Berlusconi, Salvini e Meloni hanno firmato il programma del centro destra

Per il centro destra, Silvio Berlusconi ha le idee chiare: nel caso ci fosse una sentenza favorevole da parte della corte di Strasburgo non potrebbe tirarsi indietro dal tornare a essere Presidente del Consiglio. In caso contrario ha annunciato che “ci sarà un autorevolissimo premier che saprà dirimere i contrasti che sorgeranno”.

Il nome al momento è segretissimo ma quello che è certo è che non si tratta di Matteo Salvini. Il leader del Carroccio, secondo i piani dell'ex Cav, potrebbe andare bene come Ministro degli Interni, un’eventualità che non piace a capo della lega, che ha immediatamente ribadito che se il 4 marzo il suo partito sarà quello più votato allora a fare il Premier sarà lui. La questione della leadership del centro destra e il dualismo Salvini/Berlusconi saranno due temi che ci accompagneranno per tutta la durata della campagna elettorale e forse anche dopo.

Ma tensioni a parte ieri sera c’è stato un vertice a tre tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni nel corso del quale, dopo non pochi aggiustamenti, è stato firmato il programma del centro destra. Fra gli impegni comuni ci sono la flat tax, la revisione profonda della legge Fornero, l’abbassamento delle tasse, la riduzione della burocrazia, più sicurezza, la riforma della giustizia, il rilancio del Made in Italy, il sostegno alla natalità, l’adeguamento delle pensioni minime a mille euro e la revisione del sistema istituzionale in senso federale e presidenzialista.

Sul tavolo dell'incontro, oltre al programma elettorale di governo anche la candidatura alla Regione Lazio: al momento sembra che i tre leader abbiano trovato un’intesa su Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia. La decisione sarebbe già stata presa anche se sembra chiaro a tutti i tre leader che le possibilità di vittoria sono estremamente basse vista la forza degli altri due candidati, Nicola Zingaretti per il centro sinistra e Paola Lombardi del M5S.

Ma oggi il vero problema del centro destra sono le richieste della cosiddetta quarta gamba: il partito Noi con l’Italia, guidato da Raffaele Fitto e Lorenzo Cesa, ha chiesto 20 collegi per i propri esponenti, 7 in più di quelli che nei scorsi giorni sono stati offerti. Il rischio, in mancanza di un accordo, è che la quarta gamba non entri in coalizione nel centro destra vanificando così la possibilità di riuscire, alle prossime elezioni, a superare la soglia del 40% che permetterebbe una via certa al Governo del Paese. Al momento non è rottura ma il tempo stringe visto che entro questo fine settimana dovranno essere presentati i simboli e gli apparentamenti.

Nel M5S continuano le polemiche sulle parlamentarie

A distanza di cinque anni, il Movimento 5 Stelle si ripresenta alle elezioni nazionali per concorrere a Palazzo Chigi con percentuali che al momento fanno dei pentastellati la prima forza politica d'Italia. Oggi alle 8 al Viminale saranno depositati simbolo e programma e, questa volta, non sarà Beppe Grillo da solo in quanto garante a salire le scale del ministero dell'Interno: insieme a lui ci saranno anche il capo politico e candidato premier Luigi Di Maio e il presidente dell'associazione Rousseau Davide Casaleggio, a testimoniare la natura tricefala del Movimento.

Intanto ieri sera i vertici del M5S si sono riuniti. Presenti Grillo, Di Maio e Casaleggio, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro responsabili enti locali, e, soprattutto lo staff della comunicazione e dell'entourage Di Maio. All’indomani delle parlamentarie, il tema dell’incontro è stata la messa a punto delle candidature nel plurinominale che si dovrebbero conoscere domenica alla kermesse di Pescara.

Ma a tenere banco, soprattutto alla base del partito, sono le proteste per l’esclusione di molti candidati dalle parlamentarie e soprattutto sulle difficoltà del voto, tutti elementi che alimentano le voci secondo le quali il voto on line dei militanti pentastellati sia stato manovrato o quantomeno pesantemente influenzato dei vertiti del movimento.

Il ritorno di D’Alema agita la sinistra

Massimo D'Alema ha lanciato l'ipotesi di governo del Presidente dopo il voto. L'ex presidente del Consiglio in un'intervista al Corriere ha spiegato che a suo avviso la “legge elettorale non solo non darà una maggioranza ma è addirittura congegnata perché non garantisca la governabilità”. Dunque dopo il voto si andrà a un governo del Presidente e cioè “una convergenza di tanti partiti diversi attorno a obiettivi molto limitati”.

Di questo governo secondo D'Alema faranno parte tutte le forze responsabili, Liberi e Uguali inclusa. L’ipotesi provoca non poco scompiglio all’interno del partito guidato da Piero Grasso: Pippo Civati e Stefano Fassina hanno già dichiarato la loro netta contrarietà all’ipotesi mentre gli altri esponenti di LeU sembrano prendere tempo. Le parole di D'Alema sono state accolte con grande freddezza dal Partito Democratico di Matteo Renzi e rigettate al mittente dagli esponenti di Forza Italia.



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