Mario Draghi lancia il nuovo decreto sostegni bis da 40 miliardi

Mario Draghi presenta il decreto sostegni bis, un provvedimento da circa 40 miliardi per imprese, lavoro, professioni, sanità, giovani; sono misure, spiega, che “guardano al futuro, al Paese che riapre, senza lasciare indietro nessuno”. La prospettiva è un rimbalzo del Pil già in questo trimestre, con spinta al rialzo delle previsioni di crescita. La “crescita sostenuta”, avverte il premier, “arriverà solo con il Recovery plan a regime, perciò il Governo porterà la prossima settimana in Cdm i decreti su semplificazioni e governance, essenziali a far partire il piano”. Sulla strada, però, si vedono gli ostacoli e si moltiplicano le sortite dei partiti di maggioranza, distinguo, proposte solitarie. Draghi le accoglie con gelido garbo: boccia la tassa di successione per i super-ricchi proposta da Enrico Letta e stoppa le voci su una sua possibile successione a Sergio Mattarella, bollando come “impropria” l'ipotesi avanzata da Matteo Salvini. Niente fughe in avanti, è l'avviso: “Decide il Parlamento”. Draghi si presenta in conferenza stampa dopo due ore di discussione in Consiglio dei ministri sull’ennesimo provvedimento economico per tamponare i danni del Covid. Si discute norma su norma, senza screzi, ma con alcune correzioni al testo in entrata: alla fine si contano 17 miliardi per le imprese e le professioni, con nuovi criteri dei ristori e l'inclusione di altre 370mila partite Iva, e 9 miliardi di aiuti sul credito e la liquidità delle imprese. 

Ci sono norme per il settore del wedding e dello sport, per i lavoratori dello spettacolo, per la scuola, per i Comuni in difficoltà, per il Commissario all'emergenza; c’è un intervento per accelerare la produzione dei vaccini che toglie centralità a Invitalia e la dà a una fondazione dell'Enea; sotto i riflettori c’è poi un pacchetto da 4 miliardi per i lavoratori e le fasce in difficoltà: una delle novità è una norma per attutire gli effetti del blocco dei licenziamenti. Il Premier durante la conferenza stampa ha ribadito che in Cdm arriveranno i decreti sulla governance e sulle semplificazioni, pronti a essere “inviati anche in Europa”, come tasselli del Piano di rilancio e resilienza. Sulle semplificazioni si registrano da giorni tensioni nel Governo e preoccupazioni dei sindacati “sulle liberalizzazioni di appalti e subappalti”; Dario Franceschini assicura che si sta “trovando un equilibrio” tra l'accelerazione dei cantieri e la tutela del territorio, ma la quadra si annuncia difficile, così come sul fisco: la riforma fiscale non può essere fatta “a pezzettini” ma si farà nel segno della “progressività” e della “crescita”, con un pacchetto d’interventi “coerenti”. È il metodo che Draghi indica ai partiti: ricomporre le diverse visioni trovando soluzioni “in Parlamento”. Gli ostacoli restano ma “abbastanza spesso ce l'ho fatta io e ora a farcela sarà il Governo”, assicura il premier. 

Letta propone una dote a giovani tassando super ricchi. Ma Draghi dice No

Enrico Letta vira a sinistra e chiede di aumentare le tasse ai ricchi, cioè sulle eredità milionarie, per aiutare i giovani, proponendo una dote da 10 mila euro per i diciottenni. Il segretario Pd ha messo sul tavolo un tema scivoloso, ben conoscendo le diffidenze che si portano dietro le formule al sapore di patrimoniale. E infatti la sua proposta torna al mittente con un secco no, eppure il presidente del consiglio Mario Draghi ha diplomaticamente frenato: “Non ne abbiamo mai parlato, ma non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli”. Al premier ha risposto via Twitter il vicesegretario Pd Giuseppe Provenzano: “Presidente Draghi, la tassa di successione c’è nei Paesi più avanzati, la propongono il Fmi e l'Ocse, ne sta parlando Biden. Anche in Italia abbiamo bisogno di più giustizia e più coraggio”. Dal Nazareno è stato ribadito il “pieno sostegno al Governo”, ma sottolineando che il partito “continuerà a portare avanti le sue battaglie”. Enrico Letta ha fatto atterrare la sua proposta durante la terza giornata a Bruxelles, dove ha spinto a sinistra anche in politica estera, chiedendo all'Europa “di far sentire la sua voce” in Medio oriente, “per fermare la over reaction israeliana e arrivare a una soluzione”. 

Ma nel giorno del sostegni bis, sono state le ricette per far ripartire l'Italia a tener banco: quella del Pd prevede aliquote progressive fino al 20% su eredità e donazioni oltre i 5 milioni di euro, per finanziare una dote da 10 mila euro destinata alla metà dei diciottenni italiani, quelli di famiglie con redditi sotto una certa soglia. Per Letta “I giovani sono i più colpiti dagli effetti economici della pandemia. I giovani, delusi e in difficoltà, devono avere risposte”. Prima del no di Draghi la proposta ha scatenato le reazioni politiche di tutti i partiti: il centrodestra, per una volta compatto, ha ribadito con intensità diverse il suo no categorico all’ipotesi ed anche Italia Viva si è sfilata immediatamente. 

Volpi lascia la presidenza del Copasir. Tensione tra Fdi e Lega non diminuisce

Dopo settimane di tensione, arriva la volta al Copasir: il presidente Raffaele Volpi si dimette dalla guida del Comitato parlamentare per la sicurezza e con lui anche il senatore leghista Paolo Arrigoni. L'annuncio arriva poche ore dopo la convocazione del vertice di centrodestra sulle amministrative. Il leader della Lega Matteo Salvini sente Giorgia Meloni e fissano per lunedì l'incontro, che mancava da gennaio, per decidere o almeno iniziare il percorso unitario per i prossimi candidati dei grandi Comuni. Pace fatta? Nulla di tutto questo, solo a fine giornata si capisce che il vero bersaglio di questo cambio di strategia è solo Adolfo Urso, candidato di Fdi, esponente dell'opposizione, unico a poter rivendicare la poltrona di presidente del Copasir. Il segretario è tagliente: “In questo momento gli amici dell'Iran non sono amici miei”; il riferimento è ai presunti legami del senatore con la repubblica islamica. Salvini lancia, insomma, un altro guanto di sfida alla Meloni e con le dimissioni dei suoi nella bicamerale altro non chiede che “tutti facciano la stessa cosa”, compreso Urso. 

Azzerare il Copasir, riportare l'equilibrio così come sancito dalla legge 124 ed eleggere il nuovo presidente. Salvini chiama a raccolta tutti, in realtà sembra rivolgersi a uno solo: nessuno risponde presente, anzi, l'unico che aveva per primo rimesso il suo mandato, Elio Vito (Fi), le ritira e torna in campo. In serata sono solo due i dimissionari, i due leghisti. Da Pd, M5S e Iv infatti nessuna notizia di dimissioni, mentre l'altro componente di Fi Claudio Fazzone esterna la sua contrarietà a qualsiasi passo indietro volontario, richiamando alle proprie responsabilità i presidenti di Camera e Senato, Elisabetta Casellati e Roberto Fico. In questa cornice l'unico strumento nelle mani dei Presidenti è quello di chiedere al gruppo della Lega i nomi per le sostituzioni e convocare la riunione per l'elezione del presidente. Intanto l'attrito tra Lega e Fdi potrebbe portare la bicamerale a galleggiare nello stallo finché l'accordo politico non sia raggiunto. 

C’è aria di tregua tra M5S e Rousseau. Ma la rifondazione ancora non si vede

Si profila un possibile cessate il fuoco tra il M5S e Rousseau, una tregua che consenta alle parti di tornare a sedersi ad un tavolo per trattare le condizioni per la cessione della lista degli iscritti al Movimento in cambio degli arretrati che la piattaforma reclama per i servizi svolti. Tutto questo al netto del nuovo capitolo nella contesa in corso a Cagliari, dove il Tribunale ha revocato la nomina del curatore Demurtas per nominare un nuovo avvocato delegato a rappresentare il M5S nel giudizio sulla consigliera Cuccu espulsa. Le parti per un giorno tacciono: il M5S di Giuseppe Conte ha pronto il ricorso per ottenere i dati con un provvedimento d'urgenza e attende speranzoso il pronunciamento del Garante per la Privacy. Per il ricorso d'urgenza però potrebbe dover attendere ancora un paio di settimane: troppe per un Movimento che attende con sempre maggiore nervosismo la ripartenza annunciata dal dell’ex premier. I gruppi parlamentari stanno implodendo: dopo le liti per il ponte sullo stretto, ora il nuovo punto di attrito è la ripartizione tra le Regioni dei fondi europei per lo sviluppo rurale. 

I parlamentari 5S del Sud hanno duramente attaccato il loro ministro Patuanelli per il nuovo piano che penalizzerebbe il meridione: dopo uno scontro in assemblea, 27 senatori eletti al Sud, tra cui anche il vicario del capogruppo Andrea Cioffi, sono arrivati a depositare un'interrogazione parlamentare per esigere spiegazioni. Il Ministro cerca di stemperare, ma rimane il fatto che all’interno del movimento la tensione è crescente. Intanto però Conte ottiene dalla sindaca Raggi il varo di una nuova piattaforma “di proprietà del M5S e gestita dal M5S” su cui avviare la campagna elettorale e la discussione del programma per le prossime amministrative. Sul sito, nato per sostituirsi a quello che era stato creato da Rousseau per lo stesso scopo; “non si potrà però votare” spiega il coordinatore del Lazio Francesco Silvestri che preannuncia: “Alla piattaforma nazionale, che è una cosa diversa, stanno lavorando i vertici del Movimento”. Per quella, come per la rifondazione del M5S, bisognerà aspettare ancora.

L’alleanza Pd-M5S stenta a decollare: nodo Napoli dopo il no di Manfredi

L'asse tra Pd e Movimento 5 stelle, andato in porto a Napoli con il patto di Posillipo, non riesce ancora a tradursi in una candidatura. Il pressing sull'ex ministro Gaetano Manfredi, che nei giorni scorsi aveva declinato la corsa a causa delle condizioni finanziarie del Comune, cresce di ora in ora. La moral suasion vedrebbe in campo big di entrambe le forze politiche e un impegno congiunto per superare la crisi finanziaria della città. Parallelamente, però, si comincia a ragionare anche su un piano B per il capoluogo partenopeo: il sottosegretario Enzo Amendola in quota dem o l'ex ministro all'ambiente Sergio Costa per il Movimento. Nel totonomi, sebbene sfumata, resta l'ipotesi del presidente della Camera Roberto Fico. Comunque vada, i giallorossi intendono correre insieme sin dal primo turno, almeno qui. A Roma come a Milano, infatti, l'alleanza siglata sulla scia del Conte bis si è scontrata sin da subito con le resistenze territoriali, che alla fine hanno avuto la meglio. Situazione identica a Torino dove l'ultimo appello all’unità è arrivato dal pentastellato Carlo Sibilia: “Penso sia ancora necessario tentare un accordo alle amministrative di Torino, in continuità politica. Il Pd non si tiri indietro. Sono già stati fatti preziosi passi avanti a Napoli e a Bologna, e sarebbe un peccato sprecare un'occasione”. 

Nella Capitale, naufragata ogni possibilità di intesa al primo turno, il Movimento fa quadrato attorno alla sindaca uscente Virginia Raggi. Qui, in attesa del candidato del centrodestra, il campo avversario si è formato ma appare più che frammentato. Il 20 giugno ci saranno le primarie del centrosinistra cui prenderà parte per il Pd Roberto Gualtieri: se l'ex ministro resta il favorito nella corsa interna, in quella reale dovrà poi contendere il bacino elettorale anche con Carlo Calenda (supportato da Iv). Insomma l’alleanza tra Pd e M5S per il momento mantiene geometrie variabili e solo nelle prossime settimane, magari anche grazie al tanto atteso rilancio del Movimento da parte di Giuseppe Conte, si potranno sciogliere i molti nodi ancora presenti e ad oggi indistricabili. 



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