedure europee per l'uscita dall'euro “per evitare strumentalizzazioni” e quella di scorporo dal computo del rapporto debito-Pil dei titoli di Stato di tutti i Paesi europei ricomprati dalla Bce. E poi il taglio delle pensioni d'oro, ma solo quelle derivanti da retributivo, revisione della Fornero, rimpatri più facili, reddito di cittadinanza e flat tax ma anche nuovi temi come i vaccini o la Tav.

Il contratto di governo tra Lega e M5S è ultimato e le due forze politiche tirano, soddisfatte, un sospiro di sollievo dopo le forti tensioni dei giorni scorsi. Ora i due leader dovranno dare l'ok a tutto l'impianto sciogliendo le riserve su una manciata di argomenti delicati demandati al loro definitivo lasciapassare: dall'immigrazione alla sicurezza, fino alle grandi opere, al fiscal compact e, non ultimo, al nodo del conflitto di interessi. E a quello dei rapporti con l'Europa che ha già scatenato l'allarme.

Nel contratto ci sarà anche il Comitato di conciliazione in sede al Governo che ha suscitato l'indignazione dei commentatori ma che il M5S rivendica giudicando "grottesche" le critiche. Servirà a creare un ponte tra Parlamento, Governo e forze politiche contraenti e sarà composto dal premier, dal Ministro competente per materia, dai capigruppo di Camera e Senato, dal Capo politico del M5S e dal segretario della Lega.

Se otterrà il via libera di Salvini e Di Maio il contratto per il governo di cambiamento, in tutto quaranta pagine, potrebbe quindi essere trasmesso al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella come segno di cortesia istituzionale. Il passaggio successivo sarà quello di sottoporre il contratto di Governo ai rispettivi elettorati: il prossimo weekend in tutta Italia ci saranno, in piazze diverse, i banchetti della Lega e del Cinque Stelle per raccontare e testare i contenuti dell’accordo; poi, per i 5 Stelle ci sarà il voto sulla piattaforma Rousseau.

Ora rimane solo il nodo della premiership

Il contratto di governo tra il Movimento 5 Stelle e la Lega c'è, ora manca solo il nome del prossimo Presidente del Consiglio. La trattativa tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini entra nella fase finale, quella decisiva, da cui dipendono gli equilibri del prossimo esecutivo giallo-verde. Di nomi, in queste ore frenetiche, ne sono circolati molti, col rischio concreto che siano stati bruciati alcuni papabili.

Hanno girato vorticosamente le candidature prima di Luigi Di Maio, poi di Giancarlo Giorgetti, a seguire del deputato pentastellato esperto di giustizia Alfonso Bonafede, quello del professor Giulio Sapelli, successivamente di Vincenzo Conte, del questore anziano della Camera Riccardo Fraccaro, infine di Matteo Salvini e dell'ex direttore di Sky tg24 e oggi parlamentare pentastellato Emilio Carelli.

Nei corridoi da diverse fonti di area M5S è trapelata una voce (insistente) su un metodo condiviso dai due leader: in sostanza, questo accordo prevedrebbe che se a capo dell’esecutivo andasse Luigi Di Maio, allora la squadra di governo sarebbe di 20 ministri e le deleghe di peso, come Interno, Difesa, Lavoro, Economia, andrebbero alla Lega. Se, invece, a Palazzo Chigi sedesse un esponente del Carroccio (la figura più accreditata sarebbe quella di Giancarlo Giorgetti), i contrappesi sarebbero tutti in favore del Movimento, che portebbero a casa un numero maggiore di dicasteri.

Resta però in piedi anche l'ipotesi neutrale, un terzo uomo gradito a entrambi gli azionisti del nuovo esecutivo. In questo caso Di Maio e Salvini entrerebbero nella partita per dare un valore politico alto alla squadra. Su quale sarà la scelta finale inciderà anche il compromesso che capo politico e segretario federale adotteranno su alcuni temi rimasti ancora aperti del contratto di Governo.

Berlusconi sta con l'Ue, preoccupazione Ppe per governo

Silvio Berlusconiè tornato sulla scena europea sembrerebbe puntare ad allargare le distanze dal nascente governo M5S-Lega. Non arriva a rompere l'alleanza di centrodestra, lascia che Matteo Salvini prosegua il suo tentativo. Ma il leader di FI fa suoi i timori provenienti dall’Unione Europea. E nel giorno della tempesta sui mercati per la bozza di programma (poi superata) anti-Euro e anti-Bce, il leader di Fi utilizza la forza di fuoco del Partito Popolare Europeo.

Riabilitato e ricandidabile (ma assicura di non avere ora in programma il ritorno in Parlamento), sia pure rinviato a giudizio ieri nell'inchiesta Ruby ter, Berlusconi ha scelto il palcoscenico di un summit del Ppe a Sofia per riprendersi il ruolo dei leader dei moderati italiani.

La preoccupazione sull’Italia è un sentimento diffuso motivato dai forti sentimenti antieuropei, il possibile referendum sull’euro, la richiesta alla Bce di cancellare 250 miliardi di Btp. Per il momento, come hanno assicurato Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, il Ppe non ha chiesto a Forza Italia di rompere con la Lega, ma solamente di svolgere un ruolo di riequilibrio. La linea degli azzurri per il momento rimane quella di votare no alla fiducia e di rimettersi all’astensione benevola sui provvedimenti giudicati passabili.

Il Def passa all’esame delle aule di Camera e Senato

Nella giornata di oggi si riunirà solamente la Commissione Speciale per l'esame di Atti del Governo del Senato per proseguire i lavori relativi all’indagine conoscitiva sul decreto legge Alitalia e per confrontarsi sullo schema di decreto legislativo sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

Ieri pomeriggio le Commissioni Speciali di Camera e Senato hanno conferito il mandato ai relatori a riferire favorevolmente in assemblea sul Documento di economia e finanza (DEF). Ora il testo passa all'esame delle Aule di Palazzo Madama e Montecitorio, dove dovrebbe approdare la prossima settimana. Al Senato il sì a riferire in assemblea è stato più ampio che alla Camera: il Partito Democratico ha preso atto del carattere puramente tecnico della relazione di Alberto Bagnai della Lega, che ha rimandato all'Aula un esame più politico. Conseguentemente, i demo al Senato hanno votato a favore, mentre alla Camera, qualche ora prima, avevano votato contro il mandato alla relatrice penta stella Laura Castelli. Forza Italia ha votato contro in entrambi i rami del Parlamento.



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