C’è il ministero della Transizione ecologica. Conte e Di Maio per il sì su Rousseau

“Ci sarà un Ministero della Transizione ecologica”: a dare la notizia che sblocca la situazione in casa M5S è la numero uno del Wwf Donatella Bianchi al termine dell'incontro con il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. Il super-dicastero green invocato da Beppe Grillo si farà; adesso non resta che attendere il pronunciamento degli iscritti al Movimento su Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio, prima convocato e poi temporaneamente sospeso, che sarà svolto oggi dalle 10.00 alle 18.00. Il quesito rivolto agli attivisti e pubblicato sul Blog delle Stelle al termine delle consultazioni dell'ex presidente della Bce è secco, senza possibilità di astensione: “Sei d'accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Luigi Di Maio risponde in anticipo con un “convinto sì”: il titolare della Farnesina, rivolgendosi su Facebook agli iscritti, è chiaro: “Il nostro destino non è il disimpegno. Non esiste una maggioranza senza di noi. Capisco che ci sono tanti dubbi, ma io mi fido di Grillo che ha sempre visto più lungo di tutti quanti noi”. Il Ministro attacca anche chi dice “andiamo all'opposizione”: “Ma di che, di noi stessi? Noi dobbiamo partecipare e lo dobbiamo fare per difendere quello che abbiamo ottenuto e per spendere bene i 240 miliardi che abbiamo ottenuto in Europa. Vogliamo lasciarli in balia di chi dice che bisogna sopprimere le leggi che abbiamo approvato in questi anni di governo? Io non credo che sia possibile”.  

Prima di Di Maio a uscire allo sciopero era stato Giuseppe Conte; l’ormai ex premier si è espresso a favore di Draghi “perché il Paese è in tali condizioni e tali urgenze che comunque è bene che ci sia un governo”. L'ok alla richiesta di Grillo del super-ministero che “fonde le competenze per lo sviluppo economico, l'energia e l'ambiente” rappresenta ora l'elemento su cui cercare di compattare le truppe dentro e fuori il Parlamento. Nel messaggio che Vito Crimi allega al quesito, “premesse” e “impegni” stabiliti nel giro delle consultazioni con il premier incaricato per il Movimento sono “imprescindibili”. Il capo politico scrive che c'è stata una comune volontà di proseguire il lavoro fatto dal Governo Conte sui progetti del Recovery Plan; c'è stato un riconoscimento, da parte di Mario Draghi, del ruolo svolto dal Movimento che ha riportato centrali i temi dell'onestà e trasparenza nella gestione della cosa pubblica; è stata favorevolmente accolto la prospettiva di arrivare a un bilancio comune europeo ed è stato “ribadito che il M5S non sarà disponibile in alcun modo a sostenere l'attivazione del Mes”. Sul tema della giustizia, aggiunge Crimi, è stato sottolineato come “la riforma della prescrizione abbia come soddisfacente punto d'incontro politico l'accordo precedentemente raggiunto con Pd e Leu, oltre il quale il Movimento non è disposto ad andare”. Nel post viene sottolineato infine che Draghi “ha sostenuto l'importanza del Reddito di cittadinanza, dichiarando la volontà di rafforzare ulteriormente questo strumento” e che si è trovata una comune visione sul ruolo dell'intervento pubblico in economia. Insomma, il quadro è chiaro, per chiudere il cerchio manca solo il via libera di Rousseau

13 parlamentari M5S salgono sulle barricate: quesito manipolatorio 

Tredici parlamentari del M5S hanno bollato come “manipolatorio” il quesito su cui sono chiamati a esprimersi gli iscritti al M5S, tanto da rendere la votazione “tendenziosa e palesemente volta a inibire il voto contrario alla partecipazione del M5S al Governo Draghi”. In una nota i 13 ribadiscono: “La motivazione addotta per il rinvio del voto su Rousseau era l'asserita esigenza di attendere lo scioglimento della riserva sulla composizione della coalizione che sosterrà il Governo Draghi nonché l'imprescindibile necessità di valutare il programma di tale governo. Oggi quel voto è stato indetto senza che nulla di certo si sappia né sull'accozzaglia di partiti che voteranno la fiducia, né su ciò che tale eterogenea maggioranza intende realizzare. Chi saranno i ministri? Salvini, Boschi e qualche impresentabile di Forza Italia? Quali sono le fasce sociali che verranno sostenute maggiormente? I più deboli, i lavoratori o le banche e i detentori di rendite finanziarie? Nessun obiettivo sostanziale del governo Draghi è stato messo per iscritto ne è stato anche semplicemente enunciato verbalmente. 

Quindi l'affondo sul quesito: “è stato formulato in maniera suggestiva e manipolatoria, lasciando intendere che solo con la partecipazione del M5S al governo si potranno difendere i provvedimenti adottati dal precedente governo e dalla precedente maggioranza. Inoltre il quesito pone particolare rilevanza spacciando come risolutiva la creazione di un Ministero della transizione ecologica, che in realtà altro non è che la mera ridenominazione del già esistente Dipartimento per la transizione ecologica. Tutto ciò getta dubbi sull'utilizzo imparziale dello strumento di democrazia diretta da parte dei vertici del Movimento. Per tali motivi, riteniamo che la votazione indetta con le predette modalità sia tendenziosa e palesemente volta a inibire il voto contrario alla partecipazione del M5S al Governo Draghi”, hanno concluso i parlamentari Crucioli, Cabras, Granato, Colletti, Lannutti, Angrisani, Abate, Maniero, Volpi, Giuliodori, Costanzo, Corrado e Vallascas.  

Dal Pd pieno sostegno a Draghi: su ministri e Lega decide il Premier

Il Pd mette da parte i timori e assicura pieno sostegno a Mario Draghi. La linea è stata illustrata dal segretario Nicola Zingaretti e ribadita ieri al Comitato politico prima di ottiene un consenso unanime dai vertici del partito e anche dai segretari regionali, nonostante i malumori per la presenza della Lega tra i sostenitori del governo e le ansie dei Ministri uscenti e di chi spera di entrare nel nuovo esecutivo. Draghi, spiega chiaramente uno dei partecipanti al Ccomitato politico “ha detto chiaramente che sui ministri decide lui, non ha dato indicazioni sui nomi”. Certo, raccontano, la partita dei ministri crea qualche agitazione tra gli uscenti e anche tra le possibili new entry, e molti avrebbero voluto una vera e propria trattativa con il premier incaricato su questo, come avviene normalmente. Ma Zingaretti ha ricordato a tutti le parole del capo dello Stato, ha ribadito che questo è appunto un “governo del presidente” e che il Pd appunto si affida al premier per la definizione della squadra. 

Come ha detto anche Andrea Orlando in serata: “Zingaretti ministro? Perché no, noi abbiamo detto a Draghi di valutare lui quali sono le persone più adatte. Non daremo nomi secchi ma la disponibilità del Pd a dare una mano, ci saranno altre consultazioni informali, al telefono”. La stessa “cessione di sovranità” vale per il “problema Lega”; dice Orlando: “Noi siamo pronti ad accogliere l'appello del Capo dello Stato. Sta al presidente incaricato valutare la compatibilità delle posizioni politiche tra le forze che hanno recepito questo appello”. Il Pd è convinto che Matteo Salvini possa rappresentare un fattore d’instabilità per il governo, “ora fa l'europeista ma chi ci assicura che manterrà questa posizione? Però per noi sta a Draghi valutare questi rischi”. Di sicuro, Zingaretti ha anche ribadito la necessità di consolidare l'alleanza con M5S in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Anche perché, è stato il ragionamento, la destra sarà pure divisa rispetto a Draghi, ma poi alle amministrative saranno uniti. 

Berlusconi e Salvini stringono il patto di Villa Grande per l’appoggio a Draghi

Un colloquio di circa mezz'ora per rinsaldare e registrare l'asse di governo Fi-Lega e definire una strategia comune di fronte all'ipotesi concreta di un ingresso nel governo Draghi di unità nazionale. Silvio Berlusconi incontra Matteo Salvini nella ex Villa Zeffirelli sull'Appia antica, suo nuovo quartier generale a Roma dopo l'addio alla storica sede di Fi a palazzo Grazioli. I due leader si ritrovano di persona dopo circa un anno ma quel che conta è che il faccia a faccia arriva proprio nei giorni della svolta moderata-europeista del numero uno di via Bellerio e quando l'Europarlamento approva il Recovey fund con il voto della Lega. Qualcuno lo ha già ribattezzato il patto di Villa Grande, prendendo spunto dal nome che il Cav ha voluto dare alla dimora acquistata nel 2001 e prestata al regista fiorentino, amico di vecchia data nonché ex senatore azzurro, scomparso nel giugno 2019. L'accordo, raccontano alcune fonti, è quello di raccordarsi d'ora in avanti per marciare uniti facendo valere le proprie richieste sui propri cavalli di battaglia, come fisco e giustizia, ma dando sempre l'immagine di un centrodestra compatto, tenendo sempre dentro Fdi, che è rimasta l'unica forza politica all'opposizione. 

Ora i leader di Lega e Fi attendono le prossime mosse di Mario Draghi e gli occhi restano puntati sulla squadra di palazzo Chigi, non solo sul programma. Vogliono capire, insomma, se ci saranno dei ministri politici. “Non mettiamo veti nei confronti di nessuno: responsabilità, velocità ed efficienza. Noi ci siamo”, dice in un video il numero uno del Carroccio. “Con Salvini ci siamo confrontati sulla situazione politica e sui contenuti delle proposte che sono state presentate al premier incaricato”, scrive sui social Silvio Berlusconi. Il bilaterale alimenta però le polemiche su un centrodestra diviso e Giorgia Meloni non rinuncia alla stoccata: “Salvini ha parlato a nome del centrodestra? Lo considero un lapsus, il suo, perché sa ovviamente che il centrodestra non si racchiude in coloro che hanno scelto di tornare al governo col Pd e con M5S”. La leader di Fdi conferma: “Il centrodestra unito parlerà con una sola voce al prossimo vertice quando dovremo decidere i candidati alle amministrative”. Prima di vedere Salvini, il Cav ha pranzato con i vertici di Fi: erano presenti, oltre al vicepresidente Antonio Tajani e ai capigruppo Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini, Gianni Letta, Sestino Giacomoni, Alberto Barachini, il responsabile del Sud Paolo Russo, Licia Ronzulli, Maurizio Gasparri, Giorgio Mulè, Stefania Prestigiacomo e Maria Rizzotti. 

Il Parlamento Europeo approva il Recovery fund

Il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza il Recovery fund, il maxi piano da 672,5 di miliardi di euro per un'Europa più resiliente. E lo ha fatto grazie anche ai voti della Lega che si è staccata dal resto del gruppo dei sovranisti di Identità e democrazia (Id) per certificare la propria conversione all'europeismo e consolidare i rapporti con Mario Draghi. I voti a favore sono stati 582, i contrari 40 e gli astenuti 69; tra cui gli eurodeputati di Fratelli d'Italia che non hanno votato come il resto del gruppo Ecr; i tedeschi dell'Afd hanno scelto una convinta bocciatura mentre i francesi del Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen, hanno preferito una cauta astensione. Chiusa quella del voto, si apre una partita ancora più importante. “Ora la parola passa agli Stati membri per far partire il Next Generation Eu. Ci attendiamo che i parlamenti nazionali accelerino la ratifica dell'aumento delle risorse proprie dell'Unione, essenziale per emettere bond e finanziare la ripresa. Non c’è tempo da perdere e ogni ritardo sarebbe un danno enorme a cittadini e imprese”, ha messo in chiaro il presidente dell'Europarlamento David Sassoli, parole sottoscritte anche dalla presidente della Bce Christine Lagarde e ovviamente dalla Commissione che punta alla pubblicazione del testo del Recovery nella Gazzetta ufficiale già il 18 febbraio. Da quel giorno, fino al 30 aprile, gli Stati membri potranno ufficialmente consegnare i loro piani. Il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha definito l'approvazione in Parlamento “un passo storico” che avvicina il traguardo di “un'opportunità unica per l'Europa”.  

Alla Camera e al Senato

A causa dell’apertura della crisi di Governo, nella giornata di oggi l’Assemblea della Camera e del Senato e le rispettive Commissioni permanenti non si riuniranno.

 



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