Domenica 4 marzo dalle 7.00 alle 23.00 si terranno le Elezioni Politiche per il rinnovo del Parlamento e, in contemporanea, le Elezioni Regionali nel Lazio e in Lombardia. Per le consultazioni politiche, si recheranno al voto, nelle 61mila sezioni elettorali, 46,6 milioni di elettori per la Camera e 42,9 per il Senato mentre i cittadini italiani residenti all’estero (iscritti all’AIRE e negli schedari consolari) sono 4,1 milioni per la Camera e 3,8 per il Senato.

Come si vota: ogni elettore vota su un’unica scheda che prevede il candidato nel collegio uninominale e il simbolo della lista o coalizione, con a fianco i candidati (da 2 a 4) della parte proporzionale. Le liste plurinominali sono “bloccate” e non è dunque possibile esprimere uno o più voti di preferenza. Sono tre le modalità di voto ammesse: si può votare solo per un partito, solo per il candidato uninominale oppure sia il candidato uninominale sia uno dei partiti che lo sostengono. E’ vietato, invece, il voto disgiunto.

L’offerta politica

Andando ad analizzare gli schieramenti più importanti, sono due le principali coalizioni: quella di centro sinistra composta da cinque formazioni politiche: Partito Democratico, + Europa, Insieme, Civica Popolare e Svp-Patt e quella di centro destra composta da quattro partiti: Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia-Udc. Tra gli altri partiti, che non si sono apparentati, ci sono il Movimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio e Liberi e Uguali il cui candidato premier è l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso.

Chiudono il cerchio quelle liste che, pur avendo un certo risalto mediatico, dovranno lottare fino all’ultimo per superare la soglia di sbarramento del 3%: tra queste ci sono la lista di verdiniani Pri-Ala, la destra radicale di Casapound, la sinistra anticapitalista di Potere al popolo, il Popolo della Famiglia guidato da Mario Adinolfi, la lista Italia agli Italiani formata dall’alleanza tra Forza Nuova e Fiamma Tricolore e quella degli startupper di 10 volte meglio.

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Gli obiettivi dei partiti e delle coalizioni

Nonostante le dichiarazioni dei vari leader nelle ultime settimane, i vari partiti hanno obiettivi non sempre in linea con gli intenti esternati nella campagna elettorale. A riprova di ciò, è possibile vedere come quasi tutti i partiti stiano operando seguendo una doppia direttrice: da una parte, enfatizzano la richiesta agli elettori di un voto utile a proprio favore per scongiurare una ridefinizione delle alleanze politiche post voto contrarie al volere popolare, dall’altra si tengono le mani libere per stringere accordi con liste e partiti avversari.

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La coalizione di centrodestra è data in vantaggio da tutti i principali sondaggi e quindi l’obiettivo dichiarato a più riprese dai leader dello schieramento è conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Per garantirsi tutto ciò, l’obiettivo minimo è superare la soglia del 40% dei voti a livello nazionale (riducendo al minimo la dispersione dei voti all’interno della coalizione, cioè avere tutti partiti minori sopra l’1%) e vincere, contemporaneamente, il 70% dei collegi uninominali.

Al netto dell’arruolamento di parlamentari fuoriusciti da altri partiti, questa è la soluzione più percorribile per dare il via ad un nuovo governo di centrodestra. I punti di forza dell’alleanza di centrodestra sono la forte presa sui temi di attualità (immigrazione, sicurezza, tasse), la capacità di mobilitare elettori differenti (moderati, populisti) e la capacità di rendere la comunicazione politica semplice ma efficace focalizzandosi su pochi temi (abolizione Fornero, Flat Tax, ecc). I limiti più importanti invece fanno riferimento alla competizione all’interno della coalizione che porta ad una scarsa coesione interna, al forte dualismo per la leadership della coalizione tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi e le differenze marcate su alcuni temi come il rapporto con l’Unione Europea, Euro e pensioni.

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I sondaggi mostrano come il centrosinistra sia impossibilitato a governare da solo nella prossima legislatura. In particolare, il Pd guidato da Matteo Renzi ha due obiettivi collegati tra loro: non andare troppo al di sotto della cosiddetta “quota Bersani”, cioè quel 25,4% che Bersani ottenne alle elezioni del 2013, e aggiudicarsi il primo posto per numero di eletti, in modo da giocare un ruolo centrale nella formazione del nuovo governo. Risulterà fondamentale, a tal fine, ridurre al minimo la dispersione dei voti all’interno della coalizione (tutti partiti minori sopra l’1%).

La campagna elettorale del centrosinistra si è giocata principalmente sull’esaltazione dell’esperienza di governo maturata e dei risultati ottenuti dagli ultimi governi. Strategicamente, Renzi ha deciso di creare una coalizione con liste con una visione politica molto simile in modo da aumentare la coesione interna (sull’europeismo, per esempio) e presentare programmi elettorali credibili. Si spiega così (e con il deterioramento dei rapporti umani) la decisione di non allearsi con Liberi e Uguali, cosa che però ha aperto la competizione a sinistra della coalizione. Altri limiti sono il rischio che alcuni partiti non raggiungano l’1% dei voti indebolendo il risultato della coalizione e la natura dell’alleanza, troppo sbilanciata, in termini di rapporti di forza, a favore del Partito Democratico.

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Il Movimento 5 Stelle si trova in una situazione abbastanza paradossale: da una parte i sondaggi incoronano i pentastellati primo partito italiano, dall’altra l’indisponibilità a stipulare accordi preelettorali con altri partiti riduce la possibilità di ricevere l’incarico per la formazione del Governo dal presidente Mattarella. Per dirsi quantomeno soddisfatto, l’obiettivo di Di Maio è quello di raggiungere almeno il 27% dei voti su base nazionale per avere la certezza di essere il partito con più seggi in Parlamento.

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L’obiettivo del partito che annovera al proprio interno i presidenti delle due Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini, è quello di rosicchiare quanti più voti possibili alla coalizione di centrosinistra soprattutto in funzione antirenziana. Liberi e Uguali, che si pone come l’interlocutore più forte per coloro i quali non vogliono votare per il Pd, si è detto disponibile ad un’alleanza post-voto con il M5S.

Gli scenari post elettorali

elezioni 2018 7Gli scenari post elettorali italiani sono influenzati in modo massiccio dalle caratteristiche della nuova legge elettorale, il Rosatellum. Trattandosi di una legge elettorale non decisiva, cioè che non garantisce con certezza ad una coalizione o ad una lista la maggioranza assoluta dei seggi per poter governare, i partiti hanno modellato la loro strategia politica tenendo presente che il 5 marzo quasi sicuramente non ci sarà una maggioranza chiara uscita dalle urne.

Così si sta assistendo ad una competizione politica che potremmo definire della “doppia possibilità”: estremizzando il concetto, i partiti hanno sia la concreta possibilità di veder vincere la propria coalizione o lista sia l’opportunità di giocare un’altra partita dopo il voto che li potrebbe portare a stringere accordi con liste e partiti avversari durante la campagna elettorale.

Nel quadro dell’incertezza della situazione politica, sono tre i possibili scenari che si potrebbero verificare all’indomani del voto del 4 marzo:

Vittoria del centrodestra

Governo Gentiloni, di larghe intese o del Presidente

Alleanza tra Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia

 

 

Vittoria della coalizione di centrodestra

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In base ai sondaggi più importanti, la coalizione guidata dal trio Berlusconi, Salvini e Meloni deve collezionare almeno il 40% dei voti nella parte proporzionale e contemporaneamente vincere il 70% dei seggi uninominali per avere la certezza di una maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Si tratta di un obiettivo ambizioso ma certamente alla portata.

In questo caso, l’accordo stipulato tra i quattro partiti di centrodestra prevede che la lista più votata esprimerà il candidato premier. Come è ovvio, la lotta si restringe ad una competizione infracoalizionale tra Forza Italia e Lega. Nel caso in cui fosse la Lega a prevalere, il candidato designato sarà il Matteo Salvini, nel caso in cui fosse la compagine forzista, la situazione sarebbe leggermente più complicata: in una situazione normale, il candidato naturale sarebbe Silvio Berlusconi, ma ad oggi risulta incandidabile fino al 2019 a causa dell’applicazione della legge Severino. Il “sostituto” al momento è il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani.

Governo Gentiloni, di larghe intese o del Presidente

Quanto descritto in precedenza si basa sull’assunto per il quale le coalizione costruite prima del voto rimangano immutate anche dopo il voto. Questa evenienza non sembra molto probabile perché, per via della legge elettorale proporzionale e per la natura tripolare del sistema partitico italiano, il risultato elettorale difficilmente premierà una coalizione con una maggioranza solida. In una situazione di tal genere, sarà compito del Presidente della Repubblica trovare una convergenza tra partiti di estrazione diversa per traghettare il Paese fuori dalle secche dell’ingovernabilità.

Sono tre le possibili soluzioni pensate dal capo dello Stato Sergio Mattarella:

  • Lasciare in carica il governo Gentiloni per il disbrigo degli affari correnti per il tempo necessario per riformare la legge elettorale (in senso maggioritario) per andare a elezioni il prima possibile.
  • Supportare la nascita di un Governo di larghe intese sulla falsariga di quanto accaduto con Letta nel 2013 con l’appoggio di Partito Democratico, Forza Italia e la galassia di partiti centristi che entreranno in Parlamento. Questa eventualità di “grande coalizione” sembra essere la più naturale, ma sembra anche di difficile attuazione: i sondaggi mostrano come un’alleanza Pd-Fi non abbia i numeri per governare: solo con un risultato ottimo delle formazioni centriste (+Europa, Insieme, Civica Popolare e Noi con l’Italia-Udc) questa evenienza diventa fattibile.
  • Supportare la nascita di un “governo del presidente” in cui un politico bipartisan o magari un tecnico si metta alla guida di un governo di scopo con l’obiettivo di riformare la legge elettorale e approvare la legge di bilancio con l’appoggio delle principali forze politiche dal Pd a Leu da Fi al M5S.

Alleanza tra Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia

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Infine, dalla frantumazione delle coalizioni elettorali potrebbe nascere una maggioranza solida dal punto di vista numerico. I sondaggi, infatti, mostrano che un’alleanza tra Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia sia l’unica con i numeri per governare, senza aver bisogno di “overperformare” dal punto di vista elettorale.

Questa soluzione è stata già respinta con forza da Giorgia Meloni, ma non esclusa da Matteo Salvini. Anche se va rilevato che i punti di contatto tra le tre forze su alcuni temi come pensioni, Europa ed Euro sono innegabili. Su questo punto Luigi Di Maio non si è espresso in modo univoco: il capo politico dei cinque stelle ha affermato che preferirebbe la formazione di un governo di minoranza pentastellato con l’appoggio esterno di tutti i partiti che condivideranno il programma.

All’indomani del voto

Dopo il voto, la prima seduta delle nuove Camere sarà convocata il 23 marzo. Solo dopo l'elezione dei due presidenti di Camera e Senato e la costituzione dei gruppi parlamentari, sarà possibile, per il capo dello Stato, avviare le consultazioni per formare il nuovo Governo.

L’attuale, guidato dal presidente del Consiglio uscente, Paolo Gentiloni, rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti fino al giuramento di quello nuovo che, in caso di risultato chiaro alle elezioni, non potrà comunque entrare in carica prima di aprile.

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Elezioni 2018 - il voto del 4 marzo



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